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In “Esposizione lavorativa a polveri di legno” l’Inail ricorda che in relazione alle conclusioni della IARC l’Unione Europea nel 1999 ha stabilito “un valore limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3 ponderato sul periodo di otto ore lavorative”. E se a tale limite si sono conformati gli Stati membri dell’Unione Europea, in diversi paesi sono stati adottati limiti ancora più bassi (ad esempio in Germania e in Francia).
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Inail: esposizione lavorativa a polveri di legno e prevenzione
Roma, 11 Giu – Quella semplice sospensione di particelle di legno – la “polvere di legno” – che si disperde nell’aria durante la lavorazione del legno, in quantità e qualità variabile in funzione della tipologia di lavorazione e delle specie legnose impiegate, può provocare o favorire la comparsa di tumori.
In particolare nel 1987 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato:
- nel Gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo) la fabbricazione di mobili e le lavorazioni da ebanista;
- nel Gruppo 2B (possibili cancerogeni per l’uomo) le lavorazioni di falegnameria e carpenteria;
- nel Gruppo 3 (non classificabili in relazione alla cancerogenicità per l’uomo) l’ industria del legname e le segherie.
E successivamente nel 1995 sempre la IARC ha valutato sufficiente l’evidenza di cancerogenicità delle polveri di legno per l’uomo e le ha inserite nel Gruppo 1.
A ricordarci i rischi di queste polveri e a consigliarci specifiche misure di protezione è un factsheet, un documento informativo di facile consultazione, elaborato dal Dipartimento Igiene del Lavoro dell’ Inail.
In “Esposizione lavorativa a polveri di legno” l’Inail ricorda che in relazione alle conclusioni della IARC l’Unione Europea nel 1999 ha stabilito “un valore limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3 ponderato sul periodo di otto ore lavorative”. E se a tale limite si sono conformati gli Stati membri dell’Unione Europea, in diversi paesi sono stati adottati limiti ancora più bassi (ad esempio in Germania e in Francia).
Il documento indica che in relazione ai rischi cancerogeni dell’esposizione alle polveri di legno è necessario attuare una serie di azioni preventive e protettive: “utilizzo di macchinari dotati di impianti di aspirazione per il contenimento delle polveri; periodica pulizia degli ambienti di lavoro; utilizzo di dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie; informazione e formazione dei lavoratori esposti; obbligo di sorveglianza sanitaria preventiva e periodica; istituzione, aggiornamento e trasmissione alle ASL competenti per territorio ed all’INAIL dei registri di esposizione (art. 243 D.Lgs 81/2008)”.
Se la “polvere di legno” è formata da polveri in sospensione di diversa natura ma con una frazione di polvere di legno duro, l’intera miscela dovrà essere considerata come “polvere di legno duro”. E di questa “deve essere presa in considerazione solo la frazione ‘inalabile’, cioè l’insieme di tutte le particelle che possono essere inalate e trattenute nelle prime vie respiratorie, compresi naso e bocca”.
Il termine “legno duro” - traduzione letterale del termine inglese “hardwood” - è utilizzato per indicare il legno proveniente da alberi di Latifoglie: “la corretta classificazione delle loro proprietà cancerogene è da determinarsi su base botanica al di là dell’elenco non esaustivo proposto dalla IARC”.
Quali patologie può provocare ai lavoratori la polvere di legno?
L’esposizione a polveri di legno “provoca carcinoma dell’etmoide e dei seni paranasali, broncopneumopatia cronica ostruttiva, bronchite cronica enfisematosa, asma bronchiale, alveoliti allergiche estrinseche, ODTS (sindrome tossica da polveri organiche), dovuta probabilmente ad inalazione di sostanze farmacologicamente attive”. E i potenziali effetti dannosi sulla salute “sono determinati dalla penetrazione e dalla deposizione delle particelle nelle vie aeree secondo diversi meccanismi fisiopatogenetici che spesso agiscono in associazione (meccanismi fisici, meccanismi tossici e meccanismi allergici)”.
Secondo alcuni studiosi i responsabili dell’azione cancerogena sono le “sostanze originariamente presenti nelle polveri di legno che dovrebbero agire direttamente sui bersagli biologici, altri danno maggiore importanza alla coesposizione ipotizzando che le polveri di legno fungano da veicolo trasportatore di altre sostanze quali ad esempio la formaldeide usata nella produzione di truciolati e compensati”.
Se la UE ha stabilito un valore limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3, il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) “fissa per le polveri di legno (duro, tenero e cedro rosso) un RELs (Recommended Exposure Levels) pari a 1 mg/m3. Mentre
l’ACGIH adotta un TLV-TWA di 1 mg/m3 per tutte le specie tranne per il cedro rosso.
Si ricorda che l’Italia si è adeguata al limite stabilito dalla UE con il D.Lgs. 66/2000 ed in seguito con il D.Lgs. 81/2008 “specificando che la valutazione di conformità a 5 mg/m3 deve essere effettuata tramite il campionamento personale della frazione inalabile.
Nel 2003 la Commissione Scientifica per i Limiti di Esposizione Occupazionale (SCOEL) dell’UE ha poi raccomandato che “non si deve distinguere tra legni duri e teneri”.
Vediamo quali lavorazioni producono polveri di legno.
Innanzitutto si produce polvere di legno tutte le volte che il legno “viene segato, perforato, tagliato, piallato, levigato e carteggiato. Il lavoratore può inalare polveri di legno anche quando pulisce i macchinari con aria compressa, pulisce a secco i pavimenti ed effettua dei lavori di manutenzione sulle macchine in presenza di polveri depositate. La mansione della carteggiatura è quella più a rischio di esposizione a polveri, soprattutto perché rispetto alle altre lavorazioni la posizione dell’operatore è in genere più vicina al punto di generazione delle particelle”.
Il documento suggerisce alcuni interventi preventivi da mettere in atto per assicurare che il livello di esposizione a polveri di legno sia il più basso possibile:
- “separazione delle lavorazioni (confinare in locali separati le operazioni che emettono polveri di legno da quelle che non ne emettono, allo scopo di limitare il numero di persone esposte);
- scelta delle macchine (acquistare macchine, nuove o usate che siano provviste di dispositivi di aspirazione localizzata sui punti dove si genera la polvere);
- ventilazione per aspirazione localizzata. Evitare sistemi di aspirazione che prevedono il riciclo dell’aria;
- idonei DPI;
- pulizia giornaliera dei locali e delle macchine con sistemi d’aspirazione muniti di filtri assoluti in espulsione o muniti di bocche aspiranti collegate alla rete di aspirazione centralizzata. Non utilizzare mai pistole ad aria compressa;
- formazione ed informazione;
- organizzazione del lavoro;
- sorveglianza sanitaria preventiva e periodica”.
Concludiamo ricordando che nel documento è presente una tabella relativa alla concentrazione di polvere generata durante alcune lavorazioni del legno mediata su 20 aziende del Lazio della seconda lavorazione del legno: “i campionamenti personali sono stati effettuati utilizzando il conetto quale selettore per la frazione inalabile”.
in particolare sono proposti i risultati dei campionamenti relativi ad alcune mansioni:
- sezionamento legname (3,2 mg/m3);
- piallatura e profilatura (3,4 mg/m3);
- carteggiatura e spolvero (5,3 mg/m3);
- assemblaggio e montaggio (1,6 mg/m3).
Dipartimento Igiene del Lavoro dell’INAIL, “ Esposizione lavorativa a polveri di legno”, factsheet, edizione 2012 (formato PDF, 1.00 MB).
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RTM
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Henryk Webels - likes: 0 | 11/06/2013 (16:19:52) |
Gentili Signori l'allegato:Dipartimento Igiene del Lavoro dell’INAIL, “ Esposizione lavorativa a polveri di legno”, factsheet, edizione 2012 (formato PDF, 1.00 MB)non si apre Saluti H. Webels |