Ergonomia, invecchiamento, stili di vita e benessere organizzativo
Bologna, 15 Mar – In questi ultimi anni di campagna europea 2020-2022 “ Ambienti di lavoro sani e sicuri. Alleggeriamo il carico!” si è finalmente tornati a parlare molto di ergonomia, di una importante disciplina che tuttavia, spesso, viene relegata al, pur importante, miglioramento del rapporto uomo-macchina o alla progettazione e adattamento di una postazione di lavoro.
In realtà l’ergonomia è molto di più e, come diceva uno dei primi studiosi (K. F. H. Murrell) di questa scienza, si deve intendere l’ergonomia come lo studio delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente in cui opera, tenendo conto delle esigenze anatomiche, fisiologiche e psicologiche.
Proprio per questo motivo, dopo il triennio di campagna in cui i rischi ergonomici sono stati per lo più declinati come rischi di disturbi muscoloscheletrici, abbiamo deciso di approfondire il tema ricordando, come segnalava una nostra intervista al Dott. Dal Cason, che l’ergonomia può essere, in realtà, il giusto grimaldello per migliorare lo stato di benessere fisico, psichico e sociale nei luoghi di lavoro.
Per ampliare i nostro orizzonti sull’ergonomia abbiamo intervistato, durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro” a Bologna, Carlo Zamponi (Consigliere nazionale AiFOS, autore di diverse pubblicazioni, docente a contratto presso l’Università degli Studi dell’Aquila, formatore in materia SSL) che si è occupato di ergonomia più volte, anche attraverso alcuni contributi pubblicati dal nostro giornale.
Il tema che abbiamo affrontato nell’intervista ha riguardato vari aspetti connessi all’ergonomia partendo dall’adattamento delle risorse umane connesse all’avanzamento dell’età lavorativa.
Che cos'è l'ergonomia? Può favorire l’adattamento del lavoro all’avanzamento dell’età?
Come deve essere un'adeguata gestione aziendale in relazione agli aspetti e ai rischi ergonomici?
Negli ambienti di lavoro l’ergonomia è correlata anche al tema del benessere organizzativo?
L’ergonomia riguarda gli stili di vita?
Per affrontare gli aspetti ergonomici in un'azienda è necessaria un’adeguata promozione della salute tra i lavoratori?
L’intervista si sofferma su vari argomenti:
- L’ergonomia, le risorse umane e l’avanzamento dell’età
- L’ergonomia e il benessere organizzativo aziendale
- L’ergonomia, gli stili di vita e la promozione della salute
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.
L’intervista di PuntoSicuro a Carlo Zamponi
L’ergonomia, le risorse umane e l’avanzamento dell’età
Parliamo con Carlo Zamponi dell'ergonomia in relazione a quello che può essere l'adattamento delle risorse umane alla mansione lavorativa in riferimento anche all’invecchiamento della forza lavoro. Partiamo però da zero. Che cos'è l'ergonomia?
Carlo Zamponi: Ho provato a essere il più esplicito possibile, il più chiaro, perché è una tematica abbastanza complessa. E nella sua semplicità ho cercato di portare questo riferimento.
Ho sempre considerato nell'azienda che ci potessero essere delle mansioni tipo calciatore.
Il calciatore a 36, 38 anni in media - poi ci sono dei casi limite - smette di lavorare. Perché smette di lavorare? Perché smette di fare il calciatore? Perché l'età che avanza non gli permette più di mantenere quelle performance che erano presenti (…). Ma il problema è che non può riconvertirsi, un calciatore.
Diversamente ho pensato ad una mansione, ad un mestiere tipo cantante. Ci sono ancora cantautori che cantano, però hanno rivisto il loro – passami il termine - “documento di valutazione dei rischi”. In qualche modo hanno rivisto un po' le performance, suonano un po' meno, per via delle articolazioni che con l'avanzamento dell'età diventano più rigide, cantano un po' meno soprattutto le lunghe note e si portano dietro le vocalist. In modo tale che non si faranno mai ricordare come coloro che stonano, si fanno ricordare ancora come quelli che suonano rivedendo un po' le performance.
Quindi, se vogliamo portare questo esempio sul nostro campo, sul Testo Unico, questi lavoratori hanno rivisto, hanno revisionato il loro “documento di valutazione dei rischi”. Quindi in termini organizzativi hanno cambiato la mansione.
Quindi cos'è l'ergonomia? È la facilitazione dell’adattamento della mansione lavorativa considerando il lavoratore che con l' avanzamento dell’età cambia. Dal punto di vista delle abilità diventa più competente, diventa più bravo, però da un punto di vista delle performance, dobbiamo considerarlo un po' meno performante. (…)
Come deve essere un'adeguata gestione aziendale riguardo agli aspetti ergonomici?
C.Z.: Riguardo a questo aspetto mi sono rifatto un po' ad una lettura più attenta dell'articolo 28 del nostro Testo Unico.
Il legislatore ammette, fra le righe, di “aver sbagliato” scrivendo che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi per la salute e per la sicurezza. Doveva chiudere questa frase con un punto. Invece lui considera, il legislatore, questi “ivi compresi”. Negli “ivi compresi”, che erano già considerati nei “tutti” - quindi non doveva insistere negli “ivi compresi” – mette molte argomentazioni riferite all'ergonomia. Inserisce l'età, inserisce lo stress lavoro correlato, la provenienza, inserisce la gravidanza. (…).
Evidentemente noi non siamo abituati molto a considerare, nei documenti di valutazione dei rischi, questi aspetti più specifici. Noi siamo molto bravi a valutare i rischi chimici, biologici, fisici. Su questi siamo abbastanza più preparati, però sui rischi cosiddetti organizzativi, (…) purtroppo si trova poca gestione, soprattutto in considerazione al tema dell'età.
Quando entrai in azienda ero giovane. Quindi il datore di lavoro, non solo in termini di competenza mi faceva crescere con la formazione e l'addestramento, però considerava anche le mie performance in termini fisiologici e antropometrici. Però adesso questi aspetti fisiologici e antropometrici, con l'avanzamento dell'età, non sono gli stessi.
Quindi è chiaro che il datore di lavoro, in termini organizzativi, deve essere lungimirante. Cioè deve iniziare a pensare che se io faccio un mestiere tipo cantante - se facessi un mestiere tipo calciatore a una certa età già saprei che quel mestiere non potrei più farlo – (…) fra una decina d'anni Carlo se ne dovrà andare da questa postazione o, meglio, si dovrà riorganizzare la postazione in funzione di un'età che avanza. (…)
Sto generalizzando, non è tutto così, però la maggior parte delle aziende purtroppo si pone il problema all'indomani della quiescenza di qualcuno. (…)
Oggi la Direttiva macchina è scritta soprattutto in termini ergonomici, (…)
Immagina quello che raccontava Olivetti. Adriano, che mise all'interno della sua fabbrica, non soltanto la fabbrica, come veniva definita a quel tempo, ma una scuola d'infanzia e altre cose… Tutti corollari per cercare poi di arrivare al benessere organizzativo del collaboratore.
Quindi queste tematiche vanno considerate in virtù del fatto che noi non siamo sempre gli stessi. E se non siamo sempre gli stessi bisogna, in qualche modo, cercare di adattare la risorsa umana alla sua mansione (…). Qualitativamente cresciamo, quantitativamente è ovvio che bisogna, in qualche modo, rifare qualche conticino…
L’ergonomia e il benessere organizzativo aziendale
Facciamo un approfondimento su alcuni aspetti che probabilmente hanno a che fare anche con l’ergonomia. Questa disciplina scientifica riguarda il benessere organizzativo?
C.Z.: Per benessere organizzativo va intesa la risorsa umana non solo nella sua solo fisicità ma soprattutto nella sua psicofisicità presente all'interno del luogo di lavoro.
Considera che se noi abbiamo un lavoratore soddisfatto, questo produce meglio, non soltanto in termini quantitativi, ma in termini qualitativi.
Noi dobbiamo considerare che la nostra azienda deve rispettare il cosiddetto rapporto “sinallagmatico”. Il rapporto contrattuale non è altro che un dare e avere: da una parte il datore di lavoro si contrattualizza con il lavoratore - quindi “ti do uno stipendio a fine mese” - dall'altra parte, per converso, il lavoratore deve, nella organizzazione lavorativa, ridare la sua prestazione, la sua performance. Questo si chiama “benessere organizzativo”, quando ambedue si rispettano.
Ho fatto una considerazione di questo tipo sul mio ultimo libro sull'ergonomia, ho anche scritto che (…) il lavoratore deve considerare che l'indomani, dopo che ha terminato di lavorare, dovrà tornare sul luogo di lavoro. Quindi anche il suo stile di vita, che più tardi magari affronteremo meglio, deve essere adeguato ad un comportamento congruo nel luogo di lavoro. Non posso tutte le sere uscire e tornare alle 5 e poi alle 8 andare in sala operatoria. Perché si chiama benessere organizzativo, ma non è soltanto il benessere organizzativo del lavoratore ma è anche il benessere organizzativo dell'azienda che devo garantire.
Quindi questi numeri che mi accompagnano - il 32 e il 41 della nostra Costituzione, la legge madre sulla quale poi noi riformiamo tutta la legislazione – dicono che è vero: il 32 viene prima del 41, anche numericamente. (…)
L’articolo 32 dice che la salute è un bene primario e il datore di lavoro, nel garantire la prestazione, deve ovviamente tendere a questo. Però dall'altra parte c'è l’articolo 41 che se lo dovessi in qualche modo semplificare indica che il datore di lavoro deve guadagnare dalla sua attività. Anche perché, (…) io lavoratore - in relazione al benessere organizzativo - investo sul mio datore di lavoro, io grazie al mio datore di lavoro ho una macchina, ho una famiglia, mi permette di andare in vacanza. Cioè se non fosse stato per il datore di lavoro (…) io tutte queste cose non le potevo incasellare. Quindi anche la mia vita extra professionale ne avrebbe risentito. Quindi il benessere non va inteso soltanto dalle 8 alle 14, canonicamente nel luogo di lavoro. Ma il benessere va inserito anche in un contesto extra lavorativo. (…)
L’ergonomia, gli stili di vita e la promozione della salute
L’ergonomia riguarda, dunque, anche gli stili di vita?
C.Z.: Decisamente. Considera che il medico competente, nelle sue tantissime attività, fra le tante cose (…) dovrebbe garantire - fra virgolette e per certi versi - una formazione che vada un po' su queste argomentazioni. Mi viene in mente il tema delle cattive abitudini alimentari, che non si riflettono soltanto nel mondo lavorativo, ma si riflettono anche in quello extra lavorativo.
Noi fra qualche anno andremo in pensione. Io vorrei andare in pensione ancora in uno stato di completo benessere. Perché se andassi in pensione, avendo prima mangiato troppo, fumato troppo, bevuto troppo. io ne risentirei anche. Quindi è un qualcosa sul quale il datore di lavoro sta investendo anche per la mia vita extraprofessionale.
Dunque idonei stili di vita vanno mantenuti non solo nel luogo di lavoro, ci permettono anche di vivere una vita serena all'esterno delle mura lavorative e nel contempo garantiscono alla mia azienda una performance lavorativa adatta, in funzione non solo dell'età che avanza, ma anche del benessere che siamo riusciti a costruire.
Non ho mai considerato l'azienda del datore di lavoro, non ho mai considerato l'azienda del lavoratore, ho sempre considerato l'azienda “nostra”. Perché da ambedue le parti si “investe”, sto investendo anche io. Spesso si parla delle responsabilità del datore di lavoro, ma gli stili di vita, secondo me, comportano più una responsabilità soggettiva del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. (…)
Io domani mattina devo tornare sul mio luogo e ci devo tornare col senno, ci devo ritornare così come ne sono uscito. Spesso nei luoghi di lavoro veniamo considerati soggetti da tutelare, però non vorrei che questo questa cosa venisse dimenticata all'esterno. Io non posso, dopo il lavoro, andare ancora a lavorare. Molti terminano e vanno a lavorare. (…)
Chiudo con questa cosa. Le ferie sono state contrattualizzate perché entrano anche nella logica dell'ergonomia per il cosiddetto recupero psicofisico del lavoratore. Le mie ferie non possono essere all'interno di un altro luogo di lavoro, altrimenti si interrompe questa catena e non si interrompe soltanto da un punto di vista soggettivo, ma anche da un punto di vista oggettivo. Facciamo tante cose, poi gli stili di vita non ti permettono di ritornare in un luogo di lavoro, in maniera congrua (…).
Quindi questa ergonomia (…) non è l'ergonomia voluta soltanto dal legislatore all'interno dell'articolo 15 e seguenti - perché in molte parti del nostro Testo Unico si parla di ergonomia – ma bisogna “ricomprenderla un po' a tutto tondo”, considerando che noi abbiamo due vite, una vita lavorativa e una vita extra lavorativa. Quando il legislatore scrive “stress lavoro-correlato” bisogna correlarle queste due cose. Perché non posso alle 14 pensare di essere libero e l'indomani tornare su un impalcato: (…) ci devo tornare psicologicamente e fisicamente idoneo.
Per affrontare gli aspetti ergonomici in un'azienda è dunque necessario fare anche una buona promozione della salute?
C.Z.: Decisamente. Spesso mi trovo nei corsi di formazione, in aula, avendo docenza a contratto all'università dell'Aquila. E dico basta ai corsi sulle argomentazioni riferite, sui racconti della norma, usciamo da questi canoni specifici. Iniziamo a pensare magari di fare entrare anche le famiglie all'interno della formazione, ad esempio quando si parla di stili di vita. Lo stile di vita non ricomprende solo la vita lavorativa del mio collaboratore, ma ricomprende anche la vita familiare. Quindi quando faremo un corso sulle cattive abitudini alimentari io, insieme a me, vorrei che ci venisse mia moglie, mia figlia (…).
Quindi quello che tu dicevi è sacrosanto.
Allargando le vedute, questi stili di vita fanno parte della promozione di una cultura della salute un po' diversa, un po’ allargata. Le sostanze d'abuso, l'alcool, tutta questa parte viene meglio gestita se la affrontiamo anche a livello familiare. Perché poi anche mio figlio o mia figlia, domani saranno dei collaboratori e la cultura della salute non si può improvvisare (…).
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
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