La responsabilità datoriale non può essere riversata sul preposto
Leggendo le sentenze di Cassazione che si sono pronunciate sulle responsabilità penali dei datori di lavoro per omissioni all’interno dei documenti di valutazione dei rischi o per mancata adozione di misure di prevenzione e protezione da cui sia conseguito un infortunio, accade ogni tanto di imbattersi, nella parte dedicata ai motivi di ricorso degli imputati, in argomentazioni difensive che fanno valere la presenza del preposto quale condizione che avrebbe l’effetto di liberare il datore di lavoro stesso da ogni responsabilità.
Per quanto tale modo di ragionare non abbia - quantomeno in astratto, dal momento che occorre sempre poi misurarsi con i casi concreti in termini di accertamento del nesso di causalità e di individuazione della colpa secondo i criteri penalistici - molto senso logico, questa argomentazione difensiva viene non raramente addotta e ciò ha fatto sì che la Cassazione abbia sviluppato nel tempo dei principi in merito che qui vale la pena ricostruire attraverso l’analisi di alcune sentenze degli ultimi due anni.
Con una pronuncia dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.IV, 23 marzo 2023 n.12122), la Corte ha confermato la condanna di A.A. e B.B., nella qualità di soci amministratori della M.E. S.r.l., per il reato (commesso in una cava) di lesioni colpose gravi in danno del dipendente C.C., “realizzato con condotte indipendenti ma causalmente efficienti alla produzione dell’evento”.
Questa la dinamica dell’infortunio: “l’operaio, che aveva la qualifica di assistente alla manovra del braccio dell’escavatore, condotto da un altro operaio, D.D., con qualifica di sorvegliante, presso la cava sita in …, gestita dalla società di cui i ricorrenti sono amministratori, nel corso dell’operazione preliminare di ribaltamento di un blocco di marmo mediante posizionamento della punta della benna dell’escavatore, veniva investito da frammenti di roccia distaccatisi, procurandosi le lesioni”.
Ai due imputati era stato contestato di aver “omesso, ciascuno con condotta indipendente, nella relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, di valutare i rischi legati alle operazioni di sezionamento e di ribaltamento delle bancate e dei blocchi di pietra nonché sulle procedure da seguire per l’esecuzione delle stesse operazioni, non provvedendo a fornire all’operaio un’adeguata informazione e formazione.”
Tra le argomentazioni difensive dei ricorrenti, vi è quella secondo cui si “evidenzia, in particolare, che, in applicazione delle disposizioni del documento di sicurezza […], le prescrizioni sulla sicurezza applicabili alla operazione in corso erano sotto la esclusiva responsabilità del sorvegliante di cava D.D., unico autorizzato alla lavorazione nella fase di ribaltamento, mentre il C.C. era da considerarsi personale non autorizzato ad attendere alla lavorazione. Di qui, l’onere, per il sorvegliante o capo cava o preposto, come indicato dal documento di sicurezza, di predisporre le adeguate misure per delimitare la zona dell’operazione di ribaltamento e riquadratura, con esclusione della responsabilità della ricorrente.”
Secondo la Suprema Corte, “manifestamente infondato” è da ritenersi “il secondo motivo di ricorso di A.A. ed il terzo motivo formulato dalla difesa di B.B., anch’essi meramente ripropositivi di specifici motivi di appello, incentrati sulla responsabilità assorbente ed esclusiva del sorvegliante di cava, nella specie addetto all’utilizzo dell’escavatore nell’operazione di ribaltamento del blocco di pietra.”
La Cassazione ricorda qui, infatti, il principio secondo cui “il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità ove risulti l’inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi, anche nel caso in cui vi sia stata la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione” (Sez.4, n.22256 del 03/03/2021, Canzonetti Leonardo, Rv.281276-01, che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale).”
Nel caso specifico, “coerente con quanto sin qui ricordato, dunque, è la decisione impugnata, che ha ritenuto la responsabilità degli imputati, nella qualità di soci amministratori dell’ente titolare della cava di marmo e datori di lavoro, per le lesioni patite dal proprio dipendente, per colpa specifica, consistita nella violazione della regola cautelare di cui al D.Lgs.n.81 del 2008, art.28, che imponeva al datore di lavoro di redigere un D.S.S. (corrispondente al D.V.R. nel settore minerario) completo e, nella specie, di prevedere il rischio specifico derivante dalla lavorazione di sezionamento della pietra, nonché di informare i lavoratori delle relative prescrizioni e cautele da adottare.”
La Suprema Corte chiarisce infatti che “la mancata previsione di specifiche indicazioni precettive in ordine alle operazioni di sezionamento, come osservato nella sentenza impugnata, non possono non avere ad oggetto la stessa attività del sorvegliante della cava, in quanto volte ad orientarne positivamente l’operato, sul quale, dunque, non possono essere riversate le responsabilità dei datori di lavoro.”
Passiamo ad un altro caso.
Con una pronuncia di qualche giorno precedente a quella appena vista ( Cassazione Penale, Sez.IV, 10 marzo 2023 n.10110), la Corte ha confermato la condanna di A.A., nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della N.F., in ordine al delitto di lesioni colpose ai danni della dipendente B.B.
Questi i fatti: “B.B. si trovava nel reparto alcool della ditta (operante nel settore della produzione di prodotti detergenti, confezionamento in recipienti e commercializzazione) ed era intenta a timbrare dei cartoni, quando era stata colpita frontalmente da un muletto condotto dal mulettista C.C. che, procedendo a marcia avanti, stava trasportando una pila di scatoloni che gli ostruivano la visuale: per effetto dell’urto la donna aveva riportato una ferita alla gamba sinistra”.
La sentenza precisa che “l’addebito di colpa nei confronti dell’imputato è stato individuato nella violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro ed in particolare del D.Lgs.9 aprile 2008, n.81, art.64 per non avere provveduto, affinché all’interno del reparto imbottigliamento infiammabili le vie di circolazione, le zone di stoccaggio merce e le postazioni di lavoro fisse o temporanee fossero idoneamente segnalate e delimitate con segnaletica orizzontale e verticale o protette al fine di evitare possibili investimenti o urti accidentali.”
Tra i motivi di ricorso del ricorrente, vi è l’argomentazione difensiva secondo cui “nel reparto era presente il preposto, il quale non aveva assolto all’obbligo di vigilanza circa il rispetto degli obblighi di legge e delle procedure aziendali da parte dei singoli operatori (non avendo vigilato sulla corretta modalità di conduzione del carrello e sulla condotta della lavoratrice che si era posizionata nella zona ove era previsto lo scarico della merce).”
Secondo la Cassazione questo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte ricorda infatti che “il preposto è definito dal D.Lgs.n.81 del 2008, art. 2, lett. e) come persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.”
E, fatta tale premessa, sottolinea che “il successivo art.19 ne tratteggia gli obblighi che sono essenzialmente la vigilanza sulla osservanza della normativa e delle prescrizioni aziendali nonché sull’uso dei mezzi e dei dispositivi di protezione e il governo di situazioni rischiose tramite la loro segnalazione ai lavoratori, al datore di lavoro ed al dirigente.”
A questo punto la Corte ricorda che un “principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità è, dunque, quello per cui il preposto assuma una posizione di garanzia e sia debitore di sicurezza nei confronti dei lavoratori ma solo con riferimento all’area di rischio che è chiamato a gestire in relazione alla natura e alla entità della funzione e dei poteri esercitati”.
Ciò detto, “nel caso di specie l’infortunio si è verificato a causa della mancata predisposizione di misure, quale la segnaletica volta a delimitare il transito dei pedoni da quello dei mezzi, che avrebbero dovuto essere approntate dal datore di lavoro, sicché deve essere ribadito il principio per cui la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l’inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi.”
Concludiamo questa breve analisi, condotta come sempre senza la pretesa di essere esaustivi sull’argomento, con una sentenza di due anni fa ( Cassazione Penale, Sez.IV, 16 febbraio 2022 n.5415) con cui la Corte ha confermato la responsabilità penale del datore di lavoro C.A. per il reato di lesioni colpose ai danni di B.C.
In particolare all’imputato, quale legale rappresentante della soc.coop. C. “che aveva assunto in uso un elevatore per traslochi dotato di cesta mobile, veniva contestato, ai sensi dell’art.71 comma 4, lett.a) n.1 e n.2 e comma 7 lett.a) D.Lgs.81/2008, di non avere adottato misure necessarie affinché le attrezzature fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso, fossero sottoposte a idonea manutenzione e corredate da istruzioni di uso e libretto di manutenzione e infine che le stesse fossero utilizzate da personale adeguatamente formato, informato ed addestrato sulle modalità di impiego conformemente alla specificità e complessità del macchinario utilizzato.”
Già la Corte d’Appello di Milano aveva “riconosciuto il collegamento causale tra tali inosservanze, che non erano escluse dalla ricorrenza di ulteriori ruoli prepositurali di garanzia in assenza di una specifica delega di funzioni e in ragione degli obblighi organizzativi comunque riconducibili al datore di lavoro, e l’infortunio occorso al dipendente il quale, intento a manovrare il braccio elevatore dai comandi manuali posti alla base della piattaforma, era stato investito dalla cesta, precipitata da un’altezza di circa 6-8 metri per ragioni connesse ad un difetto di manutenzione della fune che la muoveva e per il mancato funzionamento del freno di emergenza, da cui conseguivano alla sua persona rilevanti lesioni”.
L’imputato C.A. “con un primo motivo di ricorso denuncia violazione della legge penale con riferimento all’art.71 comma 4 lett.a) n.l in relazione agli art.2 comma 1 lett.e) e 299 del D.Lgs.81/2008 con particolare riferimento agli obblighi assegnati e comunque assunti dal dipendente che era preposto allo svolgimento delle operazioni tramite la scala con elevatore, con conseguente esonero del datore di lavoro, in ragione della posizione di garanzia rivestita di caposquadra e pertanto il soggetto tenuto a verificare, in sede esecutiva, il rispetto alla normativa antinfortunistica e delle istruzioni di uso e di manutenzione della macchina impiegata.”
Il ricorrente “in particolare rappresentava come fosse stato accertato, sulla base di emergenze testimoniali, che le lavorazioni tramite piattaforma elevatrice risultavano coordinate e dirette dal caposquadra S.S che svolgeva nella specie il ruolo di preposto alle lavorazioni.”
E sottolineava che S.S. “era pertanto tenuto, in ossequio al principio di effettività declinato dall’art.299 D.Lgs.81/2008, a operare sul mezzo e a sovraintendere alle operazioni di trasbordo tramite l’elevatore, pure a prescindere dalla ricorrenza di una delega formale, in quanto il caposquadra aveva assunto di fatto la posizione di garanzia di preposto alle lavorazioni, con relativa assunzione di responsabilità relativamente all’area di rischio governata ai sensi dell’art.2 comma 1 lett.e) D.Lgs.81/2008; il S.S era infatti in possesso di una formazione specialistica e qualificata per la gestione dell’autoscala ed era stato chiamato a organizzare il lavoro della squadra in occasione delle operazioni che avevano dato luogo all’infortunio; egli invece si era sottratto ai propri compiti disponendo che fosse il dipendente, poi infortunatosi, a operare con i comandi dell’elevatore.”
Secondo la Cassazione, “i primi due motivi tesi a denunciare violazione di legge per non avere la Corte di Appello escluso la responsabilità del datore di lavoro, nell’ambito di organizzazione complessa, in presenza di soggetto preposto al controllo della sicurezza nelle attività di installazione ed utilizzazione della piattaforma elevatrice utilizzata dall’impresa per l’attività di trasloco di immobili, e in ragione del fatto abnorme dello stesso preposto incaricato, che aveva delegato ad altro dipendente la movimentazione della macchina in maniera difforme dalla istruzioni di uso, risultano infondati”.
La Corte sottolinea infatti come fosse il C.A. stesso, quale datore di lavoro, “il soggetto che costituiva la massima espressione della rappresentanza e della operatività dell’azienda e al quale competeva l’obbligo primario di procedere alla valutazione dei rischi e a assicurare la sicurezza e l’adozione di misure di prevenzione sul luogo di lavoro (sez.4, 1.2.2017, Ottavi, Rv.269133; 29.1.2019, Ferrari, Rv.276335) e predisporre il conseguente documento di valutazione.”
E, stando a quanto accertato, la Cassazione evidenzia che da parte dell’imputato “nessun formale atto di delega era stato conferito al dipendente S.S, che fungeva esclusivamente da caposquadra e pertanto era investito di una posizione di garanzia limitata a fornire prescrizioni in sede esecutiva e a vigilare sull’attività degli altri componenti”.
Dunque S.S. “nessun obbligo aveva assunto in ordine alla formazione e all’addestramento del personale e alla verifica di conformità e di adeguatezza del macchinario impiegato, che era stato preso a noleggio da altra impresa, e alla verifica della presenza del manuale di uso e di manutenzione.”
Per la Corte “appare pertanto evidente che manca nella specie qualsiasi elemento da cui inferire la presenza dei requisiti essenziali per consentire un trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente difetto l’ambito circoscritto, o ben definito, delle competenze trasferite e il potere di spesa del delegato vertendosi semmai nello svolgimento di fatto di funzioni di preposto che, se del caso determinano non già un trasferimento di funzione, con esonero della responsabilità a favore del delegante […], ma semmai l’assunzione di una autonoma posizione di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere, in concorso con il datore di lavoro”.
In conclusione, “destituite di fondamento pertanto sono le argomentazioni del ricorrente tese a evidenziare profili di colpa nell’attività del capo squadra, di cui si assume una prepositura di fatto, nel non avere correttamente operato o vigilato nel corso delle lavorazioni, atteso che l’eventuale accoglimento delle prospettazioni difensive varrebbero ad aggiungere una ulteriore figura di garanzia, ma certamente non ad escludere la responsabilità del datore in relazione ad obblighi di verifica delle attrezzature prese in uso e di verifica delle capacità di impiego da parte delle maestranze, previo svolgimento della indispensabile attività di formazione, addestramento e informazione degli operai individuati come manovratori della piattaforma.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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