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La responsabilità del preposto per un infortunio determinato dall’attività

La responsabilità del preposto per un infortunio determinato dall’attività
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

05/07/2021

Nelle strutture complesse l’infortunio è in genere riconducibile alla responsabilità del preposto se occasionato dall’attività lavorativa, del dirigente se legato alla organizzazione aziendale e del datore di lavoro se derivante da scelte gestionali.

Ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo. È un principio questo, più volte ribadito in precedenti sentenze, che in questa circostanza è stato applicato dalla suprema Corte per decidere sul ricorso presentato da un infortunato avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva annullata la condanna inflitta dal Tribunale a un preposto dello stabilimento presso il quale era accaduto l’evento infortunistico.

 

La suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso e ha ricordato in merito che in tema di infortuni sul lavoro il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi.

 

La stessa Corte di Cassazione ha osservato, inoltre, che la Corte territoriale, benché fosse stata accertata la qualità di preposto dell'imputato, non vi aveva ricondotto gli obblighi propri di quella posizione, come puntualmente richiamati nella imputazione, e cioè l’obbligo di vigilanza sulla osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e, segnatamente, di quella che prevede l'uso dei presidi collettivi e individuali disponibili per movimentare i carichi in quota. È un obbligo espressamente, ha precisato la Cassazione, contemplato dall'art. 19 comma 1 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, a mente del quale, per l'appunto, il preposto deve “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti”.

 

Così facendo, la Corte di merito, secondo la Cassazione, aveva trascurato, da un lato, la centralità del documento di valutazione dei rischi, vero e proprio statuto della sicurezza aziendale, nel quale confluisce l'analisi preventiva dei rischi di cui all'art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 e la previsione delle misure che il datore di lavoro appronta a garanzia delle singole aree lavorative e dall'altro, il contenuto dell'addebito mosso al preposto in imputazione e cioè quello di non aver vigilato affinché il lavoratore si astenesse dall'esecuzione della lavorazione in assenza del presidio previsto per la movimentazione dei carichi in quota.


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Il fatto, le sentenze di merito e il ricorso per cassazione

La Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, ha assolto il responsabile dei reparti di falegnameria di uno stabilimento già condannato per lesioni colpose ai danni di un lavoratore, reato aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, perché il fatto non sussiste, e ha revocato le statuizioni civili. L’infortunio era accaduto all'interno dello stabilimento di una società nel corso delle operazioni di allestimento di una zona di esposizione di prodotti promozionali. L'infortunato si era trovato, in particolare, su una struttura metallica (rack) senza l’uso del mezzo usualmente utilizzato per la movimentazione dei carichi in quota e ne era caduto procurandosi le lesioni descritte nella imputazione. All’imputato era stato addebitato di avere omesso di sovrintendere e vigilare sulla osservanza delle disposizioni aziendali sull'uso dei mezzi di protezione individuali e collettivi a disposizione. La sentenza era stata impugnata dalla parte civile, limitatamente agli effetti civili, con il proprio difensore che ha addotto alcune motivazioni.

 

Con un primo motivo il ricorrente ha contestata la conclusione dei giudici di Appello, secondo cui nella specie non vi sarebbe stata alcuna norma cautelare specifica, non risultando che per le lavorazioni in altezza fosse precluso ai lavoratori l'utilizzo di comuni scale a libretto, il cui grado di sicurezza non sarebbe stato inferiore a quello degli elevatori. A tal proposito, il ricorrente aveva richiamato le previsioni contenute nel Piano di Sicurezza aziendale redatto ai sensi dell'art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 alla luce del quale aveva rilevato che l'altezza in cui doveva svolgersi la lavorazione era superiore a quella di sicurezza e che, nella specie, non doveva essere impiegata una semplice scala a libro, bensì una scala a castello o un muletto, strumento che, invece, in quel momento si trovava in un altro reparto.

 

Il ricorrente ha evidenziato, altresì, che era stato lo stesso imputato a posizionare sul pianale delle tavole tagliate all'occorrenza per sostituire quelle che si erano rotte, senza fissarle e senza prevedere un riempi tratta; lo stesso quindi era ben consapevole del maggior rischio derivante dal fatto che il piano di lavoro era superiore ai due metri e cinquanta, così come era edotto dell'obbligo di utilizzare l’apposita attrezzatura prevista nel POS in quel momento indisponibile, e della impossibilità di salire oltre il terzo gradino della scala a libro, il che avrebbe posto il piano di lavoro a un'altezza superiore. Ciò nonostante, l’imputato aveva omesso di vigilare affinché il lavoratore infortunato non eseguisse il lavoro in quelle condizioni rischiose né aveva predisposto gli strumenti più idonei previsti dal POS.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione. Secondo la stessa la Corte territoriale, pur avendo accertata la qualità di preposto dell'imputato, non vi aveva ricondotto gli obblighi propri di quella posizione, come puntualmente richiamati nella imputazione, vale a dire quello di vigilanza sulla osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e, segnatamente, di quella che prevede l'uso dei presidi collettivi e individuali disponibili per movimentare i carichi in quota.

 

Trattasi di un obbligo espressamente contemplato dall'art. 19 comma 1 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, ha così proseguito la Cassazione, a mente del quale, per l'appunto, il preposto deve “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti”.

 

La Cassazione ha inoltre richiamato uno dei principi elaborati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità in materia secondo il quale in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi. Ciò costituisce, secondo la Cassazione, diretto precipitato del principio secondo cui, “ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo”. 

 

Pertanto, l' obbligo del preposto andava, nel caso in esame, commisurato alla previsione del documento di valutazione dei rischi, al quale la Corte di Appello aveva omesso ogni accenno, limitandosi a parlare genericamente di "regolamenti" circa l'utilizzo di appositi presidi per la esecuzione di lavori in quota.  Così facendo, la Corte di merito aveva trascurato, da un lato, la centralità del documento di valutazione dei rischi, vero e proprio statuto della sicurezza aziendale, nel quale confluisce l'analisi preventiva dei rischi di cui all'art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 e la previsione delle misure che il datore di lavoro appronta a garanzia delle singole aree lavorative e dall'altro, il contenuto dell'addebito mosso al preposto, in imputazione, e cioè quello di non aver vigilato affinché il lavoratore si astenesse dall'esecuzione della lavorazione in assenza del presidio previsto per la movimentazione dei carichi in quota.

 

Quanto al comportamento del lavoratore la suprema Corte ha evidenziato come più volte, in materia di prevenzione antinfortunistica, è stato precisato che esso può ritenersi abnorme e idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta contestata al garante e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, oppure ove sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte dell'agente, oppure vi rientri, ma si sia tradotto in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

 

Per quanto sopra detto quindi, in conclusione, la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e l’ha rinviata al giudice civile competente per valore in grado di appello al quale ha demandata altresì la regolamentazione delle spese tra le parti con riferimento al giudizio di legittimità.

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 22271 del 8 giugno 2021 (u.p. 26 maggio 2021) - Pres. Piccialli – Est. Cappello – P.M. Casella - Ric. A.F. - Nelle strutture complesse l’infortunio è in genere riconducibile alla responsabilità del preposto se occasionato dall’attività lavorativa, del dirigente se legato alla organizzazione aziendale e del datore di lavoro se derivante da scelte gestionali.

 


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