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Il livello di dettaglio e la indelegabilità della valutazione dei rischi

Il livello di dettaglio e la indelegabilità della valutazione dei rischi

Autore: Arnaldo Maria Manfredi

Categoria: Sentenze commentate

20/11/2019

La Cassazione fornisce indicazioni sulla delegabilità e sul livello di dettaglio richiesto per la valutazione dei rischi. Un commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 37000 del 4 settembre 2019.

 

Con la pronuncia in esame – la Sentenza n. 37000 del 04 settembre 2019 - la Cassazione fornisce indicazioni sul livello di dettaglio richiesto per la valutazione dei rischi, confermando il proprio orientamento che ricollega direttamente al datore di lavoro la responsabilità per carenze della medesima, sia in sede di elaborazione del DVR  (documento di valutazione dei rischi) che nei documenti ad esso equiparati, quali ad es. i PSS (Piani Speciali di Sicurezza, oggi non più previsti) che andavano redatti in occasione di esecuzione di lavori in cantieri temporanei o mobili, sostituendo i POS (Piani operativi di Sicurezza).

L’assimilazione è fondata sulla funzione della comune valutazione dei rischi, assimilabile a quella del DVR .

 

Non a caso, l’art. 89 co. 1 lett. h) TUSL definisce il POS come “il documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell’articolo 17 comma 1, lettera a), i cui contenuti sono riportati nell’ALLEGATO XV”. I richiami normativi della sentenza sono tuttora validi perché riferibili anche ai POS.

 

È bene ricordare che per tale adempimento la responsabilità di parte datoriale (e specificamente del legale rappresentante) non viene meno anche in caso di delega ex art. 16 TUSL, giacché la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28 rientra tra gli obblighi non delegabili alla stregua dell’art. 17 TUSL.



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Il caso deciso, verificatosi nel 2011 in un cantiere mobile, concerne il ferimento di un lavoratore che, durante lo spollonamento con motosega di una ceppaia su terreno scosceso, veniva colpito al volto da un tronco appena tagliato, cadendo per 2,5m e subendo gravi lesioni.

 

L’infortunato risultava formato ed avere esperienza quarantennale circa l’ utilizzo della motosega.

 

Tuttavia, tale bagaglio di conoscenze era considerato del tutto inadeguato dai giudici, in quanto:

  1. il lavoratore non risultava formato per specifiche lavorazioni su terreno scosceso;
  2. la procedura utilizzata per il taglio dei tronchi non risultava comunque corretta (nella specie, l’operaio non eseguiva, prima dell’abbattimento, il c.d. taglio di direzione).

 

Al legale rappresentante della società era quindi contestato il reato di lesioni personali colpose (artt. 40 e 590 cp) nella sua qualità di datore e di direttore tecnico di cantiere stante la propria condotta concernente:

  • violazione dell'art. 96, comma 1, lett. g), d.lgs. 81/2008 (obbligo di redazione del Piano Operativo di Sicurezza di cui all’art. 89 TUSL), per aver redatto un piano inadeguato e carente quanto alla valutazione dei rischi specifici relativi alle operazioni di disboscamento, “omettendo di descrivere compiutamente le lavorazioni da svolgere e di optare per il taglio manuale dei tronchi solo nel caso di inefficacia dell'opera di disboscamento effettuata col mezzo meccanico a disposizione”;
  • violazione art. 37 co. 1 lett. b) TUSL per aver contravvenuto all’obbligo di fornire adeguata formazione e addestramento al manovratore “sulle manovre di taglio a due fasi […] comprensiva di un taglio di direzione e di un taglio di abbattimento, che avrebbe consentito di indirizzare la caduta del tronco” (fatto, §1);
  • violazione degli art. 75 e 77, comma 4, lett. d)” per esser contravvenuto all'obbligo di fornire al lavoratore predetto idonei dispositivi di protezione individuale per la fase di taglio degli alberi (nella specie, il "casco con visiera").

 

Il Tribunale di Ivrea assolveva l’imputato “per non aver commesso il fatto”.

 

La sentenza dava atto che la persona offesa avrebbe indossato “un casco con visiera” e che fosse un utilizzatore di motosegada oltre quarant’anni”. Tuttavia il lavoratore non avrebbe “mai seguito un corso per le procedure di sicurezza per l’abbattimento degli alberi” (Fatto, § 1.1).

Emergeva, infine, come il legale rappresentante dell’impresa (l’imputato) avesse conferito ad un dirigente, mediante delega notarile, pieni poteri in ordine alle misure di prevenzione e protezione sul cantiere. La delega era considerata valida sotto tutti i profili dettati dall’art. 16 TUSL.

 

Per contro, il piano predisposto dal delegato sarebbe stato inadeguato in quanto le misure di sicurezza previste non sarebbero state praticabili “non potendosi predisporre un parapetto regolamentare né utilizzare funi di trattenuta”, per cui la rimozione dei polloni sarebbe stata possibile solo con “l’escavatore o l'impiego di personale addestrato al taglio in posizioni critiche” (Fatto, §1.1).

 

In buona sostanza, acclarata la responsabilità del delegato, il legale rappresentante ne era tenuto indenne, di qui la formula assolutoria che dava atto dell’esistenza di condotte od omissioni penalmente rilevanti che non erano ricondotte all’imputato.

 

La Procura generale proponeva appello deducendo che:

  • il lavoratore infortunato non avrebbe “mai ricevuto una formazione per le procedure di sicurezza per l'abbattimento degli alberi”;
  • sarebbe stato sussistente il nesso causale tra l’evento dannoso e l’omessa formazione del lavoratore;
  • il documento contenente la valutazione dei rischi dell'attività di lavoro da svolgere e l'elaborazione di tale documento da parte del datore di lavoro non erano delegabili” (Fatto, § 1.2), con un riferimento implicito alle previsioni di cui all’art. 17 TUSL.

 

La Corte d’appello di Torino accoglieva il ricorso rilevando:

  • che “la persona offesa non era stata adeguatamente formata e informata sui rischi correlati all'operazione” assegnatagli,
  • l'inadeguatezza del piano predisposto dal delegato,
  • che l’imputato sarebbe diventato responsabile del piano “apponendovi la propria sottoscrizione e assumendosene la paternità.” (Fatto, § 1.3).

 

L’imputato chiedeva quindi la cassazione della sentenza, con ricorso che era rigettato.

 

Circa la sussistenza di un salto logico tra la “considerazione errata della non delegabilità del PSS e la richiesta di affermazione di responsabilità penale” (I motivo di ricorso, Fatto, § 2.1), la Cassazione ricordava che, accertata in primo grado la relazione tra l’inadeguatezza del piano (incluse “le carenze dei meccanismi di sicurezza adottati”) e le lesioni (Diritto, §1), l’appello riguardava semplicemente la riconduzione della responsabilità del piano all’imputato con riferimento al conferimento della delega.

 

La difesa lamentava poi:

  • vizio di illogicità, in quanto non sarebbero state individuate le diverse procedure da adottare per le lavorazioni “stante il funzionamento dell'escavatore e l'utilizzabilità della motosega per gli alberi più piccoli.” (II motivo di ricorso, Fatto, §2.2)
  • vizio di motivazione “per omesso esame di una prova offerta dalle parti” (III motivo di ricorso, Fatto, § 2.3), in particolare della documentazione sui corsi e l’addestramento dell’operaio nonché delle sue dichiarazioni da cui emergeva la sua esperienza quarantennale.

 

La Suprema Corte sottolineava l’inadeguatezza del Piano ribadendo che le carenze del piano riguardavano:

  • la mancata individuazione dei casi in cui procedere, rispetto all’ uso dell’escavatore rispetto al taglio da parte degli operai,
  • la mancata previsione di “personale specializzato nel settore del taglio di alberi posizionati in luoghi di particolare rischio” (Diritto, §2):
  • l’omissione di accorgimenti specifici per il “taglio di alberi in posizioni critiche”.

Di qui la lamentata genericità. Secondo i giudici, la Persona offesa, pur con la sua quarantennale esperienza, non poteva essere considerata specializzata ad operare in condizioni critiche (terreno scosceso), men che meno in mancanza di uno specifico addestramento.

 

La difesa sosteneva la violazione artt. 96 co. 1, lett. g) e 100 TUSL in quanto il DVR esisteva e sarebbe stato sottoscritto dal legale rappresentante e dal delegato, nonché l’adeguatezza e la conformità del piano agli artt. 100 e 104 TUSL (Fatto, § 2.4), nonché la violazione art. 16 TUSL assumendo la validità della delega e del piano.

 

In tale contesto di conformità al dettato normativo la penale responsabilità del sinistro sarebbe dovuta ricadere sul preposto “cui competeva la vigilanza sul cantiere.” (Fatto, § 2.5).

 

Tuttavia, la Cassazione illustrava come il PSS non potesse essere ritenuto conforme a legge, a ciò ostando:

  1. l'omessa indicazione delle lavorazioni da svolgere e della possibilità di optare per il taglio manuale dei tronchi solo in caso di inefficacia dell'opera di disboscamento grazie al mezzo meccanico;
  2. la mancata adeguata formazione e addestramento sulle manovre di taglio a due fasi, comprensiva di un taglio di direzione e di un taglio di abbattimento, che avrebbe consentito di indirizzare la caduta del tronco.” (Diritto §3).

 

In definitiva la Suprema Corte evidenziava come il sinistro fosse da ricollegare alle carenze del PSS, che “per sua natura, deve ritenersi assimilabile ad un Documento di Valutazione dei Rischi” (Diritto, §5) per mancata individuazione e attuazione delle procedure (in primo luogo l’adozione del c.d. taglio di direzione) per l’uso della motosega su tronchi in posizione critica e la mancata formazione dei lavoratori per operare su detti terreni scoscesi.

 

La paternità assunta sul documento dall’imputato implicava come questi fosse venuto meno agli obblighi di redigere e sottoporre ad aggiornamento il DVR di cui all’art. 28 d.lgs. 81/2008. Di qui la conferma della condanna.

 

 

Arnaldo Maria Manfredi, avvocato in Roma   

 

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione - Cassazione Penale sezione IV – Sentenza n. 37000 del 04 settembre 2019 - Taglio di alberi in posizioni critiche. Valutazione dei rischi e formazione.



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