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Sulla verifica della prevedibilità e della evitabilità di un evento dannoso

Sulla verifica della prevedibilità e della evitabilità di un evento dannoso
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Rischio scavi

13/03/2023

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta per il verificarsi di un evento dannoso un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo necessaria anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dello stesso.

Abbiamo appena da poco finito di commentare una sentenza della Corte di Cassazione sulla eventuale responsabilità del committente di un’opera edile nel caso che avvenga un infortunio sul lavoro in un cantiere installato per la realizzazione di un’opera per suo conto ed ecco che siamo qui a commentarne un’altra su tale figura e ciò forse perché i committenti ricorrono spesso alla Corte di Cassazione e non si sono resi ancora conto appieno dell’importanza che il legislatore ha voluto assegnare a tale figura e della posizione che la stessa riveste nella organizzazione del cantiere nella convinzione probabilmente che con l’affidamento dei lavori all’appaltatore siano trasferiti ad esso tutti gli obblighi affinché gli stessi vengano svolti nella massima sicurezza, così come accadeva ancor prima che venissero recepite in Italia le disposizioni di cui alle direttive europee sui cantieri temporanei o mobili.

 

È sufficiente, infatti, una attenta lettura dell’art. 90 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i. per rendersi conto che il committente delle opere edili è il “deus ex machina” del cantiere essendogli stati assegnati svariati obblighi di controllo e di verifica fra i quali appunto quello, ancor prima dell’inizio dei lavori, di cui al comma 9 lettera a) dello stesso articolo 90 riguardante la verifica della idoneità tecnico-professionale, con le modalità di cui all’allegato XVII dello stesso decreto, delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare, obbligo che è quello per la cui violazione, nel caso della sentenza in esame, è stato condannato il committente ritenuto responsabile per l’infortunio mortale subito da un lavoratore autonomo, dallo stesso incaricato per l’esecuzione di un’opera edile, a seguito del crollo di un edificio fatiscente e pericolante limitrofo allo scavo che stava eseguendo.

 

Avendo fatto il committente ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo sostanzialmente che  non era stato perfezionato un contratto con il lavoratore autonomo chiamato solo a dare dei consigli ma che aveva invece dato inizio ai lavori autonomamente e a sua insaputa, la stessa ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato e ha riconosciuto in capo al committente una responsabilità sia in relazione alle scelta dell’appaltatore e alla mancata verifica della sua idoneità tecnico professionale ad eseguire l’opera in argomento sia in relazione al mancato controllo dell’adozione da parte dello stesso delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.



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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato alla pena di un anno di reclusione un committente in ordine al delitto di omicidio colposo ai danni di un lavoratore al quale aveva commissionato l'esecuzione di alcuni lavori di messa in sicurezza del fondo di sua proprietà, consistenti nello scavo di una trincea, in vista della realizzazione di plateatico in cemento e di un muro di cinta quale contenimento rispetto al "perimetrale" della proprietà di un confinante. Tale ultimo immobile era costituito da una porzione di muro realizzata in mattoni pieni debolmente legati fra di loro, con crepe verticali, in pessimo stato di conservazione, privo di copertura e di alcuni solai, in completo abbandono e in una costante condizione di crollo incipiente. Proprio per tale ragione l’immobile era stato già in passato oggetto di numerose ordinanze di demolizione comunali ed era già crollato in maniera autonoma in più punti. Il giorno dell’infortunio il lavoratore aveva iniziato a dare esecuzione al contratto d'opera con un badile ed altri utensili, in presenza della convivente dell'imputato, ed aveva scavato una trincea, larga 50 centimetri, profonda 60 centimetri e lunga 5 metri, a distanza variabile tra i 10 e i 20 centimetri dalla porzione di muro pericolante allorquando ad un certo punto il muro è crollato e lo ha sepolto cagionandone la morte.

 

L'addebito di colpa a carico dell'imputato era stato individuato nella negligenza ed imprudenza, consistite nell'avere commissionato alla persona offesa, priva delle necessarie competenze tecnico professionali, lo scavo per la realizzazione del muro di contenimento a ridosso dell’edificio in rovina in difetto di qualsiasi titolo abilitativo ed in difetto delle cautele volte ad impedire il crollo. Lo stesso era stato assolto in primo grado dal delitto di cui all'art. 449 cod. pen. in relazione al crollo del muro e la sentenza di assoluzione non era stata impugnata.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso con il proprio difensore, formulando alcune motivazioni. Con un primo motivo lo stesso ha dedotto una violazione di legge in relazione alla affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine all'infortunio mortale verificatosi. La difesa ha infatti messa in evidenza l’impossibilità, di cui era stato dato atto anche in entrambe le sentenze di merito, di stabilire se lo scavo effettuato dal lavoratore avesse avuto un ruolo causale rispetto al crollo della porzione di edificio, derivante dalla non misurabilità del detensionamento del terreno, e che ciò avrebbe dovuto indurre a concludere per la mancanza di un nesso di causa fra i lavori svolti e la morte del lavoratore. Questi, secondo il ricorrente, aveva iniziato da solo e in autonomia a dare esecuzione al lavoro dello scavo in assenza del perfezionamento di un contratto di opera e senza direttive dell'imputato, che, infatti, non era neppure presente il loco. L’imputato si era limitato a chiedere ausilio a lui in quanto era persona esperta, e l'incarico commissionato non aveva avuto efficienza causale rispetto all'evento crollo e quindi neppure rispetto all'infortunio mortale; inoltre non poteva neanche dirsi che un comportamento alternativo lecito, ossia la presentazione, primo dell'inizio dei lavori, della Scia corredata da relazione a firma di progettista avrebbe impedito il crollo.

 

Con un altro motivo il difensore ha dedotto la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato. Il ricorrente ha ribadito le osservazioni e le considerazioni svolte con il primo motivo, ed in particolare quella per cui, non essendosi potuto accertare se lo scavo fosse stato concausa del crollo, la morte del lavoratore infortunato non poteva essere imputata alla condotta colposa dell’imputato, tanto più che questi si era rivolto per la esecuzione dei lavori sul suo terreno ad una persona con esperienza pluriennale nel settore dell'edilizia.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso, secondo la Corte di Cassazione va rigettato. La stessa, con riferimento al nesso di causalità, ha osservato che, nelle sentenze di merito è stato dato atto che il crollo del muro perimetrale era stata la causa naturalistica che aveva determinato la morte da soffocamento del lavoratore e che l'apporto causale della condotta dell'imputato era consistita, invece, nell'avergli commissionato dei lavori in prossimità del muro pericolante in assenza delle necessarie cautele, indipendentemente dalle ragioni che in concreto avevano determinato il crollo del muro.

 

La motivazione della Corte territoriale quindi, secondo la Sezione IV, non ha presentato alcun vizio di contraddittorietà e illogicità né l’assoluzione dell’imputato in ordine al delitto di crollo di costruzioni era in contraddizione con la affermazione di responsabilità in ordine al delitto di omicidio colposo. I giudici di merito, infatti, avevano sostenuto che non essendo stata raggiunta la prova, stante la impossibilità di misurare il detensionamento del terreno cagionato dallo scavo eseguito dall’imputato, che fosse stato proprio lo scavo a determinare il crollo (piuttosto che, in via esclusiva, le piogge e il sisma del giorno precedente o anche solo lo stato di usura dalla costruzione), detto crollo non poteva essere addebitato alla condotta dell'imputato. Questi era stato ritenuto, nondimeno, responsabile per la morte del lavoratore in quanto aveva commissionato lavori delicati, da effettuarsi in prossimità di un muro pericolante, senza assicurarsi che tali lavori potessero essere svolti in sicurezza e, dunque, aveva posto la vittima nella situazione di pericolo che poi si era in effetti concretizzata. In tal modo quindi i giudici hanno valutato la riconducibilità dell'evento morte alla condotta colposa dell’imputato consistita non già nell'avere determinato le condizioni per il crollo del muro insistente sul terreno confinante, bensì nell'avere dato incarico alla vittima di eseguire lavori in un'area soggetta ad un rischio di crollo prevedibile.

 

Con riferimento poi al tema della colpa, la suprema Corte ha precisato che, come è noto, “la titolarità di una posizione di garanzia  non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo imposta dal principio di colpevolezza, oltre alla verifica della sussistenza della violazione di una regola cautelare che il garante fosse tenuto a rispettare e della rilevanza causale di tale violazione rispetto all'evento, anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso” e ha citato come precedente, fra le tante, la sentenza della Sez. IV n. 43966 del 06/11/2009, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " Sulla responsabilità del DdL nei confronti di terzi estranei all’azienda". 

 

È pacifico nella giurisprudenza di legittimità, ha così proseguito la Sez. IV, che in capo al committente è riconosciuta una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità, sia in relazione alla scelta dell'impresa, sia in relazione al mancato controllo dell'adozione da parte dell'appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro; è stato, infatti, sostenuto che in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l' idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati. Nel caso in esame, ha così proseguito la Corte di Cassazione, il contratto di appalto, come chiarito anche nella sentenza di primo grado, era stato perfezionato per cui il lavoratore aveva effettuato i lavori di scavo, non già di propria iniziativa ed in autonomia, ma in quanto incaricato dall'imputato.

 

L’imputato quindi è stato ritenuto responsabile per la cosiddetta culpa in eligendo, ovvero per aver commissionato lavori che richiedevano specifiche competenze a un soggetto che ne era sprovvisto. I giudici hanno infatti sottolineato che la vittima era imprenditore individuale specializzato in rivestimenti di muri e pavimenti e, per quanto vantasse esperienza pluriennale nel settore dell'edilizia, non era dotato delle competenze tecniche per operare in una area caratterizzata da un elevatissimo rischio di crollo per la presenza di un edificio fatiscente e pericolante: di tale rischio, del resto, l’imputato era a conoscenza, posto che i lavori commissionati erano volti proprio a rafforzare il muro di confine in previsione di un possibile crollo. Nella stessa ottica i giudici hanno valorizzato anche la mancata presentazione da parte dell'imputato della segnalazione al Comune di inizio dei lavori, che avrebbe dovuto essere corredata da elaborati progettuali a firma di professionista abilitato e da una relazione asseverante il rispetto delle norme di sicurezza.

 

In conclusione la Corte di Cassazione, avendo ritenuti infondati anche gli altri motivi di ricorso presentati dalla difesa dell’imputato e relativi alla determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e avendo altresì ritenute logiche le decisioni prese da quella territoriale, ha quindi rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 8477 del 27 febbraio 2023 (u.p. 20 ottobre 2022) - Pres. Dovere – Est. Ricci - P.M. Casella – Ric. D.M.T. - La titolarità di una posizione di garanzia non comporta per il verificarsi di un evento dannoso un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo necessaria anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dello stesso.

 


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