La procedibilità dell’azione penale nel caso di inosservanze al DLgs 758
Si riscontra in questa sentenza della Corte di Cassazione un cambiamento dell’orientamento della stessa Corte già espresso in precedenza in più espressioni per quanto riguarda la procedibilità o meno dell’azione penale in tema di reati contravvenzionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro nel caso che da parte dell’organo di vigilanza vi sia stata una violazione della procedura estintiva prevista dal D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro, quale la mancata fissazione da parte dello stesso organo di un termine per la regolarizzazione delle inadempienze da parte del contravventore.
In tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sulla salute e sicurezza sul lavoro, ha infatti sostenuto la suprema Corte, citando esplicitamente il diverso orientamento dalla stessa Corte assunto da ultimo con la sentenza della Sez. III n. 37228/2016 del 15/9/2015, la violazione della procedura amministrativa estintiva prevista dal D. Lgs. n. 758/1994 da parte dell’organo di vigilanza, quale la mancata fissazione di un termine per la regolarizzazione dell’inadempienza commessa dal contravventore, non è causa di improcedibilità dell’azione penale. Se così fosse, ha precisato la suprema Corte, si verificherebbe una incompatibilità con il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 della Costituzione. Del resto, la stessa ha ancora aggiunto per rafforzare la propria affermazione, anche in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può usufruire dell’estinzione del reato in sede giudiziale e nella stessa misura agevolata.
Il caso, la condanna del Tribunale e il ricorso in cassazione
Il Tribunale ha dichiarato la penale responsabilità del dirigente dell'Ufficio Lavori Pubblici di un Comune in ordine alle contravvenzioni di cui all'art. 46 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e 20 del D. Lgs. 8/3/2006 n. 139 condannandolo alle pene pecuniarie di legge per aver omesso di predisporre presso una scuola media statale comunale un impianto idrico antincendio conforme alla normativa vigente e per non avere munito altresì il plesso scolastico del certificato di prevenzione incendi.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per mezzo del proprio difensore deducendo due motivazioni. Con il primo motivo lo stesso ha contestata una inosservanza o erronea applicazione dell'art. 24 del D. Lgs. 19/12/1994 n. 758 e di norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare ha osservato che, a seguito dell'accertamento delle violazioni di cui al processo da parte dei Vigili del Fuoco, erano state impartite delle prescrizioni da adempiere entro un termine che è stato successivamente prorogato su istanza del Comune. Poiché però le attività scolastiche si sarebbero dovute trasferite in un altro edificio, il responsabile dell'Ufficio Lavori Pubblici del Comune ha comunicato tale circostanza ai VV.FF. al fine di evidenziare il venir meno della necessità di ottemperare alle prescrizioni, sì che l'organo di vigilanza non avrebbe più proceduto alla verifica dell'adempimento, ma non avrebbe neppure ammesso il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa pari ad un quarto della somma massima stabilita. Non essendo stata dunque rispettata la procedura di cui agli artt. 20 e seguenti del D. Lgs. n. 758/1994, l'azione penale, secondo l’imputato, sarebbe stata improcedibile ed il giudice di primo grado, portato a conoscenza di dette circostanze, avrebbe dovuto prosciogliere l'imputato. Non avendolo fatto, ha così dedotto lo stesso imputato, il giudice ha violato norme processuali stabilite a pena di nullità.
Con il secondo motivo il ricorrente ha fatto osservare che nell’istruttoria sarebbe emersa la mancata attribuzione allo stesso di autonomi poteri di gestione e spesa, sicché la delega di funzioni a lui attribuita non avrebbe avuto valore. Lo stesso ha fatto ancora osservare che dalla deposizione testimoniale di un assessore sarebbe emerso che l'amministrazione comunale non disponeva di fondi sufficienti per effettuare i lavori contestati come omessi perché non era neppure stato approvato il bilancio e quindi il giudice, nell'affermare che non era a lui impossibile reperire risorse per effettuare quei lavori, avrebbe fatto un'illogica affermazione, contrastante con le prove assunte.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il primo motivo di ricorso non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha premesso che, benché l'art. 21 del D. Lgs. n. 758/1994 abbia fissato il dovere dell'organo di vigilanza di ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa nel caso in cui la violazione fosse stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione, ciò non esclude che altrettanto debba farsi laddove ricorrano analoghe situazioni, così come ritenuto dalla Corte costituzionale in numerose pronunce intervenute sul tema.
In una di queste decisioni, infatti, la Corte Costituzionale, premesso che la disciplina normativa in esame mira, da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni e alla correlativa tutela dei lavoratori è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, e dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale, ha ritenuto che «entrambe le ragioni che ispirano la disciplina in esame ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell'organo di vigilanza. E’ plausibile e ragionevole sostenere quindi, ha così proseguito la Sezione III, che a maggior ragione dovrebbe essere ammesso alla definizione in via amministrativa, in vista dell'estinzione del reato e della conseguente richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione.
In applicazione di questi principi perciò, riferendosi al caso in esame, l’eliminazione delle conseguenze pericolose del reato, legate allo spostamento delle attività scolastiche in un'altra sede prima del decorso del termine stabilito per l'adempimento della prescrizione, avrebbe dunque legittimato il contravventore a fruire del meccanismo di estinzione del reato con il pagamento della sanzione ridotta, in via amministrativa a seguito di un provvedimento di ammissione emesso dall'organo di vigilanza, ovvero perfezionando l'oblazione in via giudiziale ai sensi dell'art 24 comma 2 del D. Lgs. n. 758/1994.
La Corte di Cassazione ha comunque ritenuto che, in conformità con il più recente e maggioritario orientamento di legittimità, la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale. Un orientamento contrario secondo il quale “in tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sociale e lavoro, l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall'art. 20, comma primo, D. Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 è causa di improcedibilità dell'azione penale, appare infatti incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale”. Del resto, ha aggiunto la suprema Corte, anche in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può fruire dell' estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata. Non risultando, tuttavia, che l'imputato abbia avanzato una tale richiesta lo stesso non può lamentarsi di non avere ottenuto l’estinzione del reato né, tantomeno, pretendere una declaratoria di improcedibilità dell'azione penale che contrasterebbe con l'art. 112 della Costituzione.
Fondato invece è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione il secondo motivo di ricorso. La stessa ha fatto notare che in un’altra occasione ha affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni, il dirigente del settore manutenzione del patrimonio edilizio comunale, pur potendo assumere la qualità di datore di lavoro ex art. 2 lettera b) del D. Lgs. n. 81/2008, non è responsabile delle violazioni che sanzionano la mancata esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e ristrutturazione degli edifici scolastici (nel caso in esame i lavori di adeguamento degli impianti elettrici), qualora risulti in concreto privo di autonomi poteri gestionali, decisionali e di spesa.
Nel caso in esame il ricorrente si era difeso nel giudizio di merito provando di non aver avuto, in concreto, tali poteri, dimostrando l'assunto attraverso la prova testimoniale dell'assessore ai lavori pubblici, e di avere regolarizzato la situazione di altri edifici scolastici, concludendo nel senso che il reperimento delle risorse necessarie per porre rimedio alla situazione di disagio dell'edilizia scolastica comunale, pur se al tempo oggettivamente problematico, non appariva dunque impossibile. A prescindere poi dal fatto che l’imputato, secondo prove documentali acquisite al fascicolo, fosse soltanto responsabile dell'area tecnica comunale e non avesse ancora ricevuto la delega di "datore di lavoro", la Corte di Cassazione ha ritenuto che quella territoriale non aveva fornito nella propria sentenza una logica motivazione rispetto alla dedotta impossibilità da parte dell’imputato di disporre di fondi sufficienti per adempiere alle prescrizioni in parola. Il fatto di aver regolarizzato la situazione di altre scuole comunali, infatti, non significava, in una situazione di oggettiva penuria di fondi riconosciuta dalla stessa sentenza, che vi fossero risorse sufficienti per regolarizzarle tutte.
La sentenza impugnata, ha così concluso la Corte di Cassazione, dovrebbe dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame del punto, ma la prosecuzione del giudizio non è stata ritenuta necessaria poiché i reati oggetto di contestazione si sono estinti per prescrizione essendo decorsi oltre cinque anni ed essendo ulteriormente decorso il periodo di mesi sei di sospensione dei termini di prescrizione conseguente a un differimento del processo richiesto dalla difesa. La sentenza impugnata è stata pertanto annullata senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.