E’ opportuno cumulare la qualifica di datore di lavoro e di RSPP?
Viene messo in evidenza dalla Corte di Cassazione in questa sentenza l’opportunità di non cumulare in un unico soggetto per libera scelta la qualifica del datore di lavoro, che nelle aziende ha una funzione organizzativa e gestionale, con quella del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che svolge un compito consultivo, e ciò specie nelle aziende di grandi dimensioni tenendo conto che per quelle di piccole e medie dimensioni il legislatore ha già prevista la possibilità di farlo.
L’inopportunità della sovrapposizione dei compiti, ai fini di una corretta organizzazione della sicurezza nei luoghi di lavoro, è legata al fatto che tale cumulo contribuirebbe a costituire in capo a un unico soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia e di adempimenti datoriali e da un lato a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro e dall'altro a concentrare in capo a un medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro.
Per tale ed altri motivi la suprema Corte di Cassazione nel caso in esame ha rigettato il ricorso presentato da un amministratore e responsabile legale di una società che, rivestendo la figura di direttore di stabilimento e di RSPP dell’azienda, era stato riconosciuto quale datore di lavoro e condannato quindi nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio sul lavoro di un dipendente che, durante alcune operazioni di manutenzione, era stato mortalmente schiacciato dalla coclea di un mescolatore a pale.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione.
La Corte di appello ha confermata la sentenza di condanna alla pena di un anno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e il beneficio della non menzione, emessa dal Tribunale nei confronti del legale rappresentante di una società nonché direttore dello stabilimento dell’azienda dalla stessa gestita e responsabile del servizio di prevenzione e protezione per il delitto di omicidio colposo aggravato previsto dall'art. 589 cod. pen. per avere cagionata, per colpa generica e per colpa specifica, dovuta alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, la morte di un operaio durante le operazioni di manutenzione e di pulizia di un macchinario mescolatore a pale, rimasto schiacciato nella coclea di tale impianto.
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione adducendo varie motivazioni. Con un primo motivo ha prospettato l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, comma 2, 43, comma 1 e 3 cod. pen. nonché degli artt. 2, comma 1, del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e 2, comma 2, del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, contestando la qualifica di datore di lavoro a lui attribuita nelle sentenze, diversamente da quanto si poteva evincere da una delibera del consiglio di amministrazione che invece gli aveva attribuito solo compiti di ordinaria amministrazione.
Come altre motivazioni il ricorrente si è lamentato per il fatto che la Corte di Appello aveva ritenuto di escludere la sussistenza di una delega di funzioni da parte sua a favore di un ingegnere dell’azienda e di non avere aggiornato il documento di valutazione dei rischi, obbligo che non sarebbe invece spettato a lui in assenza della qualifica di datore di lavoro ma al dirigente per la sicurezza. Ha contestata altresì la mancata formazione e informazione del lavoratore deceduto avendo l’azienda al contrario implementata invece un'attività formativa e avendo insegnato al lavoratore procedure di lavoro corrette che se fossero state osservate avrebbero impedito il verificarsi dell'evento. Si è lamentato, infine, perché non era stato stato accertato al di là di ogni ragionevole dubbio se l'evento mortale del lavoratore fosse stata la conseguenza non dell’infortunio subito ma di una patologia cardiaca di cui lo stesso era affetto.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha innanzitutto premesso che la normativa applicabile al fatto in esame, verificatosi nel 2006, è dettata dal D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 ma che le norme stesse si pongono in continuità normativa con le parallele norme che sono subentrate con il D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 per cui i motivi di ricorso possono ben essere vagliati anche alla luce della giurisprudenza formatasi sull'attuale testo unico sulla sicurezza del lavoro.
Con riferimento a quanto sostenuto dalla difesa circa la qualifica di datore di lavoro attribuita all’imputato quale soggetto rappresentante legale della società al quale era stato affidato sostanzialmente l'esercizio dei poteri decisionali e di spesa, la Corte di Cassazione ha osservato che sia la sentenza di primo grado che quella di appello avevano attribuita all’imputato la qualifica di datore di lavoro ai sensi sia dell'art. 2 del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 che della identica normativa prevista dall'art. 2, lett. b), del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 ma anche nella sua qualità di direttore dello stabilimento con ampia capacità gestoria dell'intera azienda. Con tali attribuzioni, infatti, l'imputato aveva avuto l'esercizio di potestà funzionali, organizzative, decisionali, gestionali e di spesa inclusa la realizzazione delle misure di sicurezza previste per legge. E’ da considerare inoltre, ha così proseguito la Sezione IV, che nel caso specifico le misure mancanti sul piano della sicurezza non richiedevano comunque alcuno straordinario impegno di spesa, ma rientravano nel normale esercizio dei doveri e poteri organizzativi, formativi, e di ordinaria vigilanza.
L’avere poi cumulato la qualifica datoriale, formale e sostanziale, di datore di lavoro con quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quindi anche di soggetto deputato alla elaborazione materiale della valutazione del rischio, ha contribuito, secondo la Sezione IV, a costituire in capo a un medesimo soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia e di adempimenti datoriali. Infatti, sebbene la qualità di datore di lavoro e quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione alle dimensioni dell'azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, avere unificato, per scelta dello stesso datore di lavoro, entrambe le funzioni ha contribuito da un lato a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro, e dall'altro a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di organizzazione e di valutazione e gestione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro.
Il ruolo consultivo e interlocutorio del RSPP, ha aggiunto ancora la suprema Corte, deve essere funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale e soprattutto da quello datoriale perché altrimenti si incrociano posizioni e funzioni con compiti strutturalmente diversi che devono operare su piani diversi, decisionale il primo, consultivo il secondo. La dialettica tra chi esercita i poteri organizzativi e chi ha un ruolo tecnico ed elaborativo costituisce la sintesi di base da cui prende le mosse ogni determinazione organizzativa, amministrativa, tecnica, produttiva, in materia di sicurezza. Di conseguenza la confusione dei ruoli di per sé è indice di un colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro, tutt'altro che esimente.
La considerazione poi che l'imputato era stato definito in sede contrattuale un dirigente. ha inoltre precisato la Sezione IV, vale per l'inquadramento mansionale sul piano retributivo e in relazione al proprio rapporto di lavoro con la società, ma non vale ad elidere la figura di datore di lavoro ai fini della sicurezza, che si costituisce sia in ragione di un mero rapporto contrattuale, comunque venga qualificato, sia in presenza dell'esercizio anche soltanto di fatto di poteri decisionali e di spesa, a prescindere dal titolo contrattuale che lo ha insediato in quel ruolo. Nel caso concreto in esame, ha precisato la suprema Corte, era emerso con chiarezza l'esercizio da parte dell’imputato di tali poteri decisionali e di spesa che, sebbene formalmente limitati all'ordinaria amministrazione, comprendevano comunque ogni profilo gestorio e organizzativo sulla produzione, sul controllo degli impianti, sulle procedure lavorative, sulla formazione e informazione che in concreto hanno svolto un determinante ruolo causale dell'evento mortale.
In ordine poi al motivo di ricorso imperniato sulla asserita esistenza di una delega di funzioni a favore di un ingegnere dell’azienda sia nella sentenza del Tribunale che in quella della Corte di Appello era stato evidenziato che era mancata la prova dell'esistenza di un atto formale di trasferimento delle funzioni ad altro soggetto. Da elementi probatori unitamente ad altre deposizioni testimoniali era emerso invece che l'imputato, presente in fabbrica nel giorno dell'incidente, aveva sempre operato direttamente sull'organizzazione del lavoro, sulla ripartizione di compiti, sulla attribuzione di mansioni anche alla vittima dell'incidente mortale e aveva quindi svolto direttamente e concretamente le proprie funzioni datoriali esplicitate con l'esercizio di propri poteri organizzativi, decisionali e di spesa.
Con riferimento alla contestazione relativa al mancato aggiornamento del DVR la suprema Corte ha sostenuto che l’imputato, nella sua qualità sostanzialmente di titolare del ruolo datoriale avrebbe dovuto tenere aggiornato tale documento anche con la mansione cui era addetto il lavoratore infortunato in relazione all'uso del macchinario che lo ha travolto. Non si poteva comunque accogliere sul punto la congettura difensiva con cui era stato asserito che non spettava all'imputato aggiornare il documento di valutazione del rischio in quanto tale compito sarebbe stato di esclusiva competenza di chi era il datore di lavoro. E’ proprio invece dalla duplice qualifica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di datore di lavoro che era emerso comunque il compito in capo alla medesima persona di valutare, elaborare, prevenire e gestire il rischio, ivi compreso l'aggiornamento del documento di valutazione del rischio che peraltro è un compito indelegabile del datore di lavoro.
In ordine alla contestazione della mancata formazione e informazione dell’infortunato circa l’uso del macchinario la suprema Corte ha ribadito che tale obbligo era a carico dell’imputato quale datore di lavoro e che comunque non era emerso alcun atto formale di delega o comunque di incarico specifico a terzi per tale incombenza. Anche a volere ritenere di avere affidato ad altri l’obbligo di formare e addestrare il lavoratore deceduto, va comunque evidenziato. ha sostenuto la Sezione IV, che l'omessa cura dell'addestramento e dell'istruzione professionale del lavoratore avrebbe potuta e dovuta essere controllata e corretta dall'imputato qualora altri soggetti eventualmente incaricati non vi avessero utilmente provveduto.
Quanto, infine, al motivo di ricorso incentrato su una asserita prova incompleta del nesso causale che non sarebbe stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio, con riferimento ad una possibile patologia cardiaca del lavoratore deceduto, la Corte di Cassazione ha rilevato che anche per tale circostanza la mera allegazione di una ipotetica patologia cardiaca di cui sarebbe stato affetto il lavoratore, aveva costituito oggetto di un accertamento di fatto estraneo alla sede di legittimità. Tale ipotesi peraltro non era stata provata dalla difesa nella fase istruttoria.
In definitiva tutti i motivi di ricorso sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione che ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Gian Piero Marabelli - likes: 0 | 09/05/2022 (11:52:35) |
Un piccolo contributo... Il problema, in generale, non è la figura del Datore di lavoro, ma la figura stessa del RSPP che deve, dovrà, essere riformulata. la stessa parola "responsabile" è da riformulare, da "ri-pensare" anche in rapporto a ciò che in questo periodo le aziende di una certa dimensione, non necessariamente grandi aziende, chiedono come qualifica professionale, cioè la funzione di HSE, di cui c'è una norma UNI importante: 11720 e per gli RSPP una "prassi di riferimento" altrettanto importante: UNI Pdr 87/2020. Non possibile andare avanti in questo modo, cioè facendo fare alle sentenze, quel che dovrebbe fare il legislatore. La figura di RSPP deve sempre ed in ogni caso essere ricondotta solo ad una figura consulenziale, bene....Ripensare la figura di RSPP vuol dire ripensare all'organizzazione della salute e sicurezza all'interno delle aziende |