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Adottare misure tecniche per proteggere dai campi elettromagnetici

Adottare misure tecniche per proteggere dai campi elettromagnetici

Una guida di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE sui campi elettromagnetici si sofferma sulle misure tecniche e organizzative. Focus sulle misure tecniche: schermature, ripari, interblocchi, arresti di emergenza, ...

 
Per una reale tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la scelta di misure di protezione e prevenzione adeguate deve sempre basarsi sull’esito della valutazione dei rischi e sulla natura del lavoro da svolgere.
Ma nel caso dei rischi correlati all’esposizione ai campi  elettromagnetici quando sono necessarie misure ulteriori di prevenzione se non quelle volte a garantire il rispetto degli obblighi richiesti dalla normativa?
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Per rispondere a questa domanda, e con particolare riferimento alla Direttiva europea 2013/35/UE (direttiva EMF), torniamo a sfogliare la “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 1: Guida pratica”, prodotta dalla Commissione Europea per aiutare i datori di lavoro a ottemperare agli obblighi previsti. Ricordiamo che benché in Italia si sia ancora in attesa del recepimento della Direttiva 2013/35/UE (che dovrà avvenire entro il 1° luglio 2016) e della riformulazione del Titolo VIII, Capo IV del D.Lgs. 81/2008, rimane comunque valido il principio espresso nell’articolo 28 del Testo Unico: il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezzae deve dunque attuare le appropriate misure di tutela.
 
Per rispondere innanzitutto alla domanda riguardo alle misure di prevenzione, possiamo riprendere quanto già accennato anche in un precedente articolo: “se è possibile stabilire che i livelli di azione (LA) o i valori limite di esposizione (VLE) non saranno superati e non ci sono rischi significativi derivanti da effetti diretti o per i lavoratori particolarmente a rischio, non saranno necessarie ulteriori misure”.
La guida segnala inoltre che per le aree in cui vi è il rischio di superare i LA o i VLE o che si producano effetti indiretti, “il datore di lavoro dovrà verificare se l’area è accessibile quando sono presenti dei campi. Se l’accesso all’area è già adeguatamente limitato per altri motivi (per esempio per la presenza di tensioni elevate) normalmente non saranno necessarie ulteriori misure. Diversamente il datore di lavoro dovrà attuare misure supplementari”.
 
Inoltre se si adottano, in considerazione di quanto detto sopra, ulteriori misure di protezione o prevenzione, “gli aspetti corrispondenti della valutazione dei rischi devono essere riesaminati per accertare che tutti i rischi siano stati eliminati o ridotti al minimo”. Ed è perciò evidente che l’introduzione di misure di protezione o prevenzione durante la concezione e l’installazione di luoghi di lavoro o apparecchiature “può offrire vantaggi considerevoli in termini di sicurezza e operatività”.
 
Il documento riporta innanzitutto i principi di prevenzione contenuti nella direttiva quadro 89/391/CEE e che devono essere applicati a tutti i rischi:
- “evitare i rischi;
- valutare i rischi che non possono essere evitati;
- combattere i rischi alla fonte;
- adeguare il lavoro all’uomo, in particolare per quanto riguarda la concezione dei luoghi di lavoro, la scelta delle attrezzature di lavoro e dei metodi di lavoro e produzione;
- adeguarsi al progresso tecnico;
- sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o che è meno pericoloso;
- elaborare una politica di prevenzione coerente che integri la tecnologia, l’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e i fattori legati all’ambiente di lavoro;
- dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
- impartire adeguate istruzioni ai lavoratori”.
 
In ogni caso si sottolinea che il metodo più efficace per controllare i rischi è quello di eliminare i pericoli, “eventualmente ricorrendo ad un processo alternativo che non comporti la generazione di forti campi elettromagnetici. È chiaro tuttavia che ciò non sarà sempre realizzabile. Spesso non vi sarà un processo alternativo idoneo, oppure “le alternative disponibili potrebbero comportare altri tipi di pericoli che comportano rischi uguali o maggiori per i lavoratori”. E inoltre l’eliminazione dei pericoli spesso – continua la guida - comporterà la “riprogrammazione dell’intero processo e sostanziali investimenti in nuove apparecchiature”.
 
È poi possibile sostituire i processi o le apparecchiature con altri che producono meno campi elettromagnetici. E in genere è possibile progettare “apparecchiature che incorporino la schermatura per limitare l’intensità del campo irradiato e prevedere misure di automazione che allontanino ulteriormente l’operatore dagli elettrodi”. Tuttavia se “la sostituzione dell’impianto esistente con un’apparecchiatura più automatizzata e schermata di solito migliora l’efficienza del processo”, comporta anche “costi considerevoli in termini di capitale”.
 
In ogni caso se non è possibile ridurre i rischi con provvedimenti di eliminazione o sostituzione, sarà necessario adottare misure supplementari, ad esempio misure tecniche e organizzative.
 
Ci soffermiamo brevemente oggi su alcune misure tecniche, che hanno il vantaggio di offrire una protezione collettiva, di combattere i rischi alla fonte e di non dipendere dall’iniziativa di singole persone, rimandando la trattazione delle misure organizzative ad un futuro articolo di PuntoSicuro.
 
La prima misura tecnica su cui si sofferma il documento è la schermatura, una modalità efficace per ridurre i campi elettromagnetici prodotti da una sorgente che spesso è incorporata nella progettazione dell’apparecchiatura (un esempio che conosciamo di schermatura è quella di cui sono dotati i forni a microonde).
Si segnala che in pratica gli schermi per campi elettrici a radiofrequenza e a bassa frequenza “rinchiudono la sorgente all’interno di una superficie conduttrice (una gabbia di Faraday)”.
La guida, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma su diversi aspetti tecnici della schermatura e ricorda, ad esempio, che poiché “la schermatura passiva dei campi magnetici è un procedimento complesso, spesso viene utilizzata la schermatura attiva, soprattutto per i campi statici”.
 
Veniamo a parlare dei ripari, una misura che può rappresentare “un mezzo economico ed efficace per limitare l’accesso ad aree con forti campi elettromagnetici”.
Partendo dall’assunto che le intensità di campo di solito “diminuiscono rapidamente con l’aumentare della distanza dalla sorgente del campo”, il ricorso a ripari “costituisce quindi spesso un’opzione pratica per limitare l’accesso alle immediate vicinanze”.
Si ricorda che quando si installa un riparo in campi elettromagnetici di forte entità, “è necessario scegliere il materiale del riparo in funzione del campo. Potrebbe quindi essere opportuno utilizzare materiali non metallici, per esempio barriere di plastica in impianti NMR con forti campi magnetici statici. Inoltre se si installano ripari metallici bisogna considerare il problema delle scariche di scintille e delle correnti di contatto, nonché di un adeguato collegamento di massa”. La guida si sofferma poi sull’opportunità di utilizzare ripari fissi o mobili e riporta diverse immagini di ripari.
 
Collegato ai ripari, affrontiamo il tema degli interblocchi.
Se, infatti, per limitare l’accesso a forti campi elettromagnetici si utilizzano ripari mobili, “il riparo stesso dev’essere interbloccato alla sorgente del campo elettromagnetico. Il dispositivo di interblocco controlla la posizione del riparo e impedisce la generazione del campo elettromagnetico quando il riparo non si trova in posizione di completa chiusura”.
Ed esistono vari tipi di dispositivi di interblocco, ognuno dei quali comporta vantaggi e svantaggi (riportati in una tabella), dove la scelta del dispositivo più appropriato “dipende dalle circostanze specifiche e dev’essere effettuata tenendo conto dell’esito della valutazione dei rischi”.
 
 
Si ricorda che in  presenza di forti campi elettromagnetici, sarà “necessario considerare il rischio di interferenze con il funzionamento del dispositivo di interblocco e di eventuali circuiti associati. I dispositivi meccanici possono essere meno vulnerabili a interferenze elettromagnetiche”.
 
Concludiamo questa breve presentazione delle misure tecniche ricordando che la guida si sofferma anche su altri dispositivo/misure di protezione:
- dispositivi di protezione sensibili: “laddove non sia possibile installare ripari fissi o mobili, un’altra opzione sono i dispositivi di protezione sensibili. Di questi fanno parte le barriere fotoelettriche, i dispositivi di scansione e tappeti sensibili alla pressione. Le apparecchiature possono rilevare l’ingresso o la presenza di una persona nell’area dei campi di forte entità e possono impedire il funzionamento delle apparecchiature che generano campi elettromagnetici”;
- dispositivo di comando a due mani: è un dispositivo che “richiede l’uso di entrambe le mani dell’operatore (attivazione simultanea). Ciò può rivelarsi utile per garantire che un operatore si trovi in una posizione specifica o che le sue mani restino fuori dall’area del campo di forte entità. Il dispositivo tuttavia non offre alcuna protezione agli altri lavoratori”;
- arresti di emergenza: “se i lavoratori possono accedere ad ambienti potenzialmente pericolosi, è indispensabile predisporre arresti di emergenza. Gli arresti di emergenza più conosciuti sono i pulsanti rossi a fungo”;
- misure tecniche per evitare le scariche di scintille: le scariche possono verificarsi in forti campi elettromagnetici “quando una persona tocca un oggetto conduttore il cui potenziale elettrico è diverso poiché uno dei due è collegato a terra e l’altro no. Le scariche di scintille possono essere evitate eliminando queste differenze di potenziale, mediante misure tecniche come la messa a terra degli oggetti conduttori e il collegamento dei lavoratori con oggetti di lavoro conduttori (collegamento equipotenziale)”;
- misure tecniche per evitare le correnti di contatto: “se una persona tocca un oggetto conduttore in un campo a radiofrequenza e uno dei due non è collegato a terra, la corrente di radiofrequenza può attraversare la persona fino a terra; ciò può provocare scosse o ustioni. È possibile attuare alcune misure per limitare le correnti di contatto. Riducendo l’intensità dei campi di dispersione, si riduce l’intensità di corrente della radiofrequenza, e si possono apportare ulteriori miglioramenti mediante isolamento e messa a terra. Infine occorre osservare che misure organizzative come la rimozione di oggetti conduttori inutili, soprattutto quelli di grandi dimensioni, ridurranno le occasioni di contatto”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 

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