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La responsabilità dell’amministratore unico di una società per infortuni

La responsabilità dell’amministratore unico di una società per infortuni
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

28/06/2023

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro la previsione dell’art. 299 del d.lgs. 81/2008 amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega, la responsabilità del datore di lavoro.

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha sostenuto la suprema Corte di Cassazione in questa sentenza, la previsione dell’art. 299 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione. In merito a quest’ultima affermazione la suprema Corte ha citato come  precedente la sentenza la n. 2157 della IV Sezione penale del 19/01/2022, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla figura del datore di lavoro e sul principio di effettivitànella quale la stessa Corte, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, nonostante nell’azienda si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione.

 

Il principio di effettività di cui all’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, aveva altresì precisato la suprema Corte in quella sentenza, al quale si fa ricorso in genere per individuare delle posizioni di garanzia assunte di fatto, è stato dettato dal legislatore in chiave ampliativa del novero dei soggetti gravati dalla posizione di garanzia, come risulta evidente dalla presenza nello stesso articolo dell'avverbio "altresì" in funzione qualificativa del verbo "gravare". E’ in sostanza perciò una ipotesi alternativa di tipicità della fattispecie incriminatrice che comunque non vale certamente ad escludere la responsabilità del soggetto titolare dei relativi obblighi prevenzionistici.

 

Il fatto di cui alla sentenza aveva riguardato l’infortunio accaduto al padre dell’amministratrice di una società che era caduto da una scala semplice nel mentre saliva per recarsi sul lastrico di un edificio oggetto di ristrutturazione da parte della società stessa. Condannata l’amministratrice della società nei due primi gradi di giudizio perché ritenuta, in qualità di datore di lavoro, responsabile dell’infortunio accaduto al proprio genitore, la stessa ha ricorso per cassazione sostenendo di non avere avuto nell’azienda una effettiva potestà gestionale e di non essere potuta intervenire ad evitare o impedire la condotta del padre.  I giudici di merito, secondo la stessa, si erano adagiati sulla sua posizione di garanzia da essa ricoperta.

 

La Cotte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha sostenuto che i giudici avevano fatto buon governo del principio sopraindicato avendo attribuita ad essa la qualifica di datore di lavoro in quanto amministratrice della società come anche comprovato dalla documentazione versata in atti.

 

Ebbene, facendo buon governo di tale principio la sentenza impugnata ha concluso che all'imputata sia da attribuirsi la qualifica di datore di lavoro, in quanto la stessa era amministratrice e che, anche se fosse stata provata l'esistenza di un titolare di fatto, non avrebbe potuto comunque essere esonerato da responsabilità.


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Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto l’amministratrice unica di una società colpevole di tutti i reati a lei ascritti (capo a): reato di cui all'art. 40 c.p., comma 2, art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3; capo b): reato di cui all'art. 81 c.p., comma 1, comma 5, lett. c) e d), D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 159, comma 1; D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. a) d) e g); art. 36, commi 1 e 2 e art. 37, comma 1, art. 96, comma 1, lett. g)) condannandola alla pena di mesi quattro di reclusione con pena sospesa, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della predetta in ordine ai reati di cui al capo b) per essere gli stessi estinti per prescrizione ed ha rideterminato la pena in mesi tre di reclusione confermando la sentenza nel resto.

 

Il fatto, come ricostruito dalle sentenze di merito, aveva riguardato un sinistro occorso al padre dell'imputata il quale, mentre era intento a raggiungere il lastrico solare di un edificio, era caduto dalla scala poggiata al muro del tetto del suddetto immobile, oggetto di ristrutturazione da parte della società della quale la figlia era amministratrice unica, provocandogli lesioni personali da cui era derivata una malattia per un tempo superiore a quaranta giorni.

 

Sulla base delle dichiarazioni rese da un funzionario della Ausl e da un teste nonché dei documenti allegati agli atti (segnatamente il certificato di iscrizione della società alla Camera di Commercio e la certificazione di regolarità contributiva Inps-Inail della medesima) i giudici di merito avevano ritenuto l'imputata responsabile, nella qualità di datore di lavoro dell’infortunato, di non aver impedito allo stesso di utilizzare una scala in alluminio semplice da appoggio in assenza di altro lavoratore che ne garantisse la stabilità.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Avverso la sentenza di Appello l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Con il primo motivo ha dedotto la mancata assunzione delle prove testimoniali della difesa e il vizio motivazionale. Ha dedotto infatti che il Tribunale dopo aver ammesso la prova testimoniale non ha poi proceduto alla relativa escussione senza revocarne l'ammissione se non implicitamente con l'invito alle parti a concludere e la Corte di Appello non aveva provveduto al rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, pur ritualmente richiesta. Aveva aggiunto che le prove richieste erano rilevanti e tendevano a dimostrare la condotta abnorme del lavoratore.

 

Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 27 Cost. ed all'art. 42 c.p. nonché ex art. 606 c.p.p., lett. e) il difetto di motivazione. La ricorrente aveva assunto altresì che i giudici di merito si erano adagiati sulla sua posizione di garanzia e sulle clausole di equivalenza di cui all'art. 40 cpv c.p. trascurando ogni scrutinio in merito alla sua effettiva potestà gestionale ed alla possibilità di evitare o impedire la condotta dell’infortunato. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, da parte sua, aveva rassegnato conclusioni scritte con cui aveva chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.


Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il primo motivo di ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato da parte della Corte di Cassazione. La stessa ha premesso che il giudice che, senza aver assunto le testimonianze a discarico ammesse, invita le parti alla discussione, esercita implicitamente il potere di revoca dell'ammissione della prova e non ha un obbligo di motivazione esplicita in sentenza dei motivi della revoca se, dal contesto delle argomentazioni, è possibile evincere che le ragioni del convincimento prescindono dalle prove ammesse e non assunte.

 

Nel caso in esame la Corte territoriale, secondo la Sezione IV, rispondendo ad analoga censura sollevata con l'atto d'appello, ha pertanto correttamente ritenuto che il giudice di primo grado revocando l'ammissione dei testi della difesa già ammessi in ragione del fatto che le loro dichiarazioni sarebbero state superflue in quanto già dimostrata la titolarità di diritto dell'impresa in capo alla imputata, aveva legittimamente esercitato il potere che il legislatore gli ha conferito.

 

Per le medesime ragioni non vi erano i presupposti per disporre la rinnovazione dell'istruttoria in appello, tenuto conto peraltro che nel giudizio di secondo grado il criterio di scelta circa l'ammissione di nuove prove in appello è diverso e più stringente rispetto a quello che deve seguire il giudice di primo grado atteso che l'art. 603 c.p.p., comma 1, prevede che la rinnovazione dell'istruttoria sia da svolgersi solo se la Corte "ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti".

 

Analogamente la Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondato anche il secondo motivo. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha sostenuto la suprema Corte, “la previsione dell’art. 299 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione”.

 

Ebbene, facendo buon governo di tale principio, ha così concluso la suprema Corte la sentenza impugnata aveva concluso che all'imputata fosse da attribuirsi la qualifica di datore di lavoro, in quanto la stessa era amministratore unico della società, come comprovato dalla documentazione versata in atti. Pertanto, anche ove fosse stata provata l'esistenza di un titolare di fatto, non poteva comunque essere esonerata da responsabilità.

 

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso è conseguita la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, stimata in 3.000 euro oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita.

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 23722 del 31 maggio 2023 (u.p. 22 febbraio 2023) - Pres. Bruno – Est. Cirese - Ric. A.A.. - In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro la previsione dell’art. 299 del d.lgs. 81/2008 amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega, la responsabilità del datore di lavoro.

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 2157 del 19 gennaio 2022 (u.p. 23 novembre 2021) - Pres. Ferranti – Est. Ranaldi -  Ric. B.G. - Nelle società di capitale il datore di lavoro si identifica con i vertici dell'azienda ovvero con il presidente del consiglio di amministrazione o amministratore delegato o componente del consiglio stesso cui siano state attribuite le relative funzioni.






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Rispondi Autore: Alberto Galli - likes: 0
28/06/2023 (08:59:36)
Mi pare che non sia sempre obbligatorio avere una persona alla base della scala. Poi, la scala era a norma?
Quando supereremo il costrutto giurisprudenziale dell'abnormità (mai citato dal legislatore) e applicheremo l'art. 20 (voluto dal legislatore)?
Chiedo infine per un amico: alcuni punti in avvocatese negli articoli potrebbero essere semplificati cortesemente? Non credo che questa rivista venga letta solo da avvocati.

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