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Infortuni di lavoratori all’estero: giurisdizione e legge applicabile

Infortuni di lavoratori all’estero: giurisdizione e legge applicabile
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

30/06/2022

I criteri di accertamento delle responsabilità in caso di infortuni di lavoratori dipendenti da aziende italiane inviati in Paesi stranieri: principi ed esempi tratti dalle recenti sentenze della Cassazione Penale e Civile.

Si propongono di seguito, come sempre senza pretese di esaustività, le sintesi di due recenti sentenze emanate rispettivamente dalla Cassazione Penale nel 2021 e dalla Cassazione Civile (Sezione Lavoro) nel 2022, da cui si possono cogliere in via esemplificativa i principali criteri che regolano la materia oggetto di questo contributo.

Committente, appaltatore e subappaltatore condannati per il decesso di un elettricista (dipendente da una società italiana) su una nave costruita in un cantiere cinese e ancorata in India: la rilevanza della mancata formazione del lavoratore già in Italia prima dell’invio

 

Con una sentenza dell’anno scorso (Cassazione Penale, Sez.IV, 27 settembre 2021 n. 35510), la Suprema Corte ha confermato la condanna di O.G., C.P. e B.G. per il reato di omicidio colposo in danno del lavoratore B.A., il quale “prestava la propria opera di elettricista sulla chiatta denominata “B.P.” battente bandiera indiana”.

 

In particolare la vittima, “allorché l’imbarcazione si trovava ancorata nella baia antistante il porto di Bombay (India) in mare aperto - ove avrebbe dovuto effettuare taluni lavori di impiantistica, unitamente al collega ing. M.G. col quale aveva appena finito di comunicare via radio”, si infortunava “quando nell’atto di utilizzare la scala fissa a pioli verticale, “priva di gabbia” e di altri idonei presidi di sicurezza, si sbilanciava precipitando nel vuoto e accasciandosi sul piano di calpestio più prossimo; in questo modo, a seguito del trauma da precipitazione, riportava lesioni gravissime quali: “politraumatismo contusivo-fratturativo, a prevalente applicazione cranica, produttivo di encefalopatia acuta ed irreversibile” a cagione delle quali decedeva successivamente, nel corso delle manovre di soccorso.”


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E’ utile premettere che si tratta di una sentenza molto articolata, per cui - per esigenze di brevità - si riportano di seguito solo gli elementi rilevanti sotto il profilo dell’oggetto del presente contributo (la giurisdizione competente e la legislazione applicabile), mentre per i dettagli si rinvia alla pronuncia integrale.

 

Fatta tale premessa, la posizione dei tre imputati era la seguente:

  1. O.G. (subappaltatore) è stato condannato, quale titolare della B.S. s.r.l. per aver omesso di “informare adeguatamente il dipendente sui rischi e sulle precauzioni da adottarsi in caso di utilizzo di scale verticali a pioli, prive di qualsiasi presidio di sicurezza e di vigilare affinché il B.A. indossasse e/o utilizzasse soprattutto in tali circostanze i dispositivi di protezione individuale ( elmetto, cintura di sicurezza)”;

 

  1. B.G. e C.P. rispondevano penalmente perché, “in cooperazione colposa tra loro e con l’O.G., rispettivamente il C.P., in qualità di legale rappresentante della C.P. s.p.a., committente dei lavori” (come da contratto stabilito per la costruzione della nave con due società cinesi) e il B.G. quale datore di lavoro della B.G. s.p.a. edappaltatore dei lavori che a sua volta ha subappaltato parte dei lavori alla ditta B.S. s.r.l.”, durante i lavori di messa in marcia di un impianto per il trasporto materiali sulla chiatta, non avevano, “in relazione alla natura dell’attività oggetto di appalto e subappalto, ognuno per la parte di propria competenza, effettuato una mirata e completa analisi e valutazione dei rischi connessi ai lavori su indicati, organizzato un preventivo sistema di informazione e formazione sui rischi individuati e su come operare in sicurezza ed inoltre per non aver nominato il preposto nonostante i lavori fossero in atto (violazione degli artt.4, 7, 21 e 22 D.Lvo n.626 del 1994) e per aver fatto utilizzare al B.A., una scala fissa a pioli, non regolare ai fini della sicurezza, perché priva di idonee misure atte ad evitare la caduta delle persone (violazione dell’art.17 d.P.R.n.547 del 1955); cagionavano per tali cause la morte del B.A.. In Bombay (India) il 3 aprile 2008.”

 

Secondo i Giudici di merito, “la scala verticale a pioli, del tipo di quelle presenti comunemente sulle navi seppure per raggiungere spazi di uso non frequente, non era in sé stata costruita illegalmente, tanto vero che la “B.P.” [la chiatta, n.d.r.] aveva superato le verifiche degli enti di classifica italiano ed indiano (… e IRS): all’epoca, infatti, non era imposta l’adozione di gabbie di protezione e simili. Ma l’uso di quella scala comportava un rischio significativo di cadute da un’altezza di m.10 circa, e dunque avrebbero dovuto essere certamente adottate misure di protezione ed il lavoratore avrebbe dovuto essere adeguatamente informato e formato sull’uso della medesima e delle altre simili presenti sulla nave”.

 

La sentenza specifica poi che “nel cantiere cinese, luogo di costruzione della nave e di montaggio del sistema di movimentazione, e a bordo dell’imbarcazione in India, era presente personale delle società C.P. Logisitics s.p.a., B.G. s.p.a. e B.S. s.r.l.”.

 

Quanto al lavoratore B.A., egli “aveva seguito anche la fase finale della realizzazione dell’impianto B.G. in Cina (infatti la parte elettrica era stata effettuata nella fase finale della costruzione) e dal 1° aprile 2008 prestava la sua attività a bordo della nave in India”.

 

E’ opportuno sottolineare anche che B.A. “lavorava per la prima volta a bordo di un’imbarcazione”.

 

Nel respingere i ricorsi e confermare le condanne, la Cassazione ha chiarito che il “motivo del ricorso del C.P., con cui il ricorrente si duole del difetto di giurisdizione italiana, per essersi verificato l’evento letale a bordo di una nave straniera in acque territoriali estere, è manifestamente infondato.”

 

Infatti - ha chiarito la Cassazione - “va premesso che, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (Sez.6, n.56953 del 21/09/2017, Guerini, Rv.272220; Sez.6, n.13085 del 03/10/2013, dep.2014, Amato, Rv.259486).”

 

Dunque, “ciò posto sul quadro giurisprudenziale in materia, nella fattispecie in esame, ai tre imputati è contestata, ai sensi degli artt.113 e 589 cod.pen., la condotta omissiva di mancata formazione ed informazione del lavoratore, obbligo al quale avrebbero dovuto adempiere non soltanto nel corso della navigazione, ma in epoca anteriore al momento dell’imbarco, in Italia, per prevenire qualsiasi rischio di infortunio.”

 

In pratica - ha precisato la Suprema Corte - “il datore di lavoro avrebbe dovuto provvedere all’obbligo di formazione già in Italia, prima di destinare il proprio dipendente sulla nave all’estero.”

 

Ciò detto, “pertanto, la doglianza difensiva va respinta sotto tale profilo, dovendosi comunque rilevare che le argomentazioni giuridiche appena esposte integrano le pur corrette considerazioni della Corte di appello, secondo la quale:

  1. è perseguibile in base alla legislazione italiana e davanti al giudice italiano la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro accertata a bordo di una nave battente bandiera straniera, quando detta violazione, ed i conseguenti effetti lesivi, non abbiano interessato gli appartenenti alla c.d. “comunità navale” sottoposta, come tale, alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene, ma bensì estranei alla detta comunità quali, nella specie, lavoratori italiani (Sez.4, n.7409 del 02/05/2000, D’Este, Rv.216605, richiamata anche da Sez.4, n.16028 del 15/01/2003, Hutar, Rv.225426), peraltro dipendenti di un’impresa italiana;
  2. la normativa italiana in materia infortunistica, essendo posta a presidio del bene fondamentale della salute in ambito lavorativo, di sicura rilevanza costituzionale, deve considerarsi di ordine pubblico, per cui i datori di lavoro e gli altri responsabili della sicurezza sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie, al fine di prevenire possibili infortuni, ovunque l’attività lavorativa si svolga; […]”.

 

In conclusione, secondo la Cassazione, “alla luce di tutti i predetti principi, la sottoposizione alla giurisdizione italiana è di palese evidenza nella fattispecie in esame” e “ciò implica necessariamente anche l’applicazione della disciplina relativa alla tutela della sicurezza dei lavoratori vigente in Italia, non potendosi immaginare che gli organi di giustizia italiani debbano interpretare la normativa straniera.”

 

Infarto di un lavoratore durante un viaggio di lavoro in Cina a causa dello stress lavorativo dovuto alle conseguenze della cancellazione di un volo (lunga attesa in aeroporto, pernottamento di fortuna e viaggio in treno di oltre 700 km per Pechino con 24 ore di veglia)

 

Con una sentenza di pochi mesi fa (Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 febbraio 2022 n. 5814), la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila che aveva rigettato la domanda degli eredi di S.V. (deceduto in Cina durante un viaggio di lavoro) volta ad ottenere la rendita ai superstiti ai sensi del D.P.R. n.1124 del 1965.

 

Queste le circostanze di fatto: “il decesso (del de cuius) [...] (in viaggio di lavoro in Cina (è) avvenuto a causa di una situazione di forte stress lavorativo, determinatasi tra il … 2012 e il … 2012, a seguito della cancellazione di un volo aereo per maltempo che lo aveva costretto ad una lunga attesa in aeroporto, ad un pernottamento di fortuna in un albergo e ad un successivo viaggio in treno di oltre 700 km sino a Pechino, ove aveva dovuto subito partecipare ad una importante riunione, con un periodo di veglia di quasi 24 ore consecutive”.

 

La sentenza aggiunge che S.V., “il successivo … 2012, veniva trovato morto (in Cina) nella sua camera d’albergo e che in ordine ai fatti esposti non sussisteva alcuna contestazione.”

 

Tra i vari motivi di ricorso, gli eredi hanno fatto presente che “la giurisprudenza della Corte, da sempre, riconosce la tutela indennitaria in presenza di infortuni in itinere derivanti dalla sottoposizione ad un “rischio generico aggravato dal lavoro”, configurabile quando il rischio generico è affrontato dal dipendente per finalità lavorative, come accaduto nella specie.”

 

La Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello la quale aveva escluso l’infortunio in itinere.

 

Secondo la Cassazione, infatti, è da ritenersi “errata la decisione impugnata là dove afferma che il rischio del lavoratore, integrato, in concreto, dalla cancellazione del volo e dagli eventi che ne sono susseguiti, con conseguente riduzione delle pause di riposo fisiologiche, risulta estraneo all’attività lavorativa”.

 

Di conseguenza “la situazione oggetto di giudizio va, viceversa, attratta, a pieno titolo, nella nozione di infortunio in itinere.”

 

Inoltre la Corte ha aggiunto che “neppure è condivisibile la pronuncia nella parte in cui esclude la deduzione - e la prova - di una “causa violenta”, dal momento che tale “statuizione non considera, infatti, che, nella fattispecie, viene in rilievo, quale dedotta causa della morte del de cuius, l’infarto acuto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è da inquadrare, ex se, nell’ambito della causa violenta”.

 

La sentenza precisa infatti che “l’infarto, dunque, configura infortunio sul lavoro (Cass. n.14085 del 2000 cit.; Cass. n.17676 del 2007 e numerose altre) quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo” e che, in tal senso, “la connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna.”

 

Nel caso di specie, “in conclusione, sulla base di quanto precede, osserva il Collegio come il giudice dell'appello, nella conduzione dell’indagine a lui demandata, non abbia fatto corretta applicazione delle regole e dei principi di diritto qui ricordati, così, in definitiva, incorrendo negli errori di diritto denunciati.”

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Scarica le sentenze di riferimento:

Cassazione Civile, Sez. Lav., Sentenza 22 febbraio 2022, n. 5814 - Infarto di un lavoratore durante un viaggio di lavoro all'estero: accolto il ricorso degli eredi sull'infortunio in itinere.

 

Cassazione Penale, Sez. 4, Sentenza 27 settembre 2021, n. 35510 - Caduta mortale dell'elettricista dalla scala verticale a pioli nella chiatta battente bandiera indiana. Subappalto e responsabilità.

 



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Rispondi Autore: Sandro Filippi - likes: 0
30/06/2022 (11:27:43)
Articolo molto interessante, visto che mi occupo di sicurezza di lavoratori che sono in circostanze molto simili.
Le sentenze mi sembrano molto logiche e ne condivido lo spirito applicativo del TUSSL.

Tuttavia ho una domanda a cui non trovo risposta. Supponiamo che:
1- La ditta DDD manda il lavoratore italiano LLL all'estero.
2- LLL (per esigenze tecniche, operative e/o di esperienza lavorativa) si trova in una posizione subordinata rispetto ad un altro lavoratore straniero, SSS.
3- SSS può essere in subappalto, o libero professionista, o a contratto tramite una agenzia. Comunque opera sempre per conto di e su mandato della ditta DDD.
4- SSS non parla italiano e può venire da qualsiasi parte del mondo (sul luogo di lavoro tutti parlano inglese), quindi difficilmente (o quasi mai) ha la formazione per Preposti come da TUSSL e accordi CSR.

Come posso quindi inquadrare e nominare un preposto in una circostanza simile?

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