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La formazione dei lavoratori stranieri nelle sentenze di Cassazione

La formazione dei lavoratori stranieri nelle sentenze di Cassazione
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

25/05/2017

La mancata formazione in lingua comprensibile quale causa di infortunio, la non verifica del recepimento delle procedure, gli incomprensibili documenti in italiano, le mansioni “fluide e indefinite” senza formazione sui rischi. Di Anna Guardavilla.


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Come noto, l’articolo 37 comma 13 del D.Lgs.81/08 prevede che “il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”

 

In giurisprudenza sono presenti alcune pronunce aventi ad oggetto il tema della formazione dei lavoratori stranieri; analizziamone qualcuna - senza ovviamente la pretesa di proporre una rassegna esaustiva - a partire dalle più recenti per giungere alle più risalenti.

 

Omessa formazione del preposto straniero che in giudizio non riusciva nemmeno a leggere in italiano la dichiarazione d’impegno a dire la verità” e che avrebbe dovuto vigilare sull’osservanza del PIMUS che era redatto in lingua italiana

 

In Cassazione Penale, Sez.III, 3 ottobre 2016 n.41129, viene condannato un datore di lavoro perché nell’ambito di un cantiere ometteva “di assicurare che il ponteggio fosse smontato sotto la diretta sorveglianza di un preposto, a regola d’arte (con specifico riferimento all’impiego di sistemi anticaduta) e conformemente al PIMUS”, ometteva “di redigere PIMUS con contenuti minimi conforme a quanto disposto dall’allegato XXII, del d.lgs n.81 del 2008” e, infine, “di assicurare che i preposti ricevessero un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute sicurezza del lavoro, con particolare riferimento alle loro mansioni in cantiere e in materia di montaggio/smontaggio ponteggi.”

 

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la Cassazione, facendo riferimento alla pronuncia di primo grado, precisa che “la sentenza analizza le prove orali e documentali, raccolte nel dibattimento, e inoltre, il giudicante, direttamente constatava che l’operaio P., indicato quale preposto, non riusciva nemmeno a leggere in italiano la dichiarazione d’impegno a dire la verità; il deficit cognitivo per la sentenza di primo grado assume un particolare rilievo, ove si consideri che il preposto ha il compito di vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori delle indicazioni contenute nel PIMUS, e che tale documento è stato redatto solo in lingua italiana.”

 

La Corte conclude, sulla base di questi ed altri elementi, che “era stata omessa una specifica e adeguata formazione per i preposti; ritenendo, quindi, non adeguata e non specifica la formazione pure effettuata dalla ditta. Infatti, al test di verifica somministrato dall’ispettrice S. emergeva una formazione non adeguata, con delle gravi lacune.”

 

Lavoratore di nazionalità indiana: nesso di causalità tra l’omessa somministrazione da parte del datore di lavoro della formazione in una lingua comprensibile e l’infortunio

 

Cassazione Penale, Sez.IV, 8 aprile 2015 n.14159 ha confermato la condanna del consigliere delegato di una s.r.l. “espressamente delegato per gli aspetti di igiene e sicurezza sul lavoro”, al quale “era stato contestato di avere cagionato per colpa generica e specifica lesioni personali gravi al lavoratore S.B.

In particolare il predetto lavoratore, adibito ad una operazione di manutenzione su di una macchina per pressofusione finalizzata a sostituire una boccola che faceva da imbocco al pistone per l’iniezione dell’alluminio fuso all’interno dello stampo della macchina, mentre posizionava la propria mano all’altezza del buco in cui si doveva inserire il pistone per l’iniezione del metallo, a causa della manovra effettuata dal compagno di lavoro A., che aveva azionato il comando del pistone, si procurava le lesioni di cui al capo di imputazione.

Il pistone entrava infatti a forza nel buco predisposto attraverso la boccola in fase di smontaggio, tranciando di netto parte del dito pollice del lavoratore S.B..”

 

La Cassazione dà ragione ai giudici della Corte di appello riconoscendo “la sussistenza del nesso causale tra la omessa somministrazione al lavoratore di un’adeguata formazione, in una lingua che egli avrebbe potuto comprendere, (essendo egli di nazionalità indiana) e non già in lingua italiana, circa le modalità con cui procedere all’operazione che stava eseguendo e l’infortunio.

Se egli avesse avuto una formazione adeguata, non avrebbe agito con quelle modalità e, in particolare, non avrebbe appoggiato la mano in prossimità del foro nel quale doveva entrare il pistone, mentre il suo compagno di lavoro A. avrebbe evitato di azionare la macchina in quel momento.”

 

Condannato un datore di lavoro che avrebbe dovuto accertare se le “procedure scritte” di movimentazione consegnate ai lavoratori fossero state comprese e recepite dagli stessi e in particolare da quelli stranieri

 

In Cassazione Penale, Sez.IV, 1° ottobre 2013 n.40605, il datore di lavoro D.P. (quale legale rappresentante di una cooperativa) è stato condannato per aver omesso di “assicurare informazioni sulla sicurezza, osservando in particolare, per quanto interessa in questa sede, che la formazione fornita al lavoratore C.G. (impartite mediante due incontri di quindici minuti ciascuno) non fosse adeguata.”

Il lavoratore C.G. era peraltro un lavoratore straniero.

 

La Corte conferma la decisione del giudice del merito, il quale, “richiamati i principi giurisprudenziali riguardanti i precisi doveri che incombono sul datore di lavoro in tema di formazione sulla sicurezza dei propri dipendenti, ha considerato che due soli incontri di quindici minuti ciascuno sono insufficienti tenuto conto altresì degli argomenti trattati, sulla scorta di quanto riferito dai lavoratore stesso C.G.: ha rilevato inoltre che sarebbe stato onere del D.P. accertare se le “procedure scritte” di movimentazione consegnate ai lavoratori fossero state comprese e recepite dagli stessi e in particolare da quelli stranieri, come il C.G. a, e a tale questione ha dato risposta negativa.”

 

Lavoratore di nazionalità rumena: tecnico qualificato di cantiere ma adibito ad operaio “tuttofare” con mansioni indefinite e cambi frequenti di mansione cui non seguono formazione e informazione sui rischi

 

In Cassazione Penale, 21 marzo 2012 n.11112 vengono giudicate le responsabilità legate al decesso di un operaio di nazionalità rumena “il quale per rimuovere del fango dall’albero motore di un autocarro aziendale (Fiat 130) che stava utilizzando [...], postosi tra la scocca del camion ed il cassone ribaltabile, determinava l’abbassamento repentino di quest’ultimo che lo travolgeva procurandogli gravi lesioni al capo che ne determinavano l’immediato decesso.”

 

Era stato accertato che l’operaio, “assunto formalmente come impiegato, non era investito nell’azienda dì specifiche funzioni, svolgendo diversi tipi di lavori manuali, soprattutto a beneficio della sfera privata del (...), divenendo sostanzialmente un “tuttofare”, uomo di fiducia del datore di lavoro”.

 

La Corte premette che “al momento del fatto, il [lavoratore, n.d.r.] stava espletando delle mansioni non corrispondenti alla qualifica di assunzione che era quella di “impiegato tecnico di cantiere”.”

 

E prosegue: “vero che dal punto di vista del diritto civile il datore di lavoro può esercitare unilateralmente lo “ius variandi” delle mansioni del dipendente, sebbene nei limiti consentiti dall’art.2103 cod. civ.

Ma dal punto di vista del rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni, al cambio delle mansioni deve seguire un’adeguata formazione del lavoratore ed informazione sui rischi della sua attività.”

Infatti “con consolidata giurisprudenza, questa Corte ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a Cui è addetto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4063 del 04/10/2007 Ud. (dep. 28/01/2008), Rv. 238540; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41997 dei 16/11/2006 Ud. (dep. 21/12/2006), Rv. 235679).”

 

Dunque, “poiché il datore di lavoro è tenuto a rendere edotta i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, consegue che è ascrivibile al datore di lavoro, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto dì lesioni colpose allorché abbia destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all’improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41707 del 23/09/2004 Ud. (dep. 26/10/2004), RV. 2302579).”

 

Tornando al “caso di specie, la violazione di tali regole di prevenzione e sicurezza si palesa evidente, se solo si ponga mente alla attività svolta dal [lavoratore], lo si ripete, qualificato “impiegato tecnico di cantiere”, ma in realtà adibito alle più svariate mansioni, anche manuali, non solo nell’ambito aziendale, ma anche come “tuttofare” rispetto alle esigenze personali del (...).

Pertanto la peculiarità del [lavoratore], non sta tanto nel fatto che egli abbia svolto mansioni diverse da quelle di regola svolte, bensì nei fatto che a questi siano state attribuite mansioni “indefinite”, con conseguente deficit di formazione ed informazione.”

 

In conclusione, “ne consegue che, una volta che il lavoratore sia addetto a svolgere funzioni per le quali non ha ricevuto adeguata formazione; soprattutto, come nel caso che ci occupa, quando la “fluidità” di tali mansioni non consente di definire in modo preciso il suo profilo professionale; quando questi ponga in essere comportamenti imprudenti (smontaggio di un circuito idraulico a cassano alzato), non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale ed imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione.

Non può pertanto essere condivisa la conforme pronuncia del giudice di merito che, nell’escludere la responsabilità del datore di lavoro (...), ha ricondotto l’evento mortale alla negligenza della stessa vittima, che con il suo comportamento avrebbe posto in essere una condotta idonea da sola a determinare l’evento.”

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. 3 - Sentenza n. 41129 del 03 ottobre 2016 - Smontaggio del ponteggio, PIMUS e preposto straniero. Violazioni di un datore di lavoro

 

Cassazione Penale, Sez. 4, 08 aprile 2015, n. 14159 - Infortunio ad un lavoratore indiano: è necessaria una formazione in una lingua che sia in grado di comprendere

 

Corte di Cassazione - Quarta Sezione Penale - Sentenza n. 40605 del 1 ottobre 2013 - Incontri formativi troppo brevi e mancata verifica della comprensione delle procedure da parte del lavoratore straniero.

 

Corte di Cassazione - Penale Sezione IV - Sentenza n. 11112 del 21 marzo 2012 -  Pres. Marzano – Est. Izzo – P.M. Scardaccione - Ric. parte civile. - L’obbligo da parte del datore di lavoro di assicurare al lavoratore una formazione adeguata in materia di sicurezza sul lavoro va riferito a tutte le singole mansioni che lo stesso è chiamato a svolgere e a tutti i rischi che può correre.



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