La mancata valutazione dei rischi interferenziali
Il committente datore di lavoro, ha sostenuto la suprema Corte in merito, è tenuto a valutare anche i rischi specifici dell’impresa appaltatrice alla quale ha affidato dei lavori di pulizia e manutenzione degli impianti installati nella propria azienda se agli stessi partecipano anche i suoi dipendenti. Tali rischi del resto, aggiunge lo scrivente, anche se non messi in evidenza esplicitamente nella sentenza, costituirebbero comunque dei rischi di natura interferenziale e quindi sarebbero oggetto di una valutazione da riportare in un Duvri nel quale indicare le misure che entrambe le parti devono adottare in collaborazione per la loro eliminazione.
Il caso, il ricorso in cassazione e le motivazioni
Il Tribunale ha condannato il legale rappresentante di una società alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 1.350,00 di ammenda, in relazione a plurime violazioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro, di cui agli artt. 28, comma 2, lett. d), 223, comma 1, e 223, comma 2, del D. Lgs. n. 81/2008, ritenendo irrilevante la circostanza, posta a fondamento delle difese svolte dall'imputato, che la manutenzione e la pulizia dell'impianto di termo-utilizzazione e delle aree esterne connesse, in relazione al quale erano state contestate le violazioni alle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, fosse stata affidata a una impresa esterna.
Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione affidando lo stesso a due motivi. Con il primo ha lamentato l'erronea applicazione dell'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, per l'inadeguata e insufficiente considerazione dell'affidamento dei servizi di manutenzione e pulizia del forno inceneritore e delle aree esterne a un’impresa appaltatrice, con la conseguente insussistenza a suo carico, quale presidente del consiglio di amministrazione della società committente, dell’obbligo di vigilanza sullo svolgimento di tali attività e dell’obbligo anche di redigere il documento di valutazione dei rischi, in quanto lo stesso gravava esclusivamente sulla impresa appaltatrice cui detta attività era stata affidata e in quanto risultava priva di rilievo la collaborazione estemporanea prestata da alcuni dipendenti della sua azienda trattandosi di collaborazione estemporanea, non autorizzata e di cui lo stesso non era neppure a conoscenza.
Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione dell'art. 24 del D. Lgs. n. 758/1994, per la mancata sospensione del procedimento allo scopo di ammetterlo all'oblazione, posto che attraverso lo spegnimento dell'impianto aveva eliminato le conseguenze dannose del reato per cui la somma da pagare, ai sensi dell'art. 162 bis cod. pen., avrebbe dovuto essere ridotta della metà. Tale condotta, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto, essere comunque valutata al fine della ammissione alla oblazione, con la conseguente necessità di annullare la sentenza impugnata e di rimettere gli atti al Tribunale allo scopo di consentirgli di avvalersi dell'oblazione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parte della Corte di Cassazione. La censura formulata con il primo motivo, ha fatto osservare la stessa, mediante il quale l’imputato ha lamentata la violazione dell'art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008, per l'affermazione della sua responsabilità nonostante l'affidamento a un'altra impresa dei lavori di manutenzione e pulizia del forno inceneritore utilizzato nell’azienda, non è consentita nel giudizio di legittimità, in quanto attiene all'accertamento dei fatti compiuto dal Tribunale e in quanto tende a ottenerne una rivalutazione.
Il Tribunale, ha evidenziato la suprema Corte, aveva affermato la responsabilità dell'imputato, per la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi, in considerazione del fatto che le operazioni di manutenzione e pulizia del forno inceneritore dell’azienda, benché affidate a un'altra impresa, erano state eseguite anche da dipendenti dell'impresa amministrata dall'imputato, con la conseguente sussistenza dell'obbligo di elaborare detto documento anche a suo carico. L’imputato aveva censurato tale accertamento sul piano del merito, e cioè della effettiva presenza dei dipendenti della propria azienda e della loro stabile partecipazione a tali lavorazioni, affermando che la stessa sarebbe stata estemporanea, non rientrante nelle loro mansioni e, comunque, non autorizzata.
La lamentela, però, ha precisato la Sez. III, non rientra nel giudizio di legittimità, in quanto non viene criticata l'interpretazione e l'applicazione della disposizione denunciata (posto che non è contestata la necessità di predisporre il documento di valutazione dei rischi quando propri dipendenti partecipino a lavorazioni per le quali esso occorra), bensì l'accertamento dei fatti sulla base dei quali è stata ravvisata la violazione alle disposizioni che prevedono l'obbligo di elaborazione del documento di valutazione dei rischi, e cioè l'effettiva partecipazione dei dipendenti della società amministrata dall'imputato ai lavori di manutenzione e pulizia dell'impianto inceneritore, in relazione ai quali non era stato elaborato il documento di valutazione dei rischi. Tale partecipazione, ha fatto comunque osservare la suprema Corte, era stata accertata dal Tribunale sulla base di quanto dichiarato da uno degli ispettori della ASL e dai dipendenti dell’azienda stessa da cui la conseguente inammissibilità della lamentela formulata dal ricorrente che aveva censurato tale accertamento.
Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata ammissione del ricorrente alla oblazione, nonostante l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, è stato considerato dalla Sez. III manifestamente infondato, non essendo stata avanzata nel corso del giudizio di merito la relativa richiesta l'imputato quindi di conseguenza non poteva dolersi della mancata ammissione alla oblazione, rimessa pur sempre alla sua iniziativa di farne domanda, cosicché, in assenza di quest'ultima, non si è ravvisata alcuna violazione di legge da parte del Tribunale.
Il ricorso, in definitiva, è stato dichiarato inammissibile dalla suprema Corte, stante il contenuto non consentito del primo motivo e la manifesta infondatezza del secondo per cui alla sua inammissibilità è conseguito l’onere a carico del ricorrente delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma nella misura di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Gerardo Porreca
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