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Gli infortuni mortali degli autisti nelle attività di scarico

Gli infortuni mortali degli autisti nelle attività di scarico
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

08/04/2022

Le operazioni svolte dai trasportatori non rientranti nelle loro competenze, le prassi di scarico, il mancato coordinamento, il traffico veicolare aziendale e le azioni interdette quali cause dei decessi: sentenze di Cassazione Penale.

Decesso dell’autista di un autoarticolato il quale, mentre si spostava a piedi dal magazzino al piazzale, veniva urtato dalle balle di cellulosa trasportate da un carrellista e trascinato dal carrello fino allo scarico della cellulosa

 

Con una recente sentenza (Cassazione Penale, Sez.IV, 6 dicembre 2021 n.44960), la Corte ha valutato le responsabilità del datore di lavoro dell’autista M.F., deceduto nel seguente modo.

 

Il giorno dell’infortunio la vittima “aveva posizionato il suo autoarticolato nella zona di banchina antistante il magazzino della ditta S., presso la quale operava il carrellista E.C., il quale stava procedendo, con l’impiego di un carrello elevatore, al carico di alcune balle di cellulosa sull’autoarticolato del M.F.”.

 

Dal canto suo l’autista “si spostava a piedi dal magazzino al punto del piazzale ove si trovava il suo automezzo, venendosi così a trovare in una posizione di pericolo; a un tratto, durante il carico delle ultime balle, il M.F. veniva urtato da tergo da una delle balle trasportate dal E.C. con il carrello elevatore e, in conseguenza di ciò, veniva trascinato dal carrello in movimento fino allo scarico della cellulosa, evento dal quale derivava l’immediato decesso del M.F. a causa di un imponente trauma da schiacciamento.”

 

La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

 

E’ interessante qui notare che uno degli aspetti che - a parere della Cassazione - la Corte d’Appello aveva omesso di considerare era la circostanza secondo cui “risulta vi fosse stata una specifica valutazione del rischio connesso alle operazioni di carico, rischio cui il M.F. si era tuttavia assoggettato, muovendosi in zona interdetta presso il terminal della ditta S. anziché restare in cabina a bordo del suo autotreno (come, appunto, era previsto dal DVR secondo quanto si evince dallo stesso editto imputativo), così esponendosi alla situazione di fatto nell’ambito della quale si verificò l’incidente.”


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Autista precipitato dalla sommità di un silos ove si era recato, a seguito dello scarico della fornitura, per chiudere manualmente il coperchio in attuazione di una prassi che veniva attuata in assenza del custode quando il sistema governabile da terra non funzionava 

 

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 24 marzo 2017 n.14607, la Corte ha confermato la condanna della legale rappresentante della società proprietaria del sito ove si svolgeva un’attività di allevamento avicolo, per la morte di un autista caduto dalla sommità di un silos a seguito dello scarico di mangime.

 

In particolare era accaduto che, “il giorno dell’infortunio, il lavoratore G.R., ultimato lo scarico della fornitura di mangimi per conto della ditta trasportatrice P. di cui era dipendente, essendo risultato difettoso il sistema di apertura del coperchio del silos ([…] governabile da terra), era salito sulla sommità del silos per chiudere manualmente il coperchio dello stesso e, mentre era intento a tale incombenza, aveva perso l’equilibrio ed era precipitato a terra, riportando la morte a seguito della caduta.”

 

Dunque - sottolinea la sentenza - l’autista era caduto dalla sommità del silos “sul quale era salito per svolgere una attività, quella di apertura del coperchio, che solo in senso assai lato poteva ricondursi alla sua ordinaria attività di autotrasportatore.”

 

Tutto ciò “a causa del malfunzionamento del meccanismo di apertura/chiusura per tramite di un sistema di leve, azionabile da terra.”

 

Infatti era stata dimostrata “l’esistenza di una prassi consolidata presso il suddetto allevamento avicolo, secondo la quale, in assenza del custode (come nell’occasione verificatasi), l’autotrasportatore di mangime che aveva eseguito il viaggio doveva, se necessario, arrampicarsi fino alla sommità della struttura avvalendosi di una serie di pioli esterni al silos, privi di un sistema di protezione anticaduta, per sospingere meccanicamente il coperchio fino alla chiusura dello stesso.”

 

Ancora più nello specifico, dalle testimonianze era “emersa l’esistenza di una prassi (cfr. in particolare la deposizione resa dal teste DB., collega di lavoro della vittima, della cui attendibilità non v’era motivo di dubitare) secondo la quale, quando il sistema di apertura e di chiusura da terra del coperchio del silos appariva difettosa, “a volte si saliva sopra” utilizzando la scala, e che ciò accadeva quando si andava a “fuori orario, il tempo magari era un po’ incerto, per non far bagnare la roba se magari pioveva si saliva sopra e si chiudeva”.”

 

Dunque “la scala in oggetto era utilizzata per chiudere i silos in caso di difficoltà”, (così, testualmente dalla deposizione del teste DB.); il teste aveva anche dichiarato, rispondendo alle domande del PM, che non aveva firmato alcun documento che vietava l’accesso a dette scale e che non vi era alcun cartello che vietava di salirvi.”

 

Inoltre, “rilevante era anche la deposizione resa dal teste L.L., secondo il quale la vittima - prima di salire sulla sommità del silos - aveva provato invano, assieme a lui, a chiudere il coperchio da terra.”

 

In conclusione l’imputata “B.M. - quale legale rappresentante della società locatrice (così correttamente qualificata nel capo di imputazione) - avrebbe dovuto munire la sommità dei silos (componenti strutturali dell’azienda locata) di appositi parapetti (previsti dalla normativa antinfortunistica di settore) o, in alternativa, eliminare le scale di accesso, anche perché non rispondenti alle previsioni legali ed ai criteri di buona tecnica vigenti, come richiamati nel capo di imputazione.”

 

Mancata gestione dei rischi da interferenze durante l’attività di scarico quale causa dell’investimento di un autista da parte di un carrellista: la “struttura organizzativa unitaria che gestiva la sicurezza rimetteva ai lavoratori la gestione di siffatta delicata fase di lavoro”

 

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 6 giugno 2017 n.27994, la Corte ha confermato la condanna di “T.A. legale rappresentante della ditta K., azienda titolare del deposito in cui si era verificato l’infortunio mortale e affidataria delle opere di logistica e di scarico, e T.D., legale rappresentante della Ku. s.p.a., impresa di autotrasporto, datrice di lavoro del dipendente infortunato mortalmente”.

 

La contestazione mossa ai due imputati consisteva nell’avere “omesso di cooperare alla attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei rischi cui sono esposti i lavoratori e in particolare gli autisti che operavano nel deposito della K. in M. tanto che si era realizzata una interferenza sul luogo di lavoro tra F.V., alla guida del carrello elevatore cui erano demandati i compiti di scarico del mezzo di trasporto e B.G., conducente dell’autoarticolato da scaricare, che era sceso a terra per agevolare l’attività di scarico rimuovendo il telone del rimorchio.”

 

Ai ricorrenti è stato addebitato “un grave difetto di cooperazione e di coordinamento nella predisposizione di un piano di sicurezza idoneo a evitare interferenze sul luogo di lavoro, come quella che aveva portato all’investimento del lavoratore, laddove le stesse prescrizioni provenienti dalla struttura organizzativa unitaria che gestiva la sicurezza, rimetteva ai lavoratori la gestione di siffatta delicata fase di lavoro.”

 

Secondo la Cassazione, la posizione di T.D. era “intimamente connessa, in ragione degli obblighi datoriali e di coordinamento alla stessa riferibili e ai profili di cooperazione colposa sopra evidenziati, a quella di T.A., quale controparte del rischio interferenziale da dominare e per la cui prevenzione era stato costituito l’organismo di cui sopra cui erano chiamati a partecipare i rappresentanti dei conducenti degli autoarticolati.”

 

Riguardo a T.A., la sentenza d’appello “poneva in rilievo la fattiva e indubbiamente profetica partecipazione alla riunione del 7.2.2009 […], cui non seguirono le direttive auspicate” e, con riferimento a T.D., il fatto che da questi “era certamente esigibile l’incombente di sensibilizzare i conducenti a evitare qualsiasi comportamento che aumentasse il rischio di interferenza rispetto alle operazioni di carico scarico con mezzi meccanici.”

 

Per quanto attiene alla condotta tenuta dalla vittima, “l’infortunio non ebbe a realizzarsi in ragione di una imprevedibile ed estemporanea decisione del lavoratore infortunato, al quale era prescritto di rimanere a bordo del camion o di porsi in area protetta, o da un omesso rispetto delle consegne dei due protagonisti del tragico evento, ma da esigenze di carattere organizzativo e logistico (sollevare il telone del rimorchio) come ampiamente preconizzato dal T.A. nella riunione sopra citata (motivi tecnici legati alle fasi di carico)”.

 

Pertanto, “l’infortunio trasse origine proprio da un profilo di sovrapposizione e di interferenza tra lavorazioni sincroniche di due soggetti che stavano eseguendo la rispettiva prestazione lavorativa secondo le prescrizioni assegnate.”

 

In sede di merito era emersa “la inadeguatezza e la insufficienza delle prescrizioni partorite dalla K. Safety Team del luglio 2009, nonostante il T.A. avesse correttamente enucleato il rischio di investimento, quale prioritario profilo di infortunio da prevenire.”

 

In particolare, era stato accertato che “le indicazioni contenute nella brochure realizzata dall’organismo di tutela della sicurezza fossero generiche, prive di scansioni temporali certe ma, soprattutto, come rimettessero agli stessi operatori del servizio la concreta attuazione dei compiti agli stessi assegnati.”

 

Queste “prescrizioni non prevedevano divieti al conducente di scendere dal camion durante le operazioni di scarico ma imponevano un coordinamento a terra tra le due figure, quale quello di mantenere una distanza di sicurezza, di porsi in area riservata, di accertarsi del reciproco avvistamento in ipotesi di un controllo al mezzo, di non avvicinarsi per nessun motivo, di fatto rinviando la gestione del rischio interferenziale al concreto sviluppo della lavorazione e all’atteggiarsi delle relazioni tra i due operatori.”

 

E’ interessante invece notare, conclusivamente, come “di ben diverso tenore sia stato il programma delle prescrizioni assunte successivamente all’infortunio, nelle quali era fatto divieto al conducente di scendere dal mezzo nel corso delle operazioni di carico - scarico fino a quando il carrellista non avesse dato il nulla osta per le eventuali operazioni da compiersi a terra.”

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Scarica le sentenze di riferimento:

Cassazione Penale, Sez. 4, Sentenza 06 dicembre 2021, n. 44960 - Decesso dell'autista urtato da una balla di cellulosa trasportata con muletto. Omesso ragionamento controfattuale: annullamento con rinvio

 

Cassazione Penale, Sez. 4, Sentenza 24 marzo 2017, n. 14607 - Chiusura manuale del coperchio del silos e caduta mortale dell'autista. La legale rappresentante della società proprietaria del sito avrebbe dovuto curare la sicurezza dell'impianto concesso in affitto

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 27994 del 06 giugno 2017, - Rischio da interferenza tra conducenti e carrellisti: rischio di investimento del conducente nel corso delle operazioni di scarico. Infortunio mortale

 


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