Interruzione del nesso fra evento lesivo e condotta del datore di lavoro
E’ ancora l’interruzione o meno del nesso causale fra un evento infortunistico e la condotta omissiva del datore di lavoro l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione, che fa seguito a quella di recente pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 4/6/2018 di questo stesso sito, sull’applicazione del principio di autoresponsabilità dei lavoratori (Sez. IV penale n. 15186 del 5/4/2018) e a quella pubblicata sul quotidiano del 26/3/2018 sul comportamento imprudente di un lavoratore infortunato ritenuto tale da non interrompere il nesso causale ex art. 40 c.p. (Sentenza Sez. IV penale n. 4916 dell’1/2/2018).
Nel caso in esame, che riguarda un infortunio accaduto in una azienda a un lavoratore investito da una fiammata sprigionatasi mentre un altro lavoratore stava tagliando, servendosi di un flessibile munito di disco abrasivo, il coperchio di un fusto metallico che aveva già contenuto del gasolio e per farne un uso personale, la Suprema Corte di Cassazione ha individuato un comportamento dei lavoratori non rientrante nelle loro mansioni e tale quindi da scagionare da qualsiasi responsabilità il datore di lavoro che per tale motivo era stato assolto sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello.
Logica e corretta in punto di diritto è stata ritenuta dalla Corte suprema la decisione dei giudici di merito che avevano individuato nell’accaduto dei comportamenti da parte dei lavoratori che, per anormalità, atipicità ed eccezionalità, erano stati tali da interrompere il nesso eziologico tra l'evento lesivo e la condotta inosservante addebitata al datore di lavoro ritenendo altresì irrilevante che il fatto si fosse verificato sul luogo in cui gli stessi prestavano la loro attività lavorativa.
L’evento infortunistico e le sentenze dei primi gradi di giudizio
La Corte di Appello ha confermata la sentenza, appellata dalla parte civile, con la quale il Tribunale aveva assolto il datore di lavoro di un’impresa perché il fatto non costituisce reato, dall'imputazione per il reato di cui agli artt. 590, commi 1, 2, 3 del codice penale, 583, comma 1, n. 1 del codice penale, in relazione all'art. 163 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, perché aveva cagionato a un lavoratore dipendente delle lesioni personali gravi, consistite in ustioni di terzo grado con perdita di sostanza agli arti inferiori; per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare per non avere provveduto ad alcuna indicazione o segnalazione di pericolo, né all'affissione di alcuna istruzione circa le cautele da osservarsi su di un fusto metallico impiegato per contenere gasolio (violazione dell'art. 163 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008) per cui il dipendente, con la qualifica di operaio specializzato di terzo livello; mentre stava "assistendo” un collega che stava tagliando con un flessibile il coperchio di un fusto metallico chiuso che aveva contenuto gasolio, di proprietà dell'impresa stessa e che aveva ricevuto dal lavoratore, dipendente di un’altra impresa operante nello stesso cantiere, era stato investito dalle fiamme sprigionate nell'esplosione provocata dall'innesco tra i vapori di gasolio presenti nel fusto e le scintille e il calore generati dal contatto del disco abrasivo sulla lamiera, esplosione che proiettava il coperchio contro le gambe del lavoratore infortunatosi che riportava le ustioni sopra descritte. Fatto aggravato dalla gravità delle lesioni, avendo l’infortunio provocato una malattia della durata superiore ai quaranta giorni e perché commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, adducendo alcune motivazioni e chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte di Appello. Secondo il ricorrente non erano condivisibili le conclusioni alle quali era giunta la Corte di Appello né sul piano logico né su quello giuridico avendo l'istruttoria dibattimentale accertata la violazione di una serie di norme antinfortunistiche rappresentata dall'utilizzo di fusti non adeguati, sprovvisti della necessaria segnalazione del pericolo, e dalla mancata istruzione e formazione del personale sul loro corretto utilizzo e smaltimento, nonché la sussistenza del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento. L'incidente, infatti, era avvenuto a seguito della cessione di un fusto, da parte di un dipendente della società amministrata dall'imputato, ad un collega della parte civile. Il fusto veniva trasportato a poche decine di metri, sempre all'interno del cantiere, dove poi è avvenuto l'infortunio. La cessione e l'inconsapevole utilizzo del fusto pericoloso sarebbero avvenuti, secondo il ricorrente, a causa della mancata formazione del personale, che non conosceva le norme di sicurezza, per cui la condotta del datore di lavoro sarebbe stata causa e non semplice occasione del comportamento imprudente del dipendente. Secondo il ricorrente quindi la condotta del lavoratore non era da considerarsi imprevedibile, né tantomeno esorbitante, dal momento che lo smaltimento dei fusti era un'attività normale, svolta ordinariamente dal lavoratore stesso.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni avanzate con il ricorso sono state ritenute infondate dalla Corte di Cassazione che ha pertanto rigettato il ricorso medesimo. Secondo la suprema Corte le sentenze di merito, con motivazioni corrette e prive di contraddizioni in punto di diritto, e pertanto immuni dai denunciati vizi di legittimità, avevano esclusa l'esistenza di un nesso causale tra la condotta dell'imputato, datore di lavoro, accusato di avere utilizzato dei fusti per il gasolio privi di dell'indicazione della natura e pericolosità del contenuto, e la condotta del tutto imprevedibile prima del proprio dipendente che aveva ceduto gratuitamente il fusto vuoto al dipendente di altra ditta e poi del lavoratore di quest’altra ditta che, per fare un uso personale del fusto, aveva deciso di tagliarlo con un flessibile munito di disco abrasivo.
Correttamente quindi la sentenza impugnata, secondo la Sez. IV, aveva ritenuto interrotto il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento dannoso a causa dell'imprevedibilità ed abnormità della condotta del lavoratore completamente esorbitante dalle sue attribuzioni e dall'uso degli strumenti di lavoro in relazione alle mansioni affidategli. Del resto già il giudice di primo grado aveva sottolineato come la cessione a terzi e l'uso abnorme del fusto non potevano essere in alcun modo prevedibili dal datore di lavoro dell'impresa sicché la responsabilità connessa a siffatto uso non poteva essergli imputata. Ciò sul corretto rilievo che è vero che l'incidente sarebbe stato potenzialmente prevenibile attraverso un'indicazione di pericolo apposta sul fusto, ma che l'omissione in imputazione (omessa indicazione/segnalazione del pericolo) non può essere addebitata all'imputato per qualsivoglia evento occorso nel cantiere, atteso che la norma contestata non pone un obbligo generale di garanzia nei confronti della generalità dei soggetti, ma un dovere specifico di prevenzione da parte del datore di lavoro connesso al contatto degli operai con potenziali fonti di pericolo operanti nello svolgimento dell'attività lavorativa.
Più in particolare, ha evidenziato la Sez. IV, nel caso in esame non è risultato essere stata contestata la violazione di un obbligo generale di apporre indicazioni sui fusti contenenti combustibili ma la violazione di un dovere generico di prevenzione dei pericoli per le lavorazioni di cantiere né sul punto, come hanno rilevato i giudici di merito, è emersa alcuna prova che i fusti rappresentassero in sé un pericolo per le operazioni di cantiere avendolo invece rappresentato solo ed esclusivamente in relazione ad una deviazione del tutto anomala dalle operazioni medesime (condotta deviante posta in essere da soggetto estraneo all'impresa, per interesse suo proprio, previo acquisto non autorizzato del bene, con imprudenza). La Corte suprema ha evidenziato, altresì, che occorre accertare in concreto la colpa del datore di lavoro, individuando la regola di condotta generica o specifica che si assume violata, la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento lesivo, il rapporto causa effetto tra violazione ed evento, e se la regola violata era funzionale a evitare il tipo di evento in concreto verificatosi per cui di conseguenza nel caso in esame deve essere esclusa la responsabilità del datore di lavoro per gli eventi estranei alla funzione propria della regola violata, anche se cagionati dalla condotta inosservante.
La Corte di Cassazione ha ribadito ancora il consolidato principio vigente in tema di antinfortunistica in base al quale perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Ed è quello che è successo nel caso in esame nel quale tanto la cessione ad un estraneo del fusto da parte del dipendente del ricorrente (e già ciò sarebbe bastato) che l'utilizzo che ne ha fatto il terzo sono risultati essere accadimenti eccentrici rispetto alle mansioni specificamente assegnate nell'ambita del ciclo produttivo.
Giustamente, quindi, la Corte territoriale, ha così proseguito la suprema Corte, aveva rilevato con motivazione logica e priva di contraddizione che nel caso in esame, doveva essere riconosciuta l'abnormità del comportamento del lavoratore, essendosi l'evento verificato perché un dipendente dell'imputato, del tutto inopinatamente, ha ceduto gratuitamente un fusto di gasolio di proprietà del suo datore di lavoro, ormai vuoto il cui uso normale era quello di un qualsiasi recipiente di combustibile, utilizzato per contenerlo e trasportarlo, al dipendente di un'altra impresa operante nello stesso cantiere, che lo ha richiesto per farne un uso personale e privato, in nulla attinente al lavoro che si svolgeva in loco e aveva quest'ultimo compiuto sul fusto una manovra del tutto imprevedibile, perché estranea alla destinazione e alle modalità di utilizzo della cosa, ovvero il taglio della lamiera con un flessibile munito di disco abrasivo, con l'assistenza del lavoratore che ha subito poi l’infortunio.
“Logico, oltreché corretto in punto di diritto”, ha così concluso la Corte di Cassazione, “è stato l'aver ritenuto che si tratti di comportamenti che, per anormalità, atipicità ed eccezionalità, sono tali da interrompere il nesso eziologico tra l'evento lesivo e la condotta inosservante addebitata all'imputato, essendo irrilevante che il fatto si sia verificato sul luogo in cui i predetti prestavano attività lavorativa, poiché deve escludersi ogni relazione tra i comportamenti in questione e il lavoro cui gli stessi erano addetti”. Né si poteva ritenere, così come affermato dal ricorrente, che la cessione del fusto ad un estraneo potesse rientrare tra le modalità normali di smaltimento dello stesso, rischio che doveva essere governato dal datore di lavoro.
Gerardo Porreca
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