Perché la prevenzione nei luoghi di lavoro non gode di buona salute?
A fare queste riflessioni al convegno - con particolare riferimento ai temi dell’applicazione del Testo Unico, del fenomeno infortunistico e del senso di legalità - è un intervento di Beniamino Deidda, ex Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze.
Le norme di prevenzione e l’opinione pubblica
A dieci anni di distanza dal D.Lgs. 81/2008 – segnala il relatore – “si potrebbe dire con un giudizio un po’ sommario che la prevenzione non gode di buonissima salute”.
E al di là degli infortuni mortali di questi mesi, “il fenomeno infortunistico negli ultimi anni ha seguito una logica che non è mai venuta meno. E non poteva venir meno perché essa poggia su una cultura assai diffusa sia tra gli addetti ai lavori sia tra i cittadini in generale”.
Riguardo all’opinione pubblica e al fenomeno infortunistico si ricorda che i morti sul lavoro “continuano a superare il migliaio, in media più di tre al giorno. Una vera e propria strage che non fa notizia se non nei casi gravissimi nei quali le modalità dell’accadimento o il numero delle vittime muovono il sentimento popolare”.
Si rileva poi che la gran parte degli infortuni mortali avviene nelle aziende medio-piccole: l’82% degli infortuni mortali “è avvenuto nelle aziende medio-piccole con un numero di dipendenti inferiore a 15; mentre solo il 2% degli infortuni mortali è avvenuto nelle aziende con più di 200 dipendenti. Occorre aggiungere che un numero altissimo di morti viene registrato in agricoltura, cioè in un settore che tradizionalmente nell’opinione pubblica è ritenuto privo di gravi rischi”. E pesano “anche i fenomeni del lavoro nero, con conseguenze inevitabili in termini di sicurezza”.
Insomma di tutto questo è fatta la nostra economia quotidiana, “dove non c’è posto per l’indignazione o per l’emozione che non sia quella di un giorno o di un momento. Gli infortuni, le lesioni e la morte sono accettati come un rischio inevitabile e addirittura ‘ragionevole’ del lavoro e della produzione”. E questa sensazione – continua Deidda – “è ancora più forte dove prevalgono le piccole e piccolissime imprese, dove prospera l’azienda individuale e dove una moltitudine di lavoratori autonomi si arrangiano andando a prestare la loro opera in aziende così piccole da non offrire nessuna garanzia in ordine alla salute dei lavoratori”.
In questo senso il fatalismo “è ancora diffuso nei luoghi di lavoro, nella società e negli organi di informazione. La morte e l’invalidità diventano compagni di strada del lavoro, quasi un male necessario”.
E in questa situazione le regole della sicurezza “vengono percepite come vincoli fastidiosi e burocratici da infrangere quando non se ne può fare a meno e da interpretare sempre nella maniera più formalistica e meno impegnativa. Le leggi non mancano, ma il mercato le sopporta male e, appena può, le dimentica o consapevolmente le viola”.
L’indifferenza alle regole
Si segnala che, tuttavia, l’indifferenza alle regole “si tratta di un fenomeno antico che ha caratterizzato anche l’applicazione dei famosi DPR degli anni ’50, veri e propri testi unici in materia di infortuni, di igiene sul lavoro, di edilizia ecc.”.
Probabilmente non si è verificato in nessuna parte d’Europa “che nell’arco di cinquant’anni un numero notevolissimo di aziende abbia cercato di non applicare le norme penalmente sanzionate, destinate a tutelare i lavoratori. Per parecchi decenni è stata tollerata nel nostro Paese una diffusa illegalità. Il mondo del lavoro in Italia, e probabilmente solo in Italia, è stato caratterizzato da una consapevole, massiccia diffusa elusione delle norme di sicurezza da parte dei datori di lavoro piccoli, grandi e medi”.
E “l’incultura della sicurezza che ha caratterizzato quegli anni non ha contraddistinto solo i datori di lavoro: essa non ha risparmiato neppure i lavoratori, i dirigenti, i preposti e i sindacati. Si tratta di una carenza che riguarda i fondamenti della cultura di un paese e che si traduce in forme di organizzazione di lavoro in cui il rischio è accettato e vissuto come elemento normale della produzione”.
Tuttavia non si può dire – continua la relazione - che l’applicazione delle norme vigenti “non abbia registrato qualche passo avanti. C’è oggi una diversa consapevolezza della necessità di procedere ad una razionale istituzione delle condizioni di sicurezza, almeno per quanto riguarda le grosse imprese, molte medie imprese e perfino qualche piccola impresa. Siamo però di fronte a un fenomeno infortunistico ancora imponente e ad incidenti mortali che non accennano a diminuire”.
Lo scarso senso della legalità
Riguardo alla normativa qualcuno potrebbe pensare “che le norme vigenti siano inadeguate o che comunque non riescano a fronteggiare le odierne modalità di lavoro. Oppure si potrebbe pensare che le norme non riescano a definire correttamente gli obblighi e a cogliere le responsabilità dei soggetti tenuti per legge a creare le condizioni di sicurezza nelle aziende”.
Tuttavia, secondo Beniamino Deidda, si tratta di dubbi “senza concreto fondamento”. E questo perché, a suo parere, il Testo Unico ha una sua logica e “una grande coerenza tra le sue parti”.
Risulta dunque azzardato “dire che la gravità del fenomeno infortunistico che affligge l’Italia e le condizioni di scarsa prevenzione che caratterizzano alcune aziende siano dovute alla mancanza di buone leggi o alla inadeguatezza di quelle vigenti. Se si confronta la nostra legislazione con quella di altri paesi non mi pare che quella italiana sfiguri, anzi”.
Tuttavia “c’è un modo diverso di applicare le leggi nel resto d’Europa” e sono proprio “le prassi applicative che fanno la differenza, non la qualità delle leggi”.
Di fronte ad una nuova legge “in altri paesi ci si dispone ad applicarla pianamente secondo esperienza e buon senso, senza far ricorso a cavilli formali. Da noi appena esce una nuova legge si paga uno stuolo di avvocati per tentare di aggirarla”.
E questo scarso senso della legalità pone il tema della vigilanza e dei controlli.
I controlli toccano solo, mediamente, il 5% delle aziende e c’è un problema che “deriva dalla carenza del personale appartenente agli organi di controllo e un problema di efficienza delle ispezioni”. E occorre “ripensare l’intero sistema, senza quelle assurde competenze concorrenti tra ASL e Ministero del Lavoro e senza le numerose eccezioni che escludono la competenza delle ASL in molti casi, che si traducono in una totale assenza di controlli. Ma quand’anche si provvedesse ad una seria riforma in materia ispettiva sulle condizioni di sicurezza nelle aziende, si può star certi che non basterebbe”. Infatti i rapporti sociali “non posso fondarsi esclusivamente sul timore delle sanzioni o della repressione giudiziaria”.
La formazione culturale e le sfide future
Insomma occorre una “seria opera di formazione culturale di tutti i soggetti interessati”. E se qualcosa è stato fatto in materia di formazione degli addetti, “sono ancora troppe le sacche di scarsa professionalità e mancanza di conoscenza perché si possa parlare di autentica cultura della sicurezza. Ancora, talvolta, si fornisce una discutibile formazione, ancora si rilasciano attestati che certificano una formazione inesistente, ancora molti percorsi formativi si limitano ad alcuni aspetti burocratici e formali”.
E dunque occorre cambiare passo, “specie pensando che la categoria che meno si è formata in questi anni è quella dei datori di lavoro, cioè di coloro su cui grava il compito primario di istituire e governare il sistema di sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Il relatore conclude le sue interessanti riflessioni segnalando che alla realizzazione di un efficace e diffuso sistema di prevenzione è “oggettivamente di ostacolo l’eccessiva frammentazione produttiva esistente nel nostro paese”. E se veramente le norme di derivazione comunitaria che hanno fatto ingresso nel nostro Testo Unico “sono adatte più ad aziende medio grandi che piccole e piccolissime”, questa situazione pone “un problema che va affrontato nei tempi brevi, senza attendere una per ora imprevedibile riduzione della frammentazione produttiva”.
Occorre in definitiva - ed è una scommessa che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni - “che anche le piccole aziende introducano la sicurezza nella loro strategia produttiva, che si adattino, cioè ad istituire al loro interno modelli e sistemi di gestione, che pur semplici, snelli e facilmente governabili, garantiscano la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori”.
Tiziano Menduto
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
“ Intervento di Beniamino Deidda” già Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze, contributo al convegno “A dieci anni dal dlgs 81/08: bilanci e prospettive in una nuova etica del lavoro” (formato PDF, 228 kB).
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Rispondi Autore: Ettore Togni - likes: 0 | 05/06/2018 (08:02:55) |
Condivido parola dopo parola. Ha toccato tutte le piaghe. |
Rispondi Autore: Salvatore Immordino - likes: 0 | 06/06/2018 (09:44:55) |
Il vero problema è che ormai tutti fanno prevenzione così come tutti fanno i formatori della sicurezza ma non sono in grado di scoprire, affrontare, valutare e risolvere i problemi tecnici che si presentano di volta in volta |
Rispondi Autore: Federico Betteni - likes: 0 | 08/06/2018 (19:23:01) |
Condivido ogni singola parola. Ha fotografato con dovizia di dettagli la persona situazione che affligge il belpaese. |