L’obbligo del CSE di emanare l’ordine di sospensione delle attività
Si ritorna a parlare in Cassazione della figura del coordinatore per la sicurezza in esecuzione nei cantieri temporanei o mobili ( CSE), dei suoi compiti o meglio dei suoi obblighi, delle sue responsabilità per eventuali infortuni sul lavoro che dovessero accadere nel cantiere nel quale svolge la sua attività e a parlare altresì dei rischi per la gestione dei quali lo stesso assume una posizione di garanzia. E’ una sentenza questa in commento riguardante l’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. la cui applicazione è oggetto di interpretazioni diverse da parte di magistrati, giudici e operatori di sicurezza, cosa questa che dovrebbe indurre il legislatore a rivedere se non a riscrivere l’articolo stesso allo scopo di rendere più chiare le disposizioni in esso contenute.
Lo scrivente ha già espresso in merito alcune osservazioni e riflessioni fin dal 2020 e in particolare nel commentare la sentenza n. 10136 del 16 marzo 2020 della IV Sezione penale della stessa Corte di Cassazione, pubblicata nell’articolo "La gestione dei rischi affidata ai CSE nei cantieri edili" allorquando ha focalizzato la sua attenzione sulla disposizione di cui alla lettera e) del comma 1 di tale articolo nella quale viene indicato che il CSE è tenuto a contestare per iscritto alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati “le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94. 95, 96 e 97, comma 1 oltre che alle prescrizioni del PSC, ove esistente”.
Dalla lettura di tale disposizione appare evidente che tale contestazione è stata richiesta dal legislatore allo scopo di farne oggetto di segnalazione al committente o al responsabile dei lavori perché potesse intervenire, ma, contenendo in esso gli articoli stessi tutti gli obblighi di sicurezza a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici nonché dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e dei lavoratori autonomi, è facile pensare che il legislatore abbia voluto invece affidare al CSE il compito diretto di controllare che i soggetti sopraindicati rispettino le disposizioni di sicurezza assegnandogli così una sorta di posizione di controllo e di garanzia nell’ambito della sicurezza del cantiere, il che in effetti non è rimanendo sempre tale posizione esclusivamente in capo ai singoli soggetti citati e dovendo lo stesso occuparsi invece della gestione della sicurezza del cantiere.
Ancor prima per la verità, degli obblighi del CSE si era già occupato nel 2016 l’ingegnere Carmelo G. Catanoso che nell’articolo “L’attività del CSE: controllore aggiunto o regista della sicurezza”, dopo avere fatto una approfondita analisi dei vari commi dell’articolo 92 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., ha analogamente reputato opportuno, per tenere conto sia delle dinamiche organizzative e produttive del settore delle costruzioni che delle varie e ripetute pronunce della Corte di Cassazione, che il legislatore rivedesse approfonditamente i contenuti di tutto il Titolo IV e in particolare gli obblighi del CSE anche per riavvicinarsi al resto dei Paesi della UE che hanno definito tale figura appunto non come un controllore aggiunto ma come un regista della sicurezza sul lavoro durante il processo costruttivo.
Il caso di cui a questa sentenza in commento ha riguardato l’infortunio di un lavoratore, impegnato ad eseguire lavori di ampliamento e di realizzazione della copertura a tetto di un fabbricato, caduto da una altezza di quattro/cinque metri e deceduto perché privo di strumenti di protezione per la caduta dall'alto quali le linee vita, i dispositivi di ancoraggio, i connettori e assorbitori di energia, i cordini, ecc..
Il coordinatore era stato accusato del reato di cui all'art. 589, commi 2 e 3, cod. pen. per avere omesso di verificare l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento ed era stato assolto in primo grado per non avere commesso il fatto, avendo ritenuto i giudici del Tribunale che avesse adeguatamente ottemperato ai doveri concernenti il suo ruolo di alta vigilanza per essere andato in cantiere più volte imponendo al datore di lavoro di obbligare i dipendenti a indossare i dispositivi individuali di sicurezza nonché a conformarsi alle indicazioni del POS in sede di esecuzione delle lavorazioni. La Corte di Appello ha invece riformato la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale dichiarando il coordinatore stesso responsabile ai soli effetti civili del reato a lui ascritto, condannandolo al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Secondo la stessa Corte, infatti, l’imputato, consapevole del mancato utilizzo dei DPI da parte dei lavoratori e che tale circostanza costituisse una situazione di immediato pericolo, sarebbe dovuto intervenire ad adottare un provvedimento di sospensione.
L’imputato ha ricorso per cassazione sottolineando che il rischio che aveva portato all’infortunio era un rischio specifico dell’impresa esecutrice e quindi fuori della competenza del coordinatore e quindi della sua competenza in quanto tale figura è chiamata a gestire i rischi di natura interferenziale. Lo stesso ha sostenuto inoltre che vi era stata una erronea applicazione da parte della Corte di Appello dell'art. 92, comma 1 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008 nel ritenere sussistente l'obbligo di sospendere le lavorazioni, un profilo di colpa questo mai contestatogli in quanto gli era stato invece attribuito di aver omesso di verificare l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice delle disposizioni pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.
La suprema Corte ha rigettato il ricorso perché ritenuto infondato e nel fare ciò ha precisato che il coordinatore per la sicurezza ha l'obbligo di legge di emanare l'ordine di sospensione per contrastare una situazione di pericolo grave e imminente direttamente percepibile a prescindere dal potere-dovere di controllo dei rischi interferenziali, come a volere dire che deve intervenire ad adottare tale provvedimento anche se la situazione di pericolo è derivata da un rischio specifico di una singola impresa.
Analisi della sentenza: il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello ha riformata la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale dichiarando un coordinatore per l’esecuzione dei lavori responsabile agli effetti civili del reato a lui ascritto, condannandolo al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Il coordinatore era stato accusato del reato di cui all'art. 589, commi 2 e 3, cod. pen. per aver omesso di verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento cosicché un lavoratore, impegnato a eseguire lavori di ampliamento e di realizzazione della copertura a tetto di un fabbricato, privo di strumenti di protezione per la caduta dall'alto (quali linee vita, dispositivo di ancoraggio, connettori, assorbitori di energia, cordini, ecc.), era precipitato dall'altezza di quattro/cinque metri riportando un politrauma che ne aveva causato il decesso.
L’imputato era stato assolto dall'accusa in primo grado per non aver commesso il fatto, ritenendo i giudici del Tribunale che avesse adeguatamente assolto ai doveri concernenti il suo ruolo di alta vigilanza operando gli accessi sui luoghi in più date e imponendo al datore di lavoro nelle ultime due occasioni di “obbligare i dipendenti a indossare dispositivi individuali di sicurezza” nonché a conformarsi alle indicazioni del POS in sede di esecuzione delle lavorazioni. Era, quindi, intervenuto a elevare formale richiamo al datore di lavoro sul rispetto delle previsioni del piano di sicurezza.
Su appello delle sole parti civili, i giudici della Corte territoriale hanno, invece, ritenuto che fosse fondato l'assunto della difesa di parte civile secondo la quale l’imputato, in qualità di coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, non avrebbe dovuto limitarsi a effettuare un controllo notarile circoscritto a verifiche meramente formali, ma avrebbe dovuto accertare che tutte le misure di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro fossero effettivamente adottate in concreto e avrebbe dovuto, altresì, attivare, a fronte di evidenti irregolarità del cantiere, i poteri di inibizione riconosciutigli dalla legge in relazione a situazioni di pericolo nettamente evidenti e iri vistosa difformità rispetto alle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. In particolare, la circostanza che il coordinatore fosse assolutamente consapevole del mancato utilizzo dei dispositivi individuali di sicurezza da parte dei lavoratori risultava provata proprio dai verbali relativi ad alcune verifiche che egli aveva effettuato anche pochi giorni prima dell'incidente, dai quali emergeva che lo stesso avesse provveduto a elevare una formale contestazione al datore di lavoro sul rispetto della previsione del piano di sicurezza e, più specificamente, che gli avesse imposto di obbligare i dipendenti a indossare i dispositivi individuali di sicurezza. La Corte aveva ritenuto che tale circostanza avesse provata la presenza di un “pericolo grave e imminente” e avesse rappresentato, pertanto, un motivo più che sufficiente per adottare il provvedimento di sospensione fino alla verifica dell'avvenuto adeguamento alle disposizioni di legge, non potendosi ritenere sufficiente un semplice richiamo al rispetto delle regole.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Il coordinatore ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la Corte di Appello era pervenuta alla dichiarazione della sua responsabilità in contrasto con i principi enunciati dalla Corte di legittimità in relazione al ruolo e alla sfera di responsabilità del coordinatore per la sicurezza. Non rientrando infatti tra i compiti del coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori un controllo costante e quotidiano e trascurando che il coordinatore per l'esecuzione è gestore del rischio interferenziale; il giudice di appello infatti, secondo il ricorrente, pur riconoscendo che il coordinatore della sicurezza in fase esecutiva fosse una figura da non sovrapporre a quella del datore di lavoro, ha contraddittoriamente riconosciuto la sua responsabilità pur escludendo che si sia trattato di un rischio interferenziale. L'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori, ha ricordato lo stesso, attiene ai rischi interferenziali, tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro.
Come altra motivazione il ricorrente ha dedotto una erronea applicazione da parte della Corte di Appello dell'art. 92, comma 1 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008, nel ritenere sussistente l'obbligo di sospendere le lavorazioni, ossia un profilo di colpa mai contestato allo stesso al quale era stato attribuito invece di aver omesso di verificare l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice delle disposizioni pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento. L'ipotesi considerata dalla Corte, ossia l'immediata sospensione delle lavorazioni, ha ancora evidenziato il ricorrente, è stata ritenuta in casi di macroscopiche carenze organizzative o di attuazione della normativa antinfortunistica comportanti una situazione di pericolo grave e imminente, ossia in ipotesi diverse dalla idoneità di quanto previsto dal PSC e dal POS a garantire la sicurezza dei dipendenti. La sentenza, secondo lo stesso ricorrente, aveva inoltre ampliata la sua posizione di garanzia riferendola ai rischi specifici propri dell'attività della singola impresa. L'evento mortale infatti era stato ritenuto riferibile all'omesso impiego di dispositivi di sicurezza e prevenzione rispetto a cadute dall'alto sul quale, come considerato dal giudice di primo grado, avrebbe dovuto vigilare il datore di lavoro.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. E’ bene ricordare, ha così sostenuto la stessa, che il potere-dovere inibitorio di sospensione dei lavori, attribuito al coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva dall'art. 92, comma 1, lett. f), del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, è correlato a qualsiasi ipotesi in cui tale garante riscontri direttamente un pericolo grave e imminente, a prescindere dalla verifica di specifiche violazioni della normativa antinfortunistica e del rischio interferenziale, la cui gestione è, invece, correlata agli obblighi di alta vigilanza, previsti dalle lettere a) e d) del medesimo art. 92. L'omessa adozione dell'ordine di sospensione dei lavori costituisce, dunque, secondo la suprema Corte, una delle possibili omissioni addebitabili al coordinatore per la sicurezza, correttamente individuate qualora sia contestata la violazione dell'art. 92 D. Lgs. n. 81/2008.
I compiti e la funzione normativamente attribuiti alla figura del coordinatore per la sicurezza, ha ricordato ancora la suprema Corte, risalgono all'entrata in vigore del D. Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della Direttiva 92/57/CEE), nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, a fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento implicanti particolari competenze tecniche, altrimenti su di lui ricadenti. La definizione dei relativi compiti e della connessa sfera di responsabilità discende, pertanto, da un lato, dalla funzione di generale alta vigilanza che la legge demanda allo stesso committente e dall'altro dallo specifico elenco di obblighi, originariamente contenuto nell'art. 5 del D. Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, attualmente trasfuso nell'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008, a mente del quale il coordinatore per l'esecuzione è tenuto, tra l'altro, a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto che, a prescindere dal dovere-potere di controllo del quale il coordinatore per la sicurezza è garante nell'area del rischio interferenziale, fosse addebitabile allo stesso la violazione dell'obbligo previsto dalla legge di emanare l'ordine di sospensione per contrastare una situazione di pericolo grave e imminente. L'omessa adozione di qualsivoglia dispositivo di prevenzione del rischio di cadute dall'alto ha rappresentato, infatti, una macroscopica violazione dell'attuazione del piano antinfortunistico immediatamente percepibile. Nel caso concreto, peraltro, i giudici hanno accertato tramite prova documentale che il coordinatore fosse consapevole della predetta violazione.
Il ricorso è stato, pertanto rigettato e al rigetto è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., nonché alla rifusione delle spese sostenute da alcune parti civili liquidate in 4.800 euro oltre accessori come per legge se dovuti.
Gerardo Porreca
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