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Applicazione del D.Lgs. 231/01 agli infortuni sul lavoro

Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

14/04/2011

Applicato a due società operanti in un Centro Interportuale Merci il regime della responsabilità amministrativa degli enti per un infortunio mortale. Alla base gravi violazioni in materia di valutazione dei rischi e appalti. Di A. Guardavilla.

 
 
Novara, 14 Apr - Si riporta un commento alla sentenza del Trib. di Novara 26 ottobre 2010 che ha applicato a due società operanti in un Centro Interportuale Merci il regime della responsabilità amministrativa degli enti per l’infortunio mortale occorso ad un lavoratore. Alla base gravi violazioni in materia di valutazione dei rischi e appalti.
 
 
di Anna Guardavilla
 
Il Tribunale di Novara con la sentenza del 26 ottobre 2010 ha applicato la responsabilità amministrativa degli enti a due società i cui amministratori sono stati ritenuti responsabili per un infortunio mortale sul lavoro avvenuto presso il piazzale del Centro Interportuale Merci di Novara.
La vittima dell’infortunio è un lavoratore - con mansione di spuntatore di treni - socio della Cooperativa cui era stata affidata nell’ambito del Centro Interportuale l’attività di verifica e di spunta dei treni, cioè di controllo del carico (container) dei treni in arrivo e in partenza.
La dinamica dell’infortunio, come ricostruita dalla sentenza, è stata la seguente.
Il 26 ottobre 2007 mattina, mentre la vittima nell’ambito della sua ordinaria attività lavorativa si recava dall’ufficio del responsabile del Centro Interportuale da cui egli riceveva le direttive a quello della sua Cooperativa, nell’attraversare i binari, in corrispondenza del passaggio pedonale previsto dalla viabilità interna, veniva investito da un locomotore che proveniva da un binario decedendo.
Dopo poco meno di un’ora dall’investimento, un operaio addetto alla manutenzione dell’autogrù, recatosi nella sua postazione di lavoro vicino all’ingresso ferroviario dell’interporto, si accorgeva del corpo del lavoratore, supino al suolo, a scavalco su una rotaia ferroviaria, sezionato in due tronconi, e allertava i soccorsi.
 

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Le due società di cui è stata riconosciuta la responsabilità ai sensi del D.Lgs. 231/01, sul presupposto della responsabilità penale delle persone fisiche ad esse appartenenti, sono la S.r.l. che gestiva l’attività all’interno del Centro Interportuale e la Cooperativa (appaltatrice) datrice di lavoro del lavoratore infortunato, rispettivamente condannate alla sanzione amministrativa pecuniaria di euro 120.000 (sanzione ridotta in virtù dell’adozione – dopo l’evento – di un idoneo modello organizzativo) e 140.000.
E’ stata invece eslcusa la contestata responsabilità amministrativa della S.p.a. da cui era dipendente il personale che conduceva i treni (macchinisti, manovratori) dal momento che è stata esclusa la sussistenza di “un qualsivoglia ragionevole interesse o vantaggio (di costi, di processo produttivo o organizzazione) in ragione della mancata adozione di misure di prevenzione”.
 
Per quanto attiene alla responsabilità penale delle persone fisiche condannate, tra i profili di colpa specifica individuati dal magistrato vi è, per i soggetti apicali delle società operanti nel Centro Interportuale, oltre alla violazione dell’art. 2087 c.c., l’inottemperanza alle norme sulla valutazione dei rischi, l’omessa adozione delle necessarie misure organizzative, tecniche e procedurali, la violazione degli obblighi relativi alla cooperazione e il coordinamento nonché la mancata elaborazione del documento unico di valutazione dai rischi da interferenze (ai sensi di quello che è l’attuale art. 26 D.Lgs. 81/08, allora art. 7 del D.Lgs. 626/94 come modificato dalla L. 123/2007), oltre alla mancata formazione dei lavoratori sui rischi. Da parte di alcuni macchinisti e manovratori, inoltre, erano state commesse alcune violazioni degli obblighi previsti dalla legge a carico dei lavoratori (omessa segnalazione di situazioni di pericolo di cui erano venuti a conoscenza, svolgimento di manovre pericolose tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operavano all’interno del piazzate del terminal, etc.).
 
Tornando alle gravi violazioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti delle società indagate - che qui per brevità non possono essere riportate in via esaustiva - basti pensare che ad esempio il documento di valutazione dei rischi predisposto dalla Cooperativa cui apparteneva il lavoratore era “datato 15/03/2007 (ancorché l’attività della cooperativa presso X [il Centro Interportuale, n.d.r.] fosse iniziata nel novembre del 2001) in riferimento all’attività svolta da (Z) [il lavoratore, n.d.r.], spuntatore di treni, nel capitolo “aree di transito” è indicato un rischio pari a 8 che dovrebbe significare rischio elevato con la conseguente necessità di attivare misure urgenti di prevenzione e protezione. Misure che non sono state dettagliate nel documento di valutazione dove è indicata solo la necessità di procedere all’informazione del personale esponendo i rischi cui il personale è esposto, informazione che (W) [la Cooperativa] ha svolto in maniera del tutto inadeguata e insufficiente nei confronti dei suoi dipendenti.”
 
Dunque a due delle tre società è stata applicata la responsabilità amministrativa, in relazione a quelle che la sentenza identifica come le “condotte poste in essere nell’interesse o comunque nel vantaggio dell’ente, perché intervenute nell’esercizio dell’attività imprenditoriale peraltro connotata dalla adozione di tecniche tipiche e meno costose, non avendo adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello accaduto”.
 
Va ricordato che in questa sentenza è stata applicata la responsabilità amministrativa degli enti a seguito di un fatto avvenuto il 26 ottobre 2007 perché già con l’entrata in vigore dell’art. 9 della legge 123/2007 il regime previsto dal D.Lgs. 231/01 è stato esteso ai reati di salute e sicurezza sul lavoro (estensione poi confermata dall’art. 300 del D.Lgs. 81/08).
In ragione di ciò, precisa la sentenza in commento, il “breve arco temporale, pari a circa due mesi, intercorso tra l’entrata in vigore della normativa contestata e la commissione del fatto-reato non comporta in sé l’inesigibilità della condotta”, dal momento che “la mancanza di una disciplina transitoria, ovvero di un termine a cui ancorare la decorrenza degli effetti della nuova disciplina sanzionatoria, comporta che era obbligo immediato per le società adottare e attuare i modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire incidenti sul lavoro del tipo di quello poi verificatosi.”
 
La responsabilità delle società condannate poggia, secondo la pronuncia e coerentemente con la ratio degli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. 231/01, su un presupposto di colpa organizzativa che viene così identificata dal Magistrato di Novara: l’autonoma responsabilità amministrativa dell’ente si basa su fatto proprio di quest’ultimo imputabile non a titolo oggettivo, sebbene per colpa di organizzazione, dovuta alla omessa predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione del reato presupposto: è il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.
La sussistenza dell’interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all’integrazione della responsabilità fino a quando sussiste l’immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente.”
 
Si tratta pertanto di una nuova forma normativa di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo costituente un ente adotti modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati, che l’esperienza ha dimostrato funzionali ad interessi strutturati e consistenti, giacché le “principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura organizzativa complessa” (cfr., Relazione ministeriale).
Si tratta, in definitiva, di colpa organizzativa e gestionale presunta, stante l’inversione dell’onere della prova.”
 
In materia di adozione di modelli organizzativi, poi, la sentenza del Tribunale di Novara osserva: L’adozione dei modelli organizzativi costituisce una incoercibile scelta positiva dell’ente di dotarsi di uno strumento organizzativo che, al di là del mero adempimento formale e burocratico, ove preventivamente attuato ed in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società comporta l’esclusione della responsabilità amministrativa.
Ove sussistano situazioni di rischio, non c’è dubbio che sia necessario agire tempestivamente a tutela di valori fondamentali (quali la vita e l’incolumità personale), adottando tutte quelle misure adeguate a prevenire eventi lesivi, non potendosi altrimenti sacrificare i beni protetti in ragione di inefficienze organizzative e di gestione.
L’obbligo di fattibilità dei modelli va correlato ai rischi specifici di commissione degli illeciti, avuto riguardo alle dimensioni, all’organizzazione, alla natura dell’attività svolta e alla stessa “storia” operativa dell’ente, di guisa che più elevato è il pericolo nel caso concreto, più urgente e prioritario è l’obbligo di adozione dello strumento organizzativo.”
 
E “a ben vedere, la responsabilità amministrativa dell’ente non trova fondamento, in sé, nella mancata adozione e attuazione dei modelli organizzativi, sebbene nella introdotta colpa di organizzazione, di guisa che l’adempimento in questione costituisce una “facoltà” finalizzata ad esonerarsi da tale responsabilità.
Vale a dire che l’ente risponde in ragione del nuovo illecito amministrativo stabilito dall’ordinamento e che se vuole evitare tale responsabilità deve dimostrare di aver provveduto ad attuare idonei rimedi preventivi nella sua organizzazione interna da cui possono originarsi determinati delitti.
Dunque, si tratta di un “onere” da soddisfare, nei termini ritenuti appropriati, nel proprio interesse, essendo rimesso all’ente la scelta di usufruire o meno dell’efficacia “scusante” dei modelli idonei.”
 
 
 
 
 


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