L’algoritmo per il bravo RSPP
La proposta di formulare un algoritmo per valutare il “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione bravo” (bravo: inteso come persona che dimostra grande perizia e sicurezza nello svolgimento di un compito, di un'arte o di una professione - un b. medico ; un b. insegnante ; un b. tecnico ) a prima vista potrebbe sembrare una stramberia, per contro questa idea è stata “presa a prestito” da una lettura di un articolo apparso sulla rivista online Progetto Manager, il Mensile di Federmanager, dal titolo “L’algoritmo per il manager bravo: 8(4+4)+3+5”.
Chi scrive pertanto, prendendo appunto a prestito i contenuti di questo articolo, ha inteso riproporre un identico algoritmo prendendo però spunto da una accurata analisi della complessità dei compiti richiesti al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dal D.Lgs. 81/2008, a supporto del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti, più in particolare in aziende di Grandi dimensioni (superiore a 10.000 dipendenti) e con situazioni lavorative ad alto rischio, per svolgere le quali è necessario avere una certa competenza. Si riporta quindi di seguito copia testuale dell’articolo, affinchè la proposta che segue possa essere valutata con un giusto intendimento rispetto all’obiettivo dei contenuti specifici dell’articolo proposto.
PROGETTO MANAGER - L’algoritmo per il manager bravo: 8 (4+4)+3+5
“Concluso lo studio “Bravi Manager Bravi”. Il Presidente di The European House Ambrosetti svela la formula vincente per chi punta a migliorarsi sempre: un mix di competenze, eccellenza e reputazione. Dopo aver analizzato 180.000 item che esplorano il rapporto tra importanza e adozione di competenze, ancoraggi di carriera, valori e orientamento al futuro di 1631 manager, e dopo aver approfondito questi temi con 80 manager dislocati sui principali territori italiani, concludiamo lo studio “Bravi Manager Bravi” con una semplice formula per aiutare il manager a contribuire attivamente e in modo responsabile allo sviluppo della propria professionalità finalizzata a migliorare la cultura del lavoro del nostro Paese.
La semplice formula per il miglioramento è 8 (4+4)+3+5. La voce dei manager che abbiamo ascoltato definisce il perimetro del proprio miglioramento con tratti vaghi e evanescenti. Quale sia oggi il modo per mantenere le competenze aggiornate in un contesto in crescente accelerazione non è chiaro a nessuno, né ai protagonisti del proprio autosviluppo, né alle professionalità deputate a costruire percorsi formali di miglioramento delle competenze (consulenza o associazioni di mestiere).
Infatti i manager che si affidano a una formazione tradizionale sono sempre meno per quanto il bisogno di trovare percorsi che supportino il vero miglioramento sia in aumento. Nello scenario governato dall’invecchiamento veloce delle competenze, la sfida costituita dallo stare sul mercato portando valore si sta trasformando in un sentimento di ansia, e talvolta, di paura. L’aggiornamento delle proprie competenze passa da canali non istituzionali e occasionali, come la relazione con stakeholder differenti, lo scambio di esperienze e di conoscenze, piuttosto che intraprendere una formazione tradizionale (master, corsi, MBA), o studiare paper tecnici o manuali. Non stupisce che, data la riduzione di tempo a disposizione, le modalità per aggiornarsi ritornino sull’antica via dello scambio sociale e del dialogo con gli altri. Networking e associazionismo sono un modo per creare occasioni di scambio di esperienze tra figure professionali anche distanti fra di loro, tra fornitori e clienti o tra senior e giovani.
Per la prima volta nella storia i genitori apprendono dai propri figli, i capi apprendono dai collaboratori o gli anziani professionalmente apprendono dai nuovi arrivati (la moda del reverse mentoring). I canali attraverso i quali si trasferiscono le conoscenze si moltiplicano: i manuali o i testi scritti diminuiscono e aumentano i social network (primo fra tutti Wikipedia e poi LinkedIn). Questo vuol dire che le modalità di aggiornamento passano da progetti strutturati di miglioramento professionale allo “spiluccare” qua e là contenuti di interesse, in ritagli di tempo.
L’esperienza fine a se stessa come maestra di vita: i manager cercano contenuti di formazione non direttamente legati alla professione ma che sono in relazione con aspetti laterali e tangenti che potremmo definire in senso lato “umani”, come l’allargamento dei confini delle proprie esperienze e dei propri limiti personali. I manager cercano contenuti di formazione relativi non solo alla professione ma legati anche alle proprie esperienze e ai propri limiti personali
Il numero 8 rappresenta l’investimento economico sulla RAL che il manager dovrebbe devolvere allo sviluppo delle proprie competenze. Lo sviluppo professionale, così come è emerso, è sempre più incentrato sulla responsabilità individuale e sulla volontà personale del singolo manager, nonché su una randomica scelta dei contenuti. Viene così a mancare la dimensione del progetto di costruzione della propria professionalità e della visione verso un futuro desiderabile. Suggeriamo ai manager di investire il 4% della RAL per capire dove migliorare e l’altro 4% (per arrivare al numero 8) per costruire lo sviluppo della propria persona, secondo il proprio progetto.
È risaputo che nei momenti di cambiamento e accelerazione siano le competenze tecniche a fare la differenza e creino l’accelerazione del processo di innovazione. Il manager nel suo lavoro gestionale ha una grande responsabilità, ma corre anche un rischio: quello di perdere progressivamente competenze professionali (quelle legate ai tecnicismi). Ecco il significato del numero 3. La missione che suggeriamo ai manager è quella di costruire un progetto di miglioramento su 3 cose difficili. Perché l’apprendimento si allena, perché il miglioramento si progetta e perché lo sviluppo non avviene se non esponendoci e sottoponendoci alla sfida del difficile. È troppo facile citare John Kennedy nel suo discorso alla Rice University, nel tentativo di spiegare l’idea di conquistare lo Spazio, “Because it’s hard not because it’s easy”.
Ma l’eccellenza necessaria a competere su un mercato come quello attuale è anche quella di saper fare alla perfezione alcune cose che vengono facili. Così si spiega il numero 5. La ricerca dell’eccellenza è sempre più considerata una condizione necessaria per restare sul mercato in momenti nei quali la competizione si fa più spinta e più dura. L’eccellenza passa necessariamente dal fare bene le cose. È ancora la prima competenza manageriale per importanza e per adozione secondo i manager che hanno risposto al questionario. Ma essere eccellenti oggi significa essere perfetti, avere un margine di errore minimo rispetto al proprio operato. Le 5 cose facili fatte alla perfezione, costruiscono consenso e rendono il manager persona apprezzata. Saper fare 5 cose facili alla perfezione significa lavorare sulla nostra reputazione percepita.
Per alzare la reputazione, invece, la sfida è quella di lavorare su 3 cose difficili. Perché la reputazione migliora solo quando viene messa a repentaglio con sfide di cui non conosciamo l’esito in anticipo, e che chiamano in gioco tutta la nostra persona nell’apprendere competenze nuove per affrontare sfide difficili.
Abbiamo detto che dobbiamo stare attenti a due nemici: la casualità degli incontri e la randomicità dei contenuti. Saper fare 5 cose facili vuol dire mettere a fuoco quelle che sono le competenze fondamentali per essere bravi manager. Ma per essere brave persone è necessario affrontare 3 sfide difficili, dare significati ai contesti sociali, essere sempre pronti a migliorare se stessi e superare i propri limiti. Questo è l’uomo dentro il manager”[1].
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Naturalmente questo articolo apparso sulla rivista online Progetto Manager implica avere la qualifica di Dirigente che l’art. 2 del D.Lgs. 81/2008 definisce “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”.
Mutuando pertanto i contenuti di questo articolo, si è “tentato” di proporre una identica formulazione sulla base dell’art. 33 “Compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione” del D.Lgs. 81/2008 per una possibile autovalutazione di quel mix di conoscenze, competenze, esperienze e capacità professionali acquisite nel tempo e necessarie per conseguire una deputata managerialità (intesa come persona che nell’ambito dell’organizzazione aziendale, pubblica o privata, ha la responsabilità del processo di definizione e del perseguimento di determinati obiettivi).
Capacità, queste, strutturate a focalizzare soprattutto l’attenzione sulla Cultura della Sicurezza molte volte considerata di principi astratti e di difficile applicazione. Per contro invece, si è visto che avere una Cultura della Sicurezza vuol dire dare la dovuta importanza a quel particolare status delle cosiddette buone prassi definite dal D.Lgs. 81/2008 come “l’insieme di quelle soluzioni organizzative e procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, da adottare volontariamente per finalizzarle a promuovere la salute e la sicurezza sul lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro”. Adottare buone prassi significa sostanzialmente generare valori culturali ed etici, buoni propositi e soprattutto comportamenti individuali sicuri da parte di tutti i dipendenti, a qualsiasi livello e grado, con l’obiettivo di avere buoni atteggiamenti in situazioni di accertati rischi, atti a ridurre, se non abbattere, il fenomeno infortunistico nel suo complesso (infortuni, malattie professionali, incidenti e infortuni mortali).
E’ bene precisare che:
- l’ “Algoritmo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione bravo: 4+5(3+2)+7” proposto, deve essere inteso come una sorta di “ricetta” che indica quell’insieme di ingredienti, di dosi e di istruzioni da seguire per preparare un buon alimento o meglio (Treccani.it) come “l’insieme di istruzioni che deve essere applicato per eseguire un’elaborazione o risolvere un problema o in logica matematica, come qualsiasi procedimento «effettivo» di computo di una funzione o di decisione di un insieme, cioè qualsiasi procedimento che consenta, con un numero finito di passi eseguiti secondo un insieme finito di regole esplicite, di ottenere il valore della funzione per un dato argomento, o di decidere se un dato individuo appartiene all’insieme”;
- avere “competenza” deve essere inteso e riconducibile esclusivamente al significato di “saper fare bene una cosa”, essere “preparati” ed “esperti”.
Pertanto l’Algoritmo proposto ha la presunzione di individuare un insieme di istruzioni, cioè un insieme di attività professionali da svolgere nel tempo per istruirsi attraverso soprattutto un mirato processo di formazione “individuale”, atto a sviluppare competenze professionali, finalizzate a “facilitare” la gestione della complessità organizzativa insita nei “Compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione” e nel contempo consentire di valutare nel tempo il “livello di competenze professionali” raggiunto, per decidere se implementarle o meno rispetto al livello richiesto in un determinato tempo della vita professionale. Il tutto da inserire, oggi più di ieri, in un contesto di cicliche crisi economiche di varia natura, che richiedono sempre più una autovalutazione della propria professionalità deputata a costruire percorsi formali di sviluppo e miglioramento continuo per un conseguente e auspicabile sentiero di carriera e/o professionale, in una sorta di percorso “fai da te” (self made).
Per calare concretamente l’ “Algoritmo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione bravo: 4+5(3+2)+7” nella realtà operativa è necessario quindi individuare quali istruzioni devono essere inserite nell’Algoritmo stesso che a parere di chi scrive sono contenute principalmente in due articoli del D.Lgs. 81/2008:
a) l’art. 33 “Compiti del servizio di prevenzione e protezione”
1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all'articolo 35;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36.
2. I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di cui al presente decreto legislativo.
3. Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro;
b) l’Art. 30. “Modelli di organizzazione e di gestione”
1. Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
2. Il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1.
3. Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
4. Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.
5. In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati dalla Commissione di cui all'articolo 6.
5-bis. La commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
6. L'adozione del modello di organizzazione e di gestione di cui al presente articolo nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell'articolo 11.
Questi due articoli a prima vista potrebbero sembrare molto articolati e di una certa complessità, per contro invece indicano un “preciso percorso” al Datore di Lavoro ed ai Dirigenti per avere un efficace modello di organizzazione e gestione, in quanto evidenziano di fatto la molteplicità degli obblighi che devono essere calati concretamente in azienda, più in particolare in aziende di Grandi dimensioni (superiore a 10.000 dipendenti) e con lavorazioni ad alto rischio, al fine di portare a termine sia il processo della valutazione di tutti i rischi presenti nelle lavorazioni industriali svolte, sia la proposizione periodica di programmi di informazione, formazione e addestramento. Non a caso infatti queste due attività sono ritenute le più importanti e strategiche per fronteggiare le problematiche legate al fenomeno infortunistico nel suo complesso (infortuni, malattie professionali, incidenti e infortuni mortali) e sottovalutare questo fenomeno può comportare responsabilità civili e penali a carico del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti, in “concorso” con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione nel momento in cui oramai Sentenze delle Corte di Cassazione hanno sostenuto che anche se il D.Lgs. 81/2008 escluda sanzioni a carico del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, ciò non significa che certe mancate o erronee valutazioni di situazioni lavorative pericolose possano esoneralo da qualsiasi responsabilità, come nel caso di poter essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio per colpa professionale, riconducibile ad una valutazione di una situazione lavorativa pericolosa a seguito della quale vi era l'obbligo di segnalarla al Datore di Lavoro.
Venendo ora all’ “Algoritmo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione bravo: 4+5(3+2)+7”, il numero 4 sta a rappresentare semplicemente l’investimento economico del 4% sulla RAL (Retribuzione Annua Lorda) che il Responsabile del Servizio del Prevenzione e Protezione deve impegnare al suo autosviluppo, in modo tale che venga a delinearsi la dimensione del progetto di costruzione delle proprie competenze professionali per lo sviluppo della propria carriera e per il miglioramento continuo dei compiti e delle attività da svolgere. La proposta vuole mettere in evidenza in concreto che sono le competenze professionali a fare la differenza e, potenzialmente, possono creare l’accelerazione di quegli auspicabili processi di agganci di carriera e/o professionali.
L’istruzione 5(3+2) riguarda invece gli obiettivi principali per costruire un progetto di consolidamento e “sviluppo” continuo delle competenze e conoscenze professionali su compiti storicamente ritenuti di una forte complessità che hanno bisogno di essere continuamente implementati, anno dopo anno, da una formazione continua e che, a parere di chi scrive e sulla base di una esperienza più che trentennale, riguardano più in particolare tre attività specifiche (numero 3) previste e comuni all’art. 30 e 33 del D.Lgs. 81/2008:
- modalità di effettuazione della valutazione di tutti i rischi e conseguente elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR);
- elaborazione delle procedure di sicurezza e controllo di tutte le procedure elaborate da altri Enti;
- proposta annuale di programmi di informazione, formazione e addestramento.
Queste 3 attività riguardano la scelta di un progetto di sviluppo individuale per migliorare sempre più i complessi processi di valutazione di tutti i rischi, l’elaborazione ed il controllo di tutte le procedure e la predisposizione di piani annuali di informazione, formazione ed addestramento, determinanti per il Datore di Lavoro e per i Dirigenti in relazione agli obblighi dettati dall’art. 18 del D.Lgs. 81/2008, come anche dagli obblighi derivanti dalla normativa internazionale, ove applicabile. Questi obblighi non sono casuali, ma dettati dalla necessità, in cui sono le competenze a fare la differenza. Questo perché queste cicliche crisi economiche, in un certo qual modo, obbligano il Datore di Lavoro a fare delle scelte prioritarie che possono essere influenzate da un duro “dumping industriale” dovuto ad esportazione di merci a prezzi molto più bassi o addirittura sotto costo rispetto a quelli comunemente praticati, in parallelo ad altrettanto drammatico “dumping sociale” per il mancato rispetto di diritti dei lavoratori, di leggi in materia di salute, sicurezza sul lavoro e tutele ambientali che, nel loro insieme, consentono a un'impresa di ridurre i costi di produzione e vendere le proprie merci a prezzi molto più bassi.
Il numero 2 rappresenta invece l’effetto positivo dell’internalizzazione delle aziende italiane, cosiddette transnazionali o globali, che richiedono principalmente due specifiche conoscenze da parte del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione:
- la prima impone una avanzata conoscenza della lingua inglese (padronanza completa parlata e scritta a livello professionale), in particolare in aziende grandi dimensioni, in quanto la normativa presente in ciascuna nazione è consultabile in inglese ed è opportuno avere uno scambio di dati, informazioni ed esperienze fra “Occupational Safety Manager” in appositi incontri locali, nazionali ed internazionali o attraverso telefonate e scambi di mail tra colleghi di altre nazioni per facilitare scambi di idee e consentire di avere una visione per proposte di nuove iniziative atte ad implementare o rivedere le attuali misure di sicurezza da presentare al Datore di Lavoro;
- la seconda attività riguarda i “Costi della non Sicurezza”, tema già trattato in un precedente articolo da parte di chi scrive, legati soprattutto al fenomeno infortunistico (infortuni, malattie professionali, incidenti e infortuni mortali) il quale come noto incide principalmente sui Premi Assicurativi (soprattutto il Premio INAIL), e nelle modalità Bonus/Malus, sta ad indicare principalmente la diminuzione o l’aumento dei rischi lavorativi presenti nella produzione di beni e servizi e costituiscono un campanello di allarme per iniziare una prima analisi da parte del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione di iniziative concrete da mettere in atto per ridurre, se non abbattere, il fenomeno infortunistico nel suo complesso, a supporto delle decisioni del Datore di Lavoro che deve obbligatoriamente prendere in materia, in caso per esempio di un grave infortunio, per la cui durata può scattare automaticamente un controllo degli Enti di controllo dello Stato competenti per territorio (Pretura, Ispettorato, Asl, Carabinieri, Vigili Urbani, etc.). In tal senso i “costi di prevenzione” opportunamente elaborati dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione consentono al Datore di Lavoro di ridurre i “costi assicurativi” ed i “costi diretti”, nella convinzione che una “leva economica” possa convincere il Datore di Lavoro stesso a dare una giusta priorità a intraprendere misure di sicurezza dovute al riconoscimento formale di un Bonus per la riduzione significativa del fenomeno infortunistico nel suo complesso e quindi misure di prevenzione e protezione in molti casi a “costo zero”,
Il numero 7 riguarda infine la ricerca del miglioramento continuo” che passa necessariamente dall’autorevolezza del saper fare bene alcuni specifici compiti ed attività previste dal D.lgs. 81 che sono sempre più considerati una condizione necessaria del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione per essere apprezzati nell’azienda in cui opera, in momenti nei quali, come fatto cenno, la competizione professionale si fa più spinta e passa necessariamente dal fare bene questi compiti con la richiesta e necessaria competenza. Nel caso specifico, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione deve saper fare bene le attività previste del D.lgs. 81, le quali sono ritenute oramai importanti per essere autorevoli in quanto avere queste capacità significa avere un minimo margine di errore rispetto al proprio modo di operare.
In tal contesto, a parere di chi scrive, le 7 attività che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione deve continuamente mantenere nel tempo rispetto all’esperienza e alle competenze professionali già maturate, riguardano:
- controllo del rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
- controllo delle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- controllo delle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- controllo delle attività di informazione e formazione di lavoratori, preposti e dirigenti;
- controllo delle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
- controllo dell’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
- controllo delle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
Nel loro insieme queste attività rappresentano i controlli che in concreto il Datore di lavoro, i Dirigenti ed i Preposti devono fare in materia di salute e sicurezza sul lavoro e nel loro insieme rispondono, se analizzati anche singolarmente, proprio ai principali contenuti dell’art. 30 “Modelli di organizzazione e gestione” del D.Lgs. 81. Pertanto saper fare bene queste 7 attività da parte del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione consente di controllare ed assicurare nel tempo la regolarità e l’esattezza della loro esecuzione, a supporto degli obblighi del Datore di Lavoro e dei Dirigenti in materia (art. 18 D.Lgs. 81/2008) e consentono, come dire, di “essere sul pezzo”, espressione mutuata dal giornalismo, che testimonia il suo uso anche nel linguaggio comune aziendale che indica la conoscenza e l’attenzione a fare bene i compiti, in modo tale che ove emergessero eventuali e possibili anomalie organizzative e gestionali queste possono essere prontamente gestite senza errori, se non quelli marginali e non determinanti dovuti proprio alla complessità organizzativa da gestire nel tempo e con continuità. Il tutto per supportare e rapportarsi efficacemente e periodicamente da parte del Responsabile del Servizio del Prevenzione e Protezione al Datore di Lavoro ed ai Dirigenti soprattutto per le iniziative “annuali” da intraprendere per l’anno di esercizio successivo, ma con le dovute coperture di investimenti in misure di sicurezza da intraprendere, sulla base principalmente della puntuale statistica del fenomeno infortunistico nel suo complesso (infortuni, malattie professionali, incidenti ed infortuni mortali) che rappresenta un determinante “indicatore” della bontà o meno del sistema organizzativo e gestionale in atto.
In conclusione, sottolineando che quanto proposto deve essere inteso come puro tentativo di prendere a prestito una certa idea progettuale apparsa su una autorevole rivista online come PROGETTO MANAGER e di trasferire la stessa sul nostro Giornale online PUNTO SICURO altrettanto autorevole in materia di salute e sicurezza sul lavoro, deve essere intesa come scambio di idee tra Responsabili del Servizio del Prevenzione e Protezione originate dal continuo incontro e confronto di differenti visioni e strategie, per mettere in comune dati, informazioni ed esperienze in occasione di riunioni, convegni o momenti formativi, in presenza o da remoto. Questo perché nel momento in cui i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione sono impegnati nel loro lavoro quotidiano di grande responsabilità, a supporto del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare sia nel processo di valutazione di tutti i rischi insiti nelle lavorazioni industriali che nel processo di informazione, formazione e addestramento, corrono il rischio di perdere progressivamente competenze professionali in un panorama industriale sempre più complesso ed instabile, in quanto investito periodicamente da cicliche crisi economiche, molte volte dirompenti come quelle attuali della pandemia. La formula proposta in definitiva ha il semplice obiettivo di sommare opportunamente le singole istruzioni proposte per consentire al “singolo” Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione di valutare - fatto 100 il valore totale dell’Algoritmo proposto - il “livello di competenze professionali” raggiunto in un determinato tempo della vita professionale per consentirgli di implementarle ove necessario in funzione anche di un possibile sentiero di carriera professionale. Da rilevare che questa pandemia ha accentuato sia le difficoltà di organizzare e gestire le particolari problematiche come quelle delle misure di prevenzione e protezione da mettere in atto, sia la forzata trasformazione del vecchio ed abituale modo di lavorare, svolto esclusivamente o prevalentemente in ufficio, che si è trasformato oramai in un modo alternativo di lavorare ma che sta ponendo molti interrogativi di come gestire la salute e la sicurezza sul lavoro da casa o da qualsiasi altro posto di lavoro ritenuto sicuro da parte del lavoratore, in una sorta di autocontrollo continuo dei rischi.
In tal senso le varie modalità di lavoro da remoto in atto e più in particolare lo Smart Working - certamente non nuovo perché già operativo da tempo in molte aziende anche se in minima percentuale – rappresenta oramai il più massiccio modo di lavorare da remoto, per il quale si deve oramai consentire di prendere atto, con piena consapevolezza, che il suo utilizzo immediato ha consentito la continuità operativa, anche se ridotta, del sistema generale e produttivo italiano, e prima di tutto la continuità operativa del sistema produttivo del settore agro-alimentare. Infine il contrasto ed il contenimento del Covid sta affidando sempre più al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e al Medico Competente il ruolo di coordinatori centrali sia per la gestione della pandemia che per attuare correttamente la normativa vivente ai fini di tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro, a supporto del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti.
Donato ERAMO
Aviation Safety Engineer già Director Occupational Safety ALITALIA Group
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Rispondi Autore: Gerardo RIZZO - likes: 0 | 01/06/2021 (07:23:00) |
Oggi anche alcune PMI applicano formule di buone prassi nell'espletamento della funzione di RSP ma ci sono ancora troppi GRUPPI che vendono la Sicurezza nei luoghi di lavoro senza farla. E' difficile credetemi |
Rispondi Autore: Marabelli Gian Piero - likes: 0 | 01/06/2021 (08:16:26) |
Note a margine in libertà 1) L'articolo pare riferirsi solo a RSPP di aziende di grandi/grandissime dimensioni nelle quali certamente la complessità dei compiti richiede più competenze. Però la realtà economica del nostro paese è fatta in gran parte (70-75%) di piccolissime/piccole/medie imprese. Quindi forse è li che va cercato il "quid" per un Rspp. Per le grandissime imprese adesso ci si orienta verso un HSE Manager e sulla differenza con Rspp, magari si potrebbe spendere qualche parola. 2) L'articolo sembra ignorare, sembra, la prassi di riferimento UNI pdr 87/2020 che, uscita nel 2020, traccia molto bene le competenze tipiche, l'impegno e anche, forse esagerando un poco, la natura economica dell'impegno. La Uni Pdr 87/2020 parla dell'attività del Rspp inquadrandolo all'interno di un ottica di "sistema" (PDCA) inserendo e commentando le attività di Rspp all'interno di quella logica, che anche l'articolo sembra richiamare pur non citando nulla di specifico a riguardo. L'art. cita l'art. 30, che però è indirizzato non a Rspp, ma alle posizioni di garanzia, alle strutture di vertice. Se si volesse citare l'art. 30, tenendo conto delle attività di Rspp, questa deve essere inquadrata nella logica di sistema che citavo prima, in particolare tenendo conto del passaggio fondamentale che l'art. 30 fa sul "modello di controllo". 3) L'inciso che l'articolo fa l'art. sull'art. 33 è curioso, parla di "istruzioni". Ma l'art. 33 non è un'istruzione: è una norma giuridica, che pur non essendo sanzionata fa parte dell'ordinamento giuridico. Istruzione è semmai la Uni Pdr 87/2020. Per capire e comprendere l'attività di Rspp bisogna partire da questo e poi applicare i modelli teorico/matematici che si vogliono... Anche la SWOT è interessante se applicata alle attività di Rspp. 4) Infine sui costi: nel passaggio sui costi e sui benefici non viene citato il modello fondamentale di riferimento a questo riguardo e cioè l'attuale MOD. OT 23 che Rspp dovrebbe conoscere, diffondere ed aiutarne la compilazione. |
Rispondi Autore: Pasquale - likes: 0 | 01/06/2021 (10:18:21) |
Mi piacerebbe sapere in quale grosso gruppo possiamo trovare un HSE manager o più semplicemente un RSPP , che di solito in queste aziende hanno qualifica dirigenziale, che "si sporca le mani" e si assume ulteriori responsabilità penali con un'attività di controllo in campo. A me sembra che le cose concretamente utili le abbia detto piuttosto il Marabelli. |
Rispondi Autore: DONATO ERAMO - likes: 0 | 03/06/2021 (12:34:58) |
Caro Marabelli, eliminerei giudizi tranchant tra colleghi AIFOS. Abbiamo sostanziali differenti esperienze e competenze (lei è un "avvocato" che si interessa anche di sicurezza sul lavoro, io sono un "aviation safety engineer" - un RSPP - avendo avuto l'occasione di lavorare oltre che per ALITALIA anche negli USA per la Boeing). In un precedente mio articolo (RSPP o Manager HSE?) ho già trattato la differenza tra RSPP e HSE Manager e spiego perchè, secondo un mio modesto parere, è preferibile un RSPP. Saluti. Donato Eramo |