La responsabilità per il decesso di un lavoratore colpito da ischemia
E’ una sentenza questa della Corte di Cassazione che richiama sostanzialmente gli obblighi che un’impresa esecutrice appaltante ha nei confronti di una impresa appaltatrice con riferimento in particolare alla verifica da parte della prima che quest’ultima abbia provveduto ad assumere i lavoratori in buone condizioni fisiche e comunque idonee allo svolgimento dell’attività che sono chiamati a svolgere. Il caso in esame ha riguardato il decesso per ischemia cardiaca acuta avvenuto in un cantiere edile che ha colpito un lavoratore di una ditta appaltatrice a causa dello sforzo fisico dallo stesso sostenuto durante lo svolgimento della propria attività consistente nel posizionare alcune pedane cariche di materiale al fine di consentire l’agganciamento delle stesse a una gru.
Condannati dal Tribunale e dalla Corte di Appello per omicidio colposo, aggravato per la violazione di alcune norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, i titolari dell’impresa appaltante hanno ricorso per cassazione sostenendo di non avere assunta una posizione di garanzia nei confronti dell’infortunato essendo questi dipendente di un’altra impresa. La suprema Corte, nel rigettare il ricorso presentato dagli imputati ha precisato che la responsabilità del titolare di un’impresa appaltante esecutrice per un infortunio occorso a un lavoratore di un’impresa appaltatrice può essere esclusa solo nel caso che quest’ultima fornisca ogni garanzia in ordine all’arruolamento dei lavoratori e all’esecuzione delle attività, condizioni queste tutte la cui insussistenza era ben nota ai ricorrenti.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
La Corte di Appello ha confermata la sentenza di primo grado che aveva dichiarata la responsabilità dei due titolari di un’impresa appaltante per il reato di omicidio colposo in danno di un lavoratore, aggravato per la violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Ai due imputati era stato contestato, quali committenti, di avere omesso di sottoporre il lavoratore agli accertamenti sanitari previsti dalla legge, di averlo adibito ad un'attività del tutto incompatibile con le patologie dallo stesso sofferte, omettendo di fornirgli adeguata formazione ed informazione dei rischi derivanti dall'attività lavorativa cui lo stesso era adibito, cagionando così colposamente il suo decesso per ischemia cardiaca acuta e shock cariogeno determinato dal grave sforzo fisico cui il medesimo era stato sottoposto nel corso della propria attività lavorativa.
Avverso la sentenza della Corte di Appello i due imputati hanno proposto ricorso per cassazione avanzando alcune lamentele. Gli stessi hanno fatto presente che l’infortunato non era un loro dipendente per cui non era chiaro il motivo per cui avrebbero dovuto rispondere del delitto in contestazione. Essi hanno osservato, altresì, che non rispondeva al vero la circostanza che il lavoratore colpito da ischemia fosse stato sottoposto ad un grave sforzo durante il turno di lavoro, atteso che le operazioni di scarico del camion erano avvenute a mezzo di una gru e non avevano comportato alcuno sforzo fisico. Secondo gli stessi quindi la causa dell'evento, così come emerso da una attenta lettura del referto autoptico, era purtroppo da ascrivere alla grave patologia cardiaca di cui lo stesso soffriva.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto i motivi di censura privi di pregio e pertanto li ha rigettati. Quanto all’osservazione fatta dai ricorrenti con riferimento al fatto che il lavoratore deceduto non era un loro dipendente la stessa Corte ha osservato che la sentenza di merito aveva ben spiegato che gli imputati rispondevano del reato non in ragione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ma in funzione della loro posizione di committenti subappaltanti, per cui agli stessi veniva addebitato di non essersi assicurati che gli operai utilizzati, che erano stati di fatto ‘procurati’ dal subappaltatore, fossero quantomeno nelle condizioni minime per svolgere il lavoro loro demandato. La sentenza di merito, ha sostenuto ancora la suprema Corte, aveva accertato, in maniera congrua e logica, che si era trattato di un lavoratore assunto "a giornata" per mezzo di un intermediario privo dei requisiti imprenditoriali minimi per assumere lavoratori in quanto non titolare di impresa né munito di propria organizzazione aziendale. Il lavoratore era stato reclutato il mattino stesso, senza alcuna valutazione delle sue condizioni di salute, come per gli altri operai, nonché dei rischi connessi all'attività da svolgere oltre ad essere stato fatto in totale spregio delle misure di prevenzione inerenti alla prestazione lavorativa.
La Corte territoriale, ha affermato la Sez. IV, aveva plausibilmente ricondotta la posizione del lavoratore come assunto dall’impresa appaltatrice ma di fatto lo stesso operava alle dipendenze del committente per cui giustamente aveva individuata una posizione di garanzia in capo ai ricorrenti che certamente imponeva loro di verificare che l'attività fosse stata svolta in maniera da tutelare i soggetti chiamati ad eseguirla. La Corte territoriale aveva quindi correttamente e incensurabilmente rilevato che “la responsabilità dell'appaltante titolare di impresa edile esecutrice dei lavori può essere esclusa solo in presenza di affidamento ad impresa competente e che fornisca ogni garanzia in ordine all'arruolamento dei lavoratori ed all'esecuzione dell'attività”, condizioni queste la cui insussistenza era agli imputati ben nota sia per le modalità del tutto informali con cui era stato affidato l'incarico che per la condotta successiva all'evento, laddove era stato richiesto agli altri operai di riferire che l’infortunato era deceduto durante un'escursione alla ricerca di funghi.
Con riferimento, in conclusione, alla motivazione alla luce della quale il lavoratore non era stato sottoposto a gravi sforzi durante la sua attività, la Corte suprema ha richiamato gli esiti dell'attività dei consulenti e le dichiarazioni rese da un altro operaio presente nel cantiere il quale aveva evidenziato che l'attività di scarico delle pedane, cui era stato adibito il lavoratore, richiedeva un considerevole sforzo fisico per posizionare le stesse cariche di materiale al fine di essere agganciate alla gru. Tale dato, infine, era stato logicamente collegato con la circostanza che subito dopo lo spostamento della prima pedana il lavoratore aveva manifestato un momento di abbattimento ed è stato sollecitato dal collega a proseguire per poi perdere conoscenza dopo poco tempo.
La Corte di Cassazione ha così rigettato i ricorsi e condannati i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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