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Sanita' ed anonimato
Con un comunicato stampa l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha richiamato l’attenzione sui problemi sollevati dall’art.50 del decreto legge 30 settembre, n. 269, da ieri al voto del Senato, che prevede la realizzazione di un modello di ricetta medica a lettura ottica e la costituzione di una banca dati centralizzata contenente il codice fiscale di tutti gli assistiti, al fine di controllo della spesa sanitaria.
Secondo il Garante le finalità di ottenere un più razionale monitoraggio della spesa pubblica, sarebbero “tuttavia perseguite attraverso una strumentazione che violerebbe il diritto dei cittadini alla protezione dei dati personali per quanto riguarda le informazioni riguardanti la salute e quindi protette da particolari garanzie.”
Il monitoraggio della spesa sanitaria potrebbe infatti essere raggiunto senza il ricorso a banche dati centralizzate, con procedure già previste dalla legge che potrebbero essere rese più efficienti (permettendo, ad esempio, un rapido accertamento dei requisiti che danno diritto all’esenzione).
“Se si intende mettere a punto un sistema di controllo conforme a quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati personali, - precisa il Garante - l’unica soluzione corretta è quella di escludere il trattamento di qualsiasi dato identificativo degli assistiti, costituendo eventualmente un archivio di soli dati anonimi. La garanzia prevista dal legislatore laddove stabilisce che “al Ministero dell’economia e delle finanze non è consentito trattare i dati acquisiti nell’archivio relativo ai codici fiscali degli assistiti” appare, infatti, insufficiente, dal momento che la semplice esistenza di tale archivio conserva nel sistema la possibilità di risalire (ad opera di soggetti diversi) dal codice fiscale - e quindi dall’identità dell’assistito - all’intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche.”
Secondo il Garante, “qualora non si adottasse la soluzione dei dati anonimi, si correrebbe concretamente il rischio di introdurre nel sistema giuridico una disciplina che discriminerebbe i cittadini in base alla possibilità, per quanti possono pagare direttamente i farmaci e le prestazioni specialistiche, di non vedere inseriti i loro dati personali nella banca dati”.
Secondo il Garante le finalità di ottenere un più razionale monitoraggio della spesa pubblica, sarebbero “tuttavia perseguite attraverso una strumentazione che violerebbe il diritto dei cittadini alla protezione dei dati personali per quanto riguarda le informazioni riguardanti la salute e quindi protette da particolari garanzie.”
Il monitoraggio della spesa sanitaria potrebbe infatti essere raggiunto senza il ricorso a banche dati centralizzate, con procedure già previste dalla legge che potrebbero essere rese più efficienti (permettendo, ad esempio, un rapido accertamento dei requisiti che danno diritto all’esenzione).
“Se si intende mettere a punto un sistema di controllo conforme a quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati personali, - precisa il Garante - l’unica soluzione corretta è quella di escludere il trattamento di qualsiasi dato identificativo degli assistiti, costituendo eventualmente un archivio di soli dati anonimi. La garanzia prevista dal legislatore laddove stabilisce che “al Ministero dell’economia e delle finanze non è consentito trattare i dati acquisiti nell’archivio relativo ai codici fiscali degli assistiti” appare, infatti, insufficiente, dal momento che la semplice esistenza di tale archivio conserva nel sistema la possibilità di risalire (ad opera di soggetti diversi) dal codice fiscale - e quindi dall’identità dell’assistito - all’intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche.”
Secondo il Garante, “qualora non si adottasse la soluzione dei dati anonimi, si correrebbe concretamente il rischio di introdurre nel sistema giuridico una disciplina che discriminerebbe i cittadini in base alla possibilità, per quanti possono pagare direttamente i farmaci e le prestazioni specialistiche, di non vedere inseriti i loro dati personali nella banca dati”.
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