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Prima razionalizziamo il sistema e poi semplifichiamo

Prima razionalizziamo il sistema e poi semplifichiamo
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Normativa

08/04/2015

L’importanza di avere un piano nazionale di «razionalizzazione», coerente e funzionale alle esigenze di prevenzione e tutela, prima di affrontare un insieme di interventi di «semplificazione» delle procedure e degli adempimenti. Di Cinzia Frascheri.

 
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo a cura di Cinzia Frascheri, Giuslavorista, Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro, già pubblicato su una rivista specializzata.
 
 
Prima razionalizziamo il sistema e poi semplifichiamo
Dall’approvazione del Jobs Act[1], il 10 dicembre u.s., nel mondo della salute e sicurezza sul lavoro riecheggiano le parole  «semplificazione e razionalizzazione delle procedure (…)  in materia di igiene e sicurezza sul lavoro» [2], oggetto della delega al Governo al fine dell’emanazione uno o più decreti legislativi.
Superate le prime reazioni a caldo, vista la portata della delega, tecnicamente riconducibile ad un delega aperta al Governo, ma sostanzialmente più rispondente ad una delega “ampia”, vista la portata del raggio di azione delineato dai tanti principi e criteri direttivi (dal peso rilevante) indicati direttamente nell’articolato del Jobs Act,nel comma successivo a quello della delega: si è avviata l’inevitabile fase dell’elaborazione, da parte dei molti, di proposte, modifiche, abrogazioni….
 
L’elemento di collegamento più evidente tra le tante e diverse proposte, così come nell’ambito dei numerosi confronti e dibattiti dialettici sviluppatisi sul tema,  è stata quasi esclusivamente la questione della «semplificazione» anziché quella della «razionalizzazione».
 
Ritenendo di non poter dare un valore più o meno rilevante all’uno o all’altro tipo di intervento, credendo nella necessità, con le dovute attenzioni, sia del dover promuovere azioni di semplificazione che di razionalizzazione, credo che a fare la differenza in modo rilevante, specie in questo momento, non potrà che essere la sequenza operativo-temporale in base alla quale si andrà a realizzare interventi dell’una e l’altra natura.
 

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Il nostro sistema di prevenzione oggi, difatti, necessita in primo luogo di un profondo, mirato ed adeguato intervento di «razionalizzazione», al termine del quale si potrà concretamente ed efficacemente operare per un intervento di «semplificazione».
 
A supporto di questa considerazione, credo sia utile sviluppare un ragionamento di più ampio spettro.
Gli effetti determinati dalle grandi riforme attuate in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sono del tutto evidenti; a partire dalla direttiva europea 89/391/CE (dalla quale si è avviato un processo di produzione legislativa comunitaria unico nella storia), così come dal suo recepimento concretizzatosi con il d.lgs.626/94, fino al più recente d.lgs.81/08, se ne può indiscutibilmente analizzare le luci, così come anche le ombre avvicendatesi nel percorso. Ma è senza dubbio per tutti ignoto sapere a che punto saremmo oggi, se tali grandi riforme in tema di prevenzione non ci fossero state, così come, non di meno, i lunghi tempi di consolidamento delle diverse disposizioni e precetti, ogni volta introdotti e lentamente entrati nella pratica ordinaria delle procedure dei diversi contesti lavorativi.
 
Il nucleo centrale del d.lgs.81/08 propone un modello di prevenzione delineato dalla direttiva quadro 89/391/CE, dalla quale lo separano circa vent’anni, così come una significativa parte delle disposizioni ancora tutt’ora presenti nel vigente articolato normativo le si devono al dettato del d.lgs.626/94, dal quale le separano circa quattordici anni.
 
Un percorso lungo, quindi, di regole; un tempo prolungato affinché queste si potessero pienamente consolidare; un periodo ampio per potersi sviluppare un diffuso “modus operandi della prevenzione” che però ancora, a distanza di decenni, stenta a compenetrarsi concretamente nel livello sociale.
 
A fronte di tale condizione è inevitabile doverci porre la domanda se come sistema Paese siamo in grado di poter affrontare e sostenere una nuova grande riforma del modello di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, senza pensare di non dover affrontare molteplici conseguenze che verrebbero direttamente a riflettersi: non solo sui dati infortunistici, di salute e delle condizioni di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, ma sul più complessivo processo sociale, avviato ormai da tempo, di costruzione di un “modus operandi della prevenzione” fatto di norme conosciute, ampiamente diffuse e consolidate.
E’ questa la domanda a cui oggi siamo chiamati a rispondere, essendo imminente la concretizzazione dell’ampia delega introdotta in tema di prevenzione.
 
Arginati i due più ampi tentativi di modificare in modo profondo l’intero articolato del d.lgs.81/08, l’uno presentatosi non molto tempo dopo l’approvazione del decreto, era l’agosto del 2009 [3], l’altro più recente, nell’agosto 2013 [4], l’ipotesi che oggi si (ri)presenta, di un profondo mutamento del modello prevenzionale, pur avendo il medesimo obiettivo dei precedenti, ha delle caratteristiche, a partire da quelle giuridiche e di merito, ben diverse e potenzialmente di più ampio intervento.
 
L’articolato del d.lgs.81/08 s.m., quella che oggi è la versione vigente, non si può certo dire che non abbia sùbito continue integrazioni e modifiche, e che l’attuale corpo normativo non sia per molti aspetti modificato dalla versione approvata il 9 aprile del 2008.
 
Esclusi, però, i due rilevanti interventi dapprima richiamati, molte delle modifiche apportate fino ad oggi le si devono alla vasta operazione, avviatasi fin da subito a seguire dall’approvazione del decreto, mirata a completare l’elaborazione di tutti i provvedimenti previsti, tenuto conto dei tanti rimandi a decretazione successiva che il d.lgs.81/08 conteneva, essendo stato approvato, come noto, in tempi strettissimi.
 
Nessuna contrarietà, quindi, potrebbe certo oggi sollevarsi al delinearsi di un ennesima tornata di decreti attuativi (in particolare alcuni dei quali richiesti con determinazione dalle organizzazioni sindacali) che, comportando comunque modifiche rilevanti, sarebbero necessariamente funzionali al rendere operativi i provvedimenti previsti nell’articolato, non attuati fino ad ora per mancanza di procedure specifiche.
Ma quanto previsto dalla legge delega contenuta nel Jobs Act, è sostanzialmente molto diverso.
 
L’essenza della delega, introdotta con il comma 5 dell’art.1 della L.183/14 (Jobs Act), si può riassumere, come detto, nei due termini centrali che compaiono nel testo dell’articolo: «semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti»; non potendo, per questo, trascurare che è nel più ampio e particolareggiato testo del comma 6 che si trovano indicati «i principi e i criteri direttivi» in base ai quali la delega è previsto debba svilupparsi, mediante «uno o più decreti legislativi», in un tempo ridotto, indicato in «sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge».
 
E’ di chiara evidenza la situazione di impasse e di confusione nella quale attualmente le aziende si stanno trovando, proprio in relazione ai diversi interventi posti in essere (in alcuni casi anche tra loro disallineati vedi l’intera questione che riguarda le procedure standardizzate) finalizzati al favorire l’applicazione delle disposizioni normative prevenzionali, attraverso forme di “semplificazione” delle procedure senza alcun progetto coerente d’insieme; un quadro evidente, potremmo dire, dall’esito fallimentare.
 
La mancanza della Strategia Nazionale di Prevenzione, elaborata dalla Commissione ex art. 5 del d.lgs. 81/08  (condizione che ci pone all’ultimo posto tra i paesi dell’Unione europea che se ne sono dotati), è un primo elemento che va considerato.
Difatti, il dover rilevare la mancata elaborazione della Strategia, non è solo un dato di ritardo e di inadeguata applicazione, ma principalmente l’oggettiva registrazione di un vuoto  che determina effetti a caduta su tutto il sistema della salute e sicurezza sul lavoro.
Se è vero che non mancano azioni, piani e programmi strategici omogenei sul piano nazionale, orientati alle priorità in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ne sono esempio i Piani Nazionali di Prevenzione in Edilizia, Agricoltura e Silvicoltura, così come i  piani mirati alla prevenzione delle malattie muscolo-scheletriche, dei tumori professionali e del rischio da stress lavoro-correlato), tali interventi non possono ritenersi sostitutivi della funzione che la Strategia Nazionale di Prevenzione dovrebbe avere (compreso il rispetto dell’iter di consultazione delle parti sociali sul contenuto, una procedura che non trova eguale corrispettivo nell’elaborazione di tali  documenti).
Anche l'insieme degli atti e documenti ad oggi elaborati, in particolare ai fini della vigilanza, dal Comitato ex art.5, organismo titolato ad elaborare la Strategia Nazionale, rappresentano senza dubbio una base importante, ma non costituiscono quella visione d'insieme strategica pluriennale identificativa di un sistema Paese che si declina in quelle «linee comuni di politica nazionale» di prevenzione necessarie (art.5, comma 1, lett.a).
 
Pensare di affrontare un insieme di interventi di «semplificazione» delle procedure e degli adempimenti senza avere a riferimento un preciso e chiaro piano nazionale di «razionalizzazione», coerente, mirato e funzionale alle esigenze di prevenzione e tutela, diversificate per tipologie aziendali e di rischio, è quanto mai rischioso; soprattutto dovendo considerare che attualmente si va ad operare nel corso di un’applicazione in atto di un sistema normativo complesso, articolato e, seppur modificatosi nel tempo, vigente già da circa sei anni.
 
Il cambiamento costante del modello normativo di prevenzione in un Paese, oltre a non favorire lo sviluppo di una “modus operandi della prevenzione” che, come noto, necessita di tempi lunghi, sistematicità e coerenza tra i provvedimenti, porta necessariamente, al di là del valore intrinseco delle disposizioni, ad allontanare dal rispetto degli obblighi previsti, anziché favorire l’attuazione.
 
La difficoltà nel venire a conoscenza dei cambiamenti legislativi attuati, il comprenderne le modifiche, il predisporre gli interventi necessari al tradurre in operatività quanto disposto, da parte di chi gestisce e lavora in azienda (a differenza di chi solo ne studia i cambiamenti), sono processi complessi e non immediati, senza contare i costi che si vanno a determinare, che non possono (o meglio, molto spesso, non vengono) valutati dal riformatore, al momento del decidere se avviare o meno una modifica legislativa di più ampia portata.
 
Un secondo elemento che deve essere considerato è l’attuale mancato avvio del Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione (SINP), così come definito nell’art. 8 del d.lgs. 81/08.
Se anche in questo caso occorre precisare che sono attive solo delle componenti (per quanto rilevanti), accessibili ed utilizzabili unicamente da una parte del sistema pubblico (Regioni/ASL ed INAIL), è certamente mancato un coinvolgimento pieno e diffuso (a tutti i livelli) delle parti sociali, sia nella fase di sviluppo sia in quella di implementazione di quanto finora realizzato. 
 
Tale disposizione, introdotta per la prima volta dal d.lgs.81/08, venne fin da subito salutata dalle diverse forze sociali molto positivamente, riscontrando la necessità di avere un sistema unico armonizzato, al quale potessero confluire tutti i dati inerenti le problematiche di tutela della salute e sicurezza, al fine di poter produrre analisi comparate e sistemiche, con la conseguenza di giungere ad elaborare piani di intervento mirati, sia sul livello nazionale, ma ancor più territoriale (concretizzando così anche il lavoro dei tavoli di coordinamento ex art.7 del d.lgs.81/08).
 
Come previsto dal dettato dell’art.8, il SINP mira a «fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali (…) attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l’integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate».
L’attuale incompleta operatività di questo Sistema, come si può ben capire, non si annovera, quindi,  anche in questo caso, solo nei ritardi di applicazione di quanto disposto dalla normativa vigente (contando, comunque, sei anni di mancata realizzazione), ma pone in essere un ostacolo di rilievo nel conoscere a fondo le esigenze differenziate di prevenzione e, di conseguenza, nell’individuare anche le necessità regolative alle quali dare risposta mediante produzione di nuove disposizioni e precetti.
 
In questa logica, la cooperazione fattiva tra enti consentirà di condividere archivi ed implementare banche dati a vantaggio di un’informazione sempre più tempestiva e completa con conseguente innalzamento dell’efficienza e dell’efficacia delle azioni che verranno messe in campo. Un traguardo che ancora però richiede una serie di interventi, questi sì di semplificazione, per favorire la informatizzazione di una serie di comunicazioni oggi obbligatorie, quali ad esempio :
- le notifiche preliminari di cantiere;
- la trasmissione alle ASL da parte dell'INAIL degli infortuni mortali e di quelli con prognosi superiore ai 30 giorni (mai  attuata quest’ultima, seppur già prevista a partire dal 1 gennaio 2014).
 
Infine, quale terzo elemento, da considerare d’impianto generale, ponendosi la domanda se si è pronti come sistema Paese ad affrontare un significativo cambiamento nel modello di prevenzione e protezione, alla luce di rilevanti interventi di «semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti», è il rapporto tra lo Stato e le Regioni in materia.
 
Se dal 2001, a seguito della riforma del Titolo V della Cost. e, in specifico con il “nuovo” art.117, mediante il quale la materia prevenzionale è rientrata tra quelle a legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni, tale sistema  ha determinato la gestione della salute e sicurezza sul lavoro in Italia; oggi, tale sistema è posto in forte discussione, anche tra le fila di chi vi opera all’interno. Così come, di non minor rilievo, non si può che registrare anche, con preoccupazione, il “debole” rapporto tra il ministero del lavoro e delle politiche sociali e il ministero della salute (da troppo tempo, quest’ultimo, silente e defilato nella gestione del tema della prevenzione e del coordinamento con le Regioni).
 
Nessuna contrarietà, quindi, a priori verso quanto verrà, a seguito dell’esercizio dell’ampia delega consegnata al Governo, attraverso il Jobs act, sul tema della salute e sicurezza sul lavoro, pur sempre in ottica di salvaguardia delle tutele dei lavoratori.
Perché, se il coinvolgimento delle parti sociali sui testi preparatori, ci sarà (nel rispetto dei tempi, dei ruoli e dei tavoli istituzionali demandati a questo), piena sarà la disponibilità alla collaborazione; anche se i principi e i criteri delineati, già ad una prima lettura, non convincono e delineano pericolosi interventi di riduzione di tutela.
 
I cambiamenti, va detto, sono necessari per favorire la crescita, lo sviluppo e la propensione al miglioramento continuo; ma, il cambiamento per se stesso non vale nulla, così come le modifiche che non tengono conto del contesto nel quale avvengono e che sono già in essere, con le luci e le ombre che sussistono e con i problemi irrisolti che permangono : in primis, nello specifico, i tanti decreti attuativi, previsti dall’articolato vigente del d.lgs.81/08 , che ancora devono essere varati e che sostanzialmente impediscono l’operatività di molti provvedimenti determinanti.
 
 
Cinzia Frascheri
Giuslavorista, Responsabile nazionale CISL salute e sicurezza su lavoro


[1]    Così  denominata la Legge 10 dicembre 2014, n. 183, (pubblicata in GU n.290 del 15-12-2014)  dal titolo : «Deleghe  al  Governo  in  materia  di  riforma  degli  ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive,  nonché' in materia di riordino della disciplina  dei  rapporti  di  lavoro  e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione  delle  esigenze di cura, di vita e di lavoro». (14G00196). Entrata in vigore il 16 dicembre 2014.
[2] Il comma 5 dell’art.1 della L.183/14, cit. (Jobs Act), recita : «Allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese».
[3]  Cfr. D.Lgs. 3 agosto 2009, n.106 (Supplemento ordinario n. 142/L alla GU Serie generale - n. 5-8-2009 .180) dal titolo  «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro».
[4]  Cfr. Decreto legge n.69 del 21 giugno 2013 (pubblicato in G.U. n.144, suppl. ord. n.50), convertito dalla L.98 del 20 agosto 2013 (pubblicata in G.U. n.194,  suppl. ord  n.63) dal titolo : «Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia».




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Rispondi Autore: Harleysta - likes: 0
08/04/2015 (08:27:35)
...mah, pare un articolo paradossale; come semplificare, quando bisogna mantenere la catena alimentare dei consulenti?
Rispondi Autore: pietro ferrari - likes: 0
08/04/2015 (12:51:21)
Articolo complesso, quello dell'amica Frascheri, e, per forza di cose, "condensato".
Resta il fatto che i nuclei problematici in esso prefigurati sono tutti sul tavolo. E che sarà il modo col quale verranno affrontati a decidere se in questo paese verrà alzata (o, al contrario, abbassata) l'asticella delle tutele in materia di salute e sicurezza di lavoratrici e lavoratori nei luoghi di lavoro.
Vorrei solo aggiungere che c'è un'altra previsione del D.Lgs. 81 che non è stata attuata, e il cui destino, peraltro, sembrerebbe segnato. Mi riferisco all'art. 52 "Sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e alla pariteticità", considerando qui soprattutto l'attenzione alla piccola e media impresa, già così raccomandata nella direttiva madre dell'89 e così importante per la specifica struttura produttiva del nostro paese.
Nel momento in cui pare -si spera- esaurirsi la fase ciclica della grande crisi manifestatasi nel 2008, prefigurandosi quindi un (seppur faticoso) processo di ripresa, mi pare sarebbe davvero imperdonabile un'azione di sconvolgimento e al ribasso nei confronti del sistema di tutele consolidato.
cordialmente
Rispondi Autore: Harleysta - likes: 0
08/04/2015 (13:34:38)
...dal 1988 ho visto che da qualcuno, la normativa antinfortunistica è stata usata come business, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove è stata impiegata per tagliare posti di lavoro. Ezra Puond disse che l'incapacità si manifesta con l'uso di troppe parole...
Rispondi Autore: Rocco Vitale - likes: 0
08/04/2015 (18:43:02)
Sono d'accordo con Cinzia Frascheri e la semplificazione non sarà cosa semplice. Colgo l'idea di iniziare a razionalizzare e potremmo già iniziare a farlo Stato, Inail, Associazioni sindacali datoriali e dei lavoratori. Ci vuole molta buona volontà per usare raziocinio. Per esempio, come sapete nell'Accordo sulle attrezzature, viene detto che le Regioni devono fare un elenco dei soggetti formati. Ebbene sapete che il 90% delle Regioni non ha fatto nulla (ed è stato un bene). Però alcune regioni lo hanno fatto con meccanismi solo cartacei e burocratici che nulla hanno a che vedere con un profilo sostanziale della formazione ma si tratta solo di aspetti formali (che richiedono molto tempo) Queste Regioni, poi, al loro interno hanno adottato strumentazioni differenti fino ad delegare le ASL che a loro volta, pur all'interno della medesima Refione, hanno adottato regole differenti. Ecco un caso di razionalizzazione: chiudiamo con queste fesserie. Del resto vi ricordate come, con una vecchia norma imponeva di mandare copia della designazione del RSPP alle ASL e DPL. Non ci voleva molto a capire che si sarebbero intasati gli uffici di carta che nessuno avrebbe mai letto e guardato. Stiamo ripetendo la stessa storia!
Quello che, però, più mi preoccupa è che intravvedo dalle note della Frascheri è un possibile vuoto di norme e di adempimenti e nel dibattere di semplificazioni si faccia aria fritta senza pensare alle conseguenze. Sarebbe utile che nel portare a termine impegni assunti dalle leggi e mai conclusi si iniziassero a fare con raziocinio ed attivando da qui la prima semplificazione. Mi spiace dirlo ma gli Accordi Statao Regioni non sono mai stati un buon esempio ed un modello di semplificazione. Infatti approvato un Acccordo bisognava farne uno nuovo di interpretazione. Se si iniziasse a cambiare sistema non avremmo iniziato a semplificare razionalizzando.?
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
08/04/2015 (20:55:56)
Come si può pensare di semplificare mantenendo ancora "in sella" o addirittura riattribuendo l'incarico di semplificare agli stessi che negli ultimo 20 anni hanno concorso a complicare?

Si potrebbe cominciare da qui facendo un primo cambiamento.
Rispondi Autore: taddei stefano - likes: 0
11/04/2015 (16:32:24)
Come sempre dal sindacato solo troppe parole. La verità è che il cambiamento fa paura a chi sa di non sapere a chi ha perso quel minimo di professionalità negli anni trascorsi da imboscato. Sono pertanto sempre più convinto che si debba cambiare quanto prima e bene evitamdo inutili ed insostenibili doppioni. Sono certo che l'attuale Governo ce la farà anche perché in Europa da anni le cose sono già cambiate.

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