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Rischio stress: potenzialità e limiti di un obbligo legislativo
Modena, 18 Mar – Quanto è diffuso l’adempimento relativo all’obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato? Quali sono le criticità e potenzialità della normativa vigente?
Per rispondere a queste domande possiamo presentare brevemente un Quaderno della Fondazione Marco Biagi, fondazione dell’ Università degli studi di Modena e Reggio Emilia che, costituita nel 2002, ha l’obiettivo di promuovere e consolidare il rapporto tra Università e mondo del lavoro.
Il Quaderno/saggio dal titolo “La valutazione dello stress lavoro correlato: potenzialità e limiti di un obbligo legislativo”, a cura di Gabriella Galli (UIL, Responsabile nazionale Ufficio salute e sicurezza), Paola Mencarelli (Psicologa del lavoro, Uil Milano e Lombardia) e Roberto Calzolari (Uil Ufficio Formazione Nazionale), è stato pubblicato nel 2013 e fotografa una situazione che è stata poi monitorata nel tempo dall’Osservatorio Confederale sul Monitoraggio della Valutazione dello Stress Lavoro Correlato.
Il documento si sofferma sul non facile recepimento dell'Accordo europeo sullo stress lavoro-correlato del 2004. Recepimento che, secondo gli autori, ha avuto diverse resistenze da parte dei rappresentanti delle aziende italiane. Resistenze che dipendono anche dalle “implicazioni che l’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato comporta: ovvero l’evidenziarsi (a seguito di una corretta valutazione) di incongruenze nell’organizzazione e la necessità di progettare interventi e individuare misure correttive in merito”.
Veniamo tuttavia al principale tema del breve saggio, le potenzialità e limiti dell’obbligo legislativo.
Per parlarne si ricorda che la Commissione consultiva già il 17 novembre 2010 ha emanato le “ Indicazioni per la valutazione del rischio da stress lavoro” che il Ministero del lavoro ha diffuso mediante propria Circolare del 18 novembre 2010.
Ricordiamo che le “Indicazioni” recepiscono la “definizione di stress lavoro-correlato di cui all’Accordo europeo, così come recepito dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008 e prevedono una valutazione del rischio articolata in due fasi:
- una valutazione preliminare, definita ‘necessaria’;
- una valutazione approfondita, definita ‘eventuale’, da effettuare a seguito dei risultati della precedente”.
E per la “Unione Italiana del Lavoro” ( Uil), gli elementi critici evidenziati nella metodologia proposta dalla Commissione consultiva “sono fondamentalmente tre:
- innanzitutto la metodologia proposta non prevede una fase preliminare relativa ad azioni comunicative/informative e di sensibilizzazione e coinvolgimento mirate ai dirigenti /lavoratori /Medico competente/Servizio di Prevenzione e Protezione /Rls;
- non sono previste inoltre azioni formative specifiche sul tema dal punto di vista teorico e applicativo e, ciononostante, si attribuisce totalmente la competenza della valutazione alle figure aziendali, sapendo che queste non sono in possesso delle competenze necessarie per affrontare la tematica oggetto d’indagine (i datori di lavoro sono formati con 16 ore che non prevedono venga trattato il tema dello stress o non formati affatto, Rspp che nell’ambito del modulo C ricevono una formazione di due ore sul tema, Rls per i quali non è prevista nessuna formazione sul tema). Si esclude, nella prima fase, il supporto di figure esterne dimenticando quanto contrariamente disposto in merito sia dall’art. 31 del D.Lgs. 81/2008 (che ai commi 3 e 4 prevede l’utilizzo di competenze esterne ad integrazione di quelle aziendali), sia dall’art. 6 dell’Accordo europeo/interconfederale;
− terza criticità, ma prima per importanza, l’aver previsto la ‘valutazione della percezione dei lavoratori’ quale contributo eventuale della valutazione mentre la lettura dell’Accordo interconfederale, così come gli orientamenti comunitari ed in letteratura suggeriscono in merito che una corretta valutazione del rischio stress lavoro correlato non può essere attuata, senza la rilevazione in tutte le situazioni, della percezione soggettiva dei lavoratori, indipendentemente dalla dimensione d’impresa o del livello di rischio rilevato con altri metodi”.
Queste considerazioni e criticità hanno portato poi alla realizzazione di un diffuso percorso formativo e di varieattività di monitoraggio in questi anni sulle modalità applicative dell’obbligo di valutazione. Ad esempio su PuntoSicuro la stessa Gabriella Galli ha presentato le attività di monitoraggio realizzate fino al 2014 e presentato durante l’evento Ambiente Lavoro.
Nel Quaderno pubblicato dalla Fondazione Marco Biagi si presentano la metodologia e i risultati di uno di questi monitoraggi condotto nel 2010 attraverso la somministrazione di un questionario rivolto a RLS e a Rappresentanti sindacali aziendali per verificare “quanto realmente realizzato in materia di valutazione dello stress lavoro-correlato”. E la prima fase dell’intervento ha previsto anche un diffuso percorso formativo che ha coinvolto 600 persone appartenenti a tutte le categorie affiliate alla Confederazione.
Si ricorda poi che l’Osservatorio Confederale sul Monitoraggio della Valutazione dello Stress Lavoro Correlato ha predisposto una scheda per il monitoraggio sulle modalità di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio con l’intento di:
- individuare “elementi utili alla valutazione dell’efficacia dell’attuale fase di integrazione dello stress lavoro correlato nel processo di valutazione dei rischi per la salute e sicurezza di lavoratori e lavoratrici, informazioni sulle modalità concrete di coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti”;
- individuare “indicazioni sulle soluzioni pratiche adottate sia in termini quantitativi che qualitativi”;
- verificare “l’efficacia dei percorsi formativi attraverso la risposta dei/delle Rls nella partecipazione alla rilevazione del rischio stress lavoro correlato”.
L’analisi, conclude il breve saggio (che, ricordiamo, fa riferimento al monitoraggio condotto nel 2010) “conferma le criticità delle Indicazioni Metodologiche già evidenziate in diversi contesti, rispetto alla poca evidenza data all’informazione e alla formazione dei lavoratori: poche aziende hanno provveduto ad eseguire tali azioni prima, dopo o durante la valutazione del rischio stress lavoro correlato, disattendendo anche il dettato legislativo (art. 36 e 37 D.Lgs. 81/2008) in merito alla formazione sui nuovi rischi”.
Inoltre la partecipazione dei lavoratori e/o degli RLS al percorso di valutazione “è nella maggioranza dei casi limitata ad alcune fasi, con una percentuale del 33% non consultata in nessuna forma. Tuttavia emerge anche una lieve tendenza da parte di alcune aziende, impegnate a migliorare il percorso introducendo la valutazione approfondita in parallelo con la valutazione preliminare, per ottenere un quadro complessivo più puntuale della situazione aziendale”.
Insomma in conclusione di questa analisi si indica che è “necessario intensificare l’attività di promozione della cultura del benessere, in particolare presso l’alto management delle aziende, in modo da diffondere consapevolezza sull’importanza della creazione di condizioni di lavoro adeguate, che favoriscono non soltanto il benessere dei lavoratori, ma anche l’efficienza dell’impresa”.
“ La valutazione dello stress lavoro correlato: potenzialità e limiti di un obbligo legislativo”, a cura di Gabriella Galli (UIL, Responsabile nazionale Ufficio salute e sicurezza), Paola Mencarelli (Psicologa del lavoro, Uil Milano e Lombardia) e Roberto Calzolari (Uil Ufficio Formazione Nazionale), Quaderno della Fondazione Marco Biagi n. 5/2013 (formato PDF, 5.87 MB).
Tiziano Menduto
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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