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Le difficoltà nella valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche

Urbino, 23 Lug – L’infortunio mortale in occasione di lavoro in cui un medico legale svolge “operazioni peritali” - attività condotte da un perito, spesso come consulente del PM (Pubblico Ministero) o del GIP (Giudice delle Indagini Preliminari) – è “una fattispecie particolarmente sfidante per il professionista poiché richiede di tenere in considerazione le particolari condizioni lavorative del caso specifico pertinenti alle differenti lavorazioni”.
E particolarmente difficili da valutare appaiono in particolare “i casi di avvelenamento acuto da sostanze chimiche e tossiche occorsi in ambito professionale”.
A segnalarlo soffermandosi sul tema della valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche è un breve saggio pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
In “La valutazione multidisciplinare dell’infortunio lavorativo da sostanze chimiche: un punto di vista medico legale”, a cura di Letizia Alfieri (medico chirurgo, specialista in Medicina legale, dottoressa di ricerca in “Medicina molecolare”, Dirigente Medico presso l’U.O. di Medicina legale, AUSL Ferrara), l’autrice si pone l’obiettivo – come indicato nell’abstract del contributo alla rivista - di “fornire un’indicazione di approccio medico legale ai casi di infortunio professionale letale che coinvolgano le lavorazioni in cui siano presenti sostanze chimiche, privilegiando l’ottica della multidisciplinarietà”.
Il saggio costituisce una rielaborazione di un contributo destinato al volume “Esposizione lavorativa a sostanze tossiche. Percorsi multidisciplinari tra prevenzione e responsabilità” (a cura di S. Buoso, D. Castronuovo, N. Murgia, Napoli, Jovene).
Per presentare brevemente il saggio ci soffermiamo sui seguenti punti:
- Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: contenuto del saggio
- Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: definizione di infortunio
- Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: peculiarità nella valutazione
Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: contenuto del saggio
Nel saggio, sempre come indicato nell’abstract, partendo dalla definizione di infortunio lavorativo – “secondo la criteriologia medico legale” - si sviluppa “un approccio forense alla valutazione dell’infortunio stesso tenendo conto delle peculiarità specifiche del contatto lavorativo con la sostanza chimica”.
Infatti, la valutazione dell’infortunio “può avvenire solo attraverso un’integrazione delle competenze di altre discipline (tossicologia, patologia generale, anatomia patologica e medicina del lavoro), procedendo con un metodo che consenta una valutazione tecnica complessiva e metodica”.
Si pongono poi le basi per una “disamina tecnica dei casi oggetto della trattazione, indicando le peculiarità in ambito di sopralluogo giudiziario, di raccolta e conservazione dei campioni, le indagini laboratoristiche utili e i contenuti imprescindibili della consulenza tecnica in ambito di infortunio mortale sul lavoro”.
Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: definizione di infortunio
Nella presentazione del saggio ci soffermiamo, in particolare, sulla definizione dell’infortunio lavorativo.
Il contributo si rifà a quanto riportato dall’Inail unitamente al DPR 1124/1965 (Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) nonché al successivo d.lgs. n. 38/2000.
La definizione di infortunio sul lavoro si ritrova in ‘…quell’evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni…’. L’infortunio si differenzia dalla malattia professionale “poiché l’evento scatenante nel primo caso risulta, per definizione, essere improvviso e violento”.
In particolare – continua il saggio - l’infortunio lavorativo consta, giuridicamente, di “alcuni elementi fondanti e necessari, che si riconoscono in involontarietà, causa violenta e occasione di lavoro”.
Riguardo all’involontarietà si segnala che l’esclusione dell’infortunio non si ha “nel caso in cui il dolo sia ravvisabile nell’azione di terzi che hanno causato/facilitato un infortunio in occasione di lavoro ai danni dell’assicurato (Cass. n. 13296/1999)”.
La causa violenta è, invece, un fattore che “agisce in occasione di lavoro, con attività concentrata nel tempo, mostrando le caratteristiche di efficienza, rapidità ed esteriorità (Cass. n. 221/1987; Cass. n. 12559/2003). Si riconoscono nelle cause violente le sostanze tossiche, gli sforzi muscolari, l’azione di microrganismi, virus o parassiti e le condizioni climatiche e microclimatiche”.
Si indica anche che la rapidità d’azione della causa violenta è “ampiamente riconosciuta in giurisprudenza sebbene sia ribadita la necessità della sua esteriorità anche nei casi in cui la causa produca effetti sulla salute, ad estrinsecazione non immediata, come ad esempio nei casi di infezione da microrganismi (es. Cass. n. 9968/2005). In tali eventualità la causa violenta non si esaurisce unicamente in un’azione immediata e puntuale (es. puntura d’ago infetto) ma è rappresentata, per lo più nella valutazione medico legale ex post basata sul manifestarsi della sintomatologia clinica, anche dalla violenza d’azione seguita al contatto con l’agente causativo di detta sintomatologia, che può quindi identificarsi nel microrganismo così come nella sostanza chimica (vedasi Cass. n. 8058/1991 e Cass. n. 3090/1992)”.
Si segnala poi che la “malattia professionale”, normata ai sensi dell’art. 3 del DPR 1124/1965, prevede, al contrario, “agenti causali che agiscono in maniera ripetuta e/o diluita nel tempo, nell’esercizio o a causa delle lavorazioni effettuate e specificate in apposite tabelle”. Se segnala poi che “l’introduzione successiva di un sistema misto (riconoscimento di patologie tabellate e non tabellate) ha, tuttavia, aperto ad ogni patologia il cui rapporto causale con la lavorazione specifica sia dimostrato e per cui il lavoratore sia stato esposto al rischio determinato dalla lavorazione”.
Fatta questa introduzione il saggio indica che è evidente come il rischio chimico “rivesta carattere particolarmente subdolo potendo agire sia in veste di sostanza con azione violenta, causando stati di intossicazione acuta o sub-acuta, sia in veste di causa diluita nel tempo inducendo malattie professionali. Si pensi, per quanto attiene questa seconda eventualità, alle numerose patologie, di cui si citano per importanza quelle onco-ematologiche, prodotte dalla prolungata esposizione a sostanze con caratteristiche mutagene”.
Valutazione dell’infortunio da sostanze chimiche: peculiarità nella valutazione
Come ricordato in premessa, non è semplice la valutazione dell’infortunio lavorativo da sostanze chimiche, in ottica medico-legale.
In particolare, la difficoltà nella valutazione dell’effetto tossico di un agente chimico “risiede nell’effetto finale che il contatto acuto o cronico con la sostanza produrrà nel singolo individuo. Tale effetto risulta spesso difficilmente standardizzabile a parità di dose tossica, potendo in larga misura dipendere, oltre che dalle particolari caratteristiche proprie della sostanza, anche dal tipo di esposizione, dai meccanismi di assorbimento ed eliminazione della stessa, dalle sue proprietà chimico-fisiche intrinseche, dalla capacità di biotrasformazione da parte dell’organismo ma anche in grande misura, dalla suscettibilità individuale”. L’autrice ricorda anche la grande variabilità dello stato clinico anteriore del soggetto intossicato.
Dunque, nella valutazione “appare opportuno considerare alcune peculiarità” che rendono “l’intossicazione del tutto particolare”. Ad esempio, il “contatto con sostanze tossiche può produrre effetti locali quando il meccanismo d’azione risulti concentrato in corrispondenza del punto di maggior applicazione o della via di assorbimento della sostanza. Sono effetti locali, ad esempio, i segni di ustione rilevati a carico delle superfici cutanee esposte; gli effetti irritanti che si producono a carico dell’apparato stomatognatico e gastrointestinale conseguenti all’ingestione di sostanze chimiche; gli effetti irritanti sull’apparato respiratorio (trachea, bronchi, bronchioli e alveoli) dovuti all’inalazione di gas o vapori”.
Rimandiamo alla lettura integrale del saggio che riporta molti altri esempi, difficoltà e peculiarità connesse alla valutazione. Il saggio sottolinea poi che è richiesta una particolare perizia: “non solo per ciò che concerne la determinazione della tipologia di sostanza intossicante ma, altresì, la diagnosi stessa di intossicazione acuta o cronica, stante le peculiari modalità di contatto”. E la fattispecie del decesso in ambito lavorativo, a seguito dell’intossicazione da chimici, pone la necessità di aderire a protocolli quanto mai metodici e multidisciplinari”.
Dunque si sottolinea che di fondamentale importanza “risulta essere, in questo contesto, l’approccio multidisciplinare” che chiama in causa, ad esempio, “gli operatori tecnici dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) delle AUSL, nel contesto del sopralluogo giudiziario/inchiesta e di indagine delle circostanze che hanno condotto all’infortunio, con funzione di Polizia Giudiziaria coordinate dalla Procura della Repubblica (a norma del d.lgs. n. 758/1994)”.
In ogni caso – conclude il saggio - “la sistematica attuazione di protocolli con una visione multidisciplinare, che coinvolgano ambiti differenti delle scienze forensi e della medicina del lavoro, potrebbe risultare di utilità nell’individuare eventuali carenze in tema di sicurezza sul lavoro, potendo facilitare l’individuazione dei soggetti responsabili di violazioni in relazione al loro ruolo ed alla loro qualifica di fatto e di diritto”. A tale fine è “ovviamente di indiscutibile necessità assicurare, mediante l’individuazione delle fonti di prova, la corretta ricostruzione delle circostanze che hanno determinato l’infortunio mortale, ai fini del giudizio di merito”.
RTM
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