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Ambienti confinati: i limiti del DPR 177/2011

Autore: Adriano Paolo Bacchetta

Categoria: Lavoratori autonomi, imprese familiari

07/11/2012

Il decreto relativo alle norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati presenta alcune criticità. Le definizioni, le emergenze e il rappresentante del datore di lavoro.

Ambienti confinati: i limiti del DPR 177/2011

Il decreto relativo alle norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati presenta alcune criticità. Le definizioni, le emergenze e il rappresentante del datore di lavoro.

 
Modena, 7 Nov – Il Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli ambienti confinati e sospetti di inquinamento è entrato in vigore il 23 novembre 2011.  Tuttavia secondo alcuni, al di là del contesto dal quale ha avuto origine il DPR 177/2011, il decreto presenta diverse difficoltà interpretative e si adatta poco allo specifico contesto operativo tipico di questa tipologia di attività.
 
Questa, ad esempio, è l’opinione espressa dal Dott. Ing. Adriano Paolo Bacchetta in un intervento ospitato sul Bollettino n. 4 del 25 giugno 2012 “Speciale ambienti confinati” realizzato dalla Commissione di certificazione del Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’ Università di Modena e Reggio Emilia.
 

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In “Il D.P.R. 177/2011: dubbi interpretativi e criticità applicative a sei mesi dalla sua entrata in vigore” Adriano Paolo Bacchetta (Studio Consulenze Industriali, Professore a.c. Politecnico di Milano - Facoltà Ingegneria Processi Industriali - Laurea Specialistica in Ingegneria della Sicurezza - Direttore Area Health&Safety A.A.R.B.A.) ricorda che gli incidenti relativi agli Ambienti Sospetti di Inquinamento o Confinati (ASIC) hanno sempre evidenziato “gravi carenze strutturali e/o organizzative e, soprattutto, la mancanza di un adeguato programma d’informazione/formazione e addestramento”. È necessaria la predisposizione di una corretta pianificazione di tutte le fasi operative, con particolare riferimento agli interventi in caso di emergenza, la garanzia di un’adeguata attività d’informazione e formazione di tutto il personale, dell’uso di DPI, strumentazione e attrezzature di lavoro adeguati alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati.
 
In questa situazione il DPR 177/2011, malgrado i giusti obiettivi di prevenzione, presenta alcune criticità.
 
Intanto sarebbe probabilmente “stato meglio creare, anche in analogia con quanto predisposto in altri ambiti internazionali, uno specifico ordinamento che tenesse conto che le attività nei confined spaces sono di notevole complessità e particolari, quindi come tali dovrebbero essere trattate”. Infatti il primo problema del DPR 177/2011 si riscontra a cominciare dalla definizione stessa di ASIC.
Ad esempio nella normativa statunitense, che è certamente una tra le più complete, sono presenti cinque definizioni diverse di confined spaces, secondo l’ambito in cui ci si trova a operare e anche le norme NFPA (National Fire Protection Association) riportano due diverse definizioni. Al di là della descrizione più generale dell’ambiente confinato, le norme internazionali “pongono particolare enfasi non solo (e non tanto) alla semplice caratterizzazione geometrico/spaziale dell’ambiente, ma si riferiscono esplicitamente alla possibile esistenza o possibile generazione nell’ASIC di una situazione immediately dangerous to life or health (IDLH), in altre parole qualsiasi condizione che espone il lavoratore a una minaccia immediata per la sua vita o salute, o che può causare effetti negativi irreversibili sulla salute, o che potrebbe interferire con la capacità di un individuo di fuggire in modo autonomo da uno spazio confinato soggetto a permesso d’ingresso (anche la norma UNI 529:2006 fa riferimento all’IDLH nell’appendice B, quando tratta degli spazi limitati)”.
E secondo la classificazione attribuibile al confined space (in funzione della presenza o meno di una condizione IDLH), “sono previste una serie di prescrizioni (dal permesso di accesso obbligatorio, alla ventilazione, al monitoraggio preliminare e/o continuo, ecc.), con l’unica nota che quand’anche a un confined space sia stata preventivamente attribuita una certa classe, è sempre possibile (anzi è previsto che sia fatto) eseguire la sua riclassificazione in funzione dell’evoluzione delle lavorazioni e/o delle variazioni nelle condizioni di sicurezza che originariamente erano state verificate per definire l’iniziale classificazione dell’ambiente”.
Invece la rigidità dell’attuale testo normativo può facilmente portare a “generalizzare l’applicazione delle previsioni del DPR 177/2011 a prescindere dall’effettivo livello di rischio e condurre le aziende a predisporre misure di prevenzione eccessivamente rigorose, anche a fronte di rischi di lieve entità”. L’eccessiva generalizzazione nella definizione di ambiente confinato, basata unicamente sulla sua configurazione geometrica, “potrebbe anche influire sulla necessaria fase di valutazione dei pericoli (presenti o potenziali) che potrebbero condurre alla generazione di una condizione IDLH nell’ASIC”.
Vi rimandiamo alla lettura dell’intervento e degli esempi riportati a riprova delle criticità rilevate.
 
Il documento si sofferma poi sui problemi relativi al recupero di un eventuale lavoratore privo di sensi da parte dell’operatore rimasto all’esterno, con riferimento alle linee guida/indirizzo elaborate dagli Enti di vigilanza e controllo che “sollecitano le aziende affinché si dotino di attrezzature per il sollevamento (imbrachi, tripode, ecc.) ovvero di idonei dispositivi di protezione individuale collegati a un idoneo sistema di salvataggio, che deve essere tenuto all’esterno dal personale addetto alla sorveglianza”. Tra l’altro “la possibilità di poter eseguire dall’esterno una manovra di recupero di un eventuale operatore privo di sensi è, di fatto, quasi irrealizzabile”. Infatti le variabili in gioco sono molte “e il cosiddetto Non-Entry Rescue è specificatamente trattato all’estero: sono infatti espressamente indicate le situazioni nelle quali è certamente vietato e quelle dove è possibile effettuare un tentativo (con estrema cautela). Tentativo che deve però cedere il passo a un vero e proprio intervento di salvataggio in caso anche del minimo intoppo”.
 
Un altro esempio dei problemi applicativi del DPR 177/2011, che coinvolge non solo diverse aziende ma gli stessi organi di controllo, è rappresentato dalla “verifica interna degli apparecchi a pressione (con particolare riferimento ai generatori di vapore a tubi di fumo)”, prevista dal DM 329/2004 “Regolamento recante norme per la messa in servizio ed utilizzazione delle attrezzature a pressione e degli insiemi di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 93”. Problemi relativi ad esempio ai compiti di verifica di riqualificazione periodica. “Come devono essere considerati i servizi ASL e quali sono gli obblighi dell’azienda (di cui al DPR 177/2011) per garantire la sicurezza dell’operatore che si introduce nell’apparecchio per compiere il controllo”?
L’autore ricorda che riguardo agli ambienti confinati, agli ASIC, “bisognerebbe innanzi tutto chiedersi se sia proprio necessario entrare”. Lo stesso DM 329/2004 precisa “eventuali condizioni che escludono l’effettuazione della visita interna, peraltro limitando a specifiche condizioni l’applicabilità di tale esclusione”. Si tratta di capire in questo caso “se l’ispezione visiva interna del mantello, in presenza di una corretta gestione dell’apparecchiatura e in particolare del trattamento dell’acqua di caldaia (testimoniabile dalle analisi periodiche effettuate dai conduttori) non possa essere sostituita dalla prova in pressione (associata eventualmente a una videoispezione) senza quindi prevedere l’ingresso del funzionario”.
 
Ricordando che l’intervento affronta anche altre criticità del decreto (ad esempio in relazione al divieto di ricorso a subappalti se non autorizzati), ci soffermiamo sull’organizzazione lavorativa e sulla nuova figura introdotta dal DPR 177/2011 – “generando diversi problemi e criticità” – relativa al “rappresentante del datore di lavoro committente” (art.3, c. 2, DPR 177/2011).
 
Dal decreto  si ricava “che si tratta di un soggetto qualificato, con specifiche competenze nel campo della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che è chiamato a vigilare in funzione d’indirizzo e coordinamento delle attività che dovranno essere eseguite”.
Questa nuova figura deve attendere a due compiti:
- “vigilare con funzione di indirizzo e coordinamento le attività svolte dai lavoratori impiegati dall’impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi;
- limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente”.
Al di là di chiedersi “che cosa si possa intendere con vigilanza”, si tratta di capire “verso quali soggetti il rappresentante del datore di lavoro committente esercita tale azione. La lettura del testo legislativo gli attribuisce l’onere di vigilare direttamente sulle attività svolte dai lavoratori dell’impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi. Quindi, come si relaziona questo nuovo soggetto con gli altri destinatari di specifici obblighi ai fini della sicurezza? Quali le sue modalità di azione in caso riscontri situazioni anomale durante l’esecuzione delle attività da parte dei lavoratori? L’indirizzo e il coordinamento potrebbero tramutarsi in interferenza, con l’assunzione di responsabilità riguardo alla salute e sicurezza dei lavoratori dell’appaltatore o dei lavoratori autonomi? L’indicazione della nomina del Rappresentante del datore di lavoro committente, quindi, così come formulata non è chiara e identifica una nuova figura non prevista in ambito del Testo unico. Se si ritiene che debba svolgere un ruolo equivalente al Preposto, allora non sarebbe meglio utilizzare questa definizione”? 
 
L’intervento si conclude indicando che “appare necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento al fine di dirimere i vari problemi interpretativi del Decreto, a cominciare dall’applicabilità dello stesso ai committenti in genere e non solo ai datori di lavoro committenti, sia ricondurre la discussione sul tema su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborare una specifica norma di riferimento da sviluppare sulla base di linee guida, norme e/o standard e best practices presenti a livello nazionale e internazionale”. Inoltre è necessario “attuare interventi che tendano a neutralizzare o ridurre al minimo il verificarsi di comportamenti caratterizzati da inosservanza di norme operative o regolamentari”. É importante spostare l’attenzione di tutta l’organizzazione “verso la condivisione diffusa dei ‘valori’ della sicurezza intesi come specifici comportamenti verbali tra lavoratori e verso l’attivazione di ‘comportamenti’ di sicurezza misurati su parametri oggettivi come frequenza, latenza, durata, intensità, ampiezza e completezza delle azioni dei singoli”.
 
 
 
 
“ Il D.P.R. 177/2011: dubbi interpretativi e criticità applicative a sei mesi dalla sua entrata in vigore”, a cura del Dott. Ing. Adriano Paolo Bacchetta (Studio Consulenze Industriali, Professore a.c. Politecnico di Milano - Facoltà Ingegneria Processi Industriali - Laurea Specialistica in Ingegneria della Sicurezza - Direttore Area Health&Safety A.A.R.B.A. – coordinatore www.spazioconfinato.it), intervento tratto dal Bollettino Commissione di Certificazione n. 4 del 25 giugno 2012 “Speciale ambienti confinati” (formato PDF, 217 kB).
 
 
RTM

Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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Rispondi Autore: GiCo immagine like - likes: 0
07/11/2012 (08:50:00)
Non si apre il file collegato
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini immagine like - likes: 0
10/11/2012 (16:28:29)
Il Decreto 177/2001 individua una figura di coordinamento delle attività negli ambienti confinati o sospetti d'inquinamento: “csi tratta di un soggetto qualificato, con specifiche competenze nel campo della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che è chiamato a vigilare in funzione d’indirizzo e coordinamento delle attività che dovranno essere eseguite”.
Questa nuova figura deve attendere a due compiti:
- “vigilare con funzione di indirizzo e coordinamento le attività svolte dai lavoratori impiegati dall’impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi;
- limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente”. Si tratta di una figura del tutto analoga a quella del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione in sicurezza nei cantieri mobili e temporanei (CSP e CSE), il cui inquadramento concettuale risulta perciò piuttosto agevole. E in non pochi casi, quando ne ricorrono le condizioni, l'incarico viene attribuito in modo cumulativo al CSP e al CSE.

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