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Incidenti sul lavoro e lavoro atipico (1/2)

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Lavoratori

19/06/2003

E’ il tema di una ricerca realizzata dall'Eurispes in collaborazione con l'Ispesl. Lavoratori atipici più a rischio?

"Per la sua stessa natura e struttura, il lavoro flessibile comporta un maggior rischio di incidenti e di malattie professionali, benché la frequenza degli infortuni nel lavoro atipico sia estremamente variabile e disomogenea."
Così l’Eurispes sintetizza i risultati di una ricerca dal titolo "Incidenti sul lavoro e lavoro atipico", realizzata in collaborazione con l'Ispesl.

La ricerca è stata presentata ieri nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, alla Camera dei Deputati.
Il tema del rapporto "sicurezza sul lavoro-lavoro atipico" è di rilievo, in quanto sono oltre 6 milioni gli italiani che utilizzano queste forme contrattuali che, senza essere parte del lavoro autonomo, sono sostanzialmente diverse dal lavoro subordinato e dipendente standard. L’incidenza del lavoro atipico sul complesso dell’occupazione, nel 2002, è del 27,7%; il 7,3% in più rispetto al 2000.

In relazione alla tipologia contrattuale, lo sviluppo maggiore riguarda i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co), che rappresentano il 39,4% dell’occupazione atipica complessiva, seguiti dai contratti full-time a tempo determinato (18,1%) e part-time a tempo indeterminato (16,1%). A seguire: apprendistato: 7,8%; part-time a tempo determinato: 7,5%; lavoro interinale: 4,9%; formazione Lavoro: 4,3%; L.S.U.: 1,7%; Pip (Piani di Inserimento Professionale): 0,2.

Risulta inoltre rilevante nel nostro Paese anche la presenza del lavoro atipico parasubordinato, in cui rientrano i contratti di lavoro part-time a tempo determinato e indeterminato e i contratti full-time a tempo determinato: superiori ai 2 milioni e mezzo, i parasubordinati atipici costituiscono, nel complesso, l’11,6% degli occupati.

L’area del lavoro atipico è destinata inoltre ad allargarsi. La cosiddetta “Riforma Biagi” introduce, infatti, nuove forme contrattuali: il lavoro intermittente o job on call; il lavoro ripartito o job sharing; il lavoro a progetto; il lavoro accessorio.

Nella prima parte della ricerca è dato un approfondito quadro delle forme di lavoro atipico nel nostro Paese.
La seconda approfondisce il tema “Gli incidenti sul lavoro: sono più frequenti nel settore atipico?”
La valutazione del fenomeno infortunistico nell’ambito del lavoro atipico si rivela difficile in quanto la fonte di dati pressoché esclusiva per gli incidenti nel settore atipico è rappresentata dall’Inail, ma vi è un grosso limite. I dati forniti in tema di incidenti sul lavoro che riguardano i lavori atipici non comprendono infatti le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro interinale.

Per valutare se l’impiego di lavoratori interinali costituisca un fattore di rischio per l’aumento dell’incidenza di infortuni, l’Eurispes ha preso in esame una indagine realizzata dalla Asl di Milano, per analizzare il fenomeno infortunistico tra gli occupati nelle imprese di lavoro interinale.

“Non sono disponibili, in letteratura, dati sul rischio di incidenti legati ai lavori o ai lavoratori interinali e l’indagine degli operatori della Asl di Milano (La Medicina del Lavoro, 2001) si qualifica come la prima in Italia: ha riguardato le più rappresentative imprese di lavoro interinale nel 2000, con sede a Milano. – afferma l’Eurispes - È questo il motivo per cui ci soffermeremo su di essa, assumendo il lavoro interinale come “campione” dell’impiego atipico.”

Le imprese di lavoro interinale analizzate nello studio erano 16; nel corso del 2000 hanno impiegato 253.965 operai, per un totale di 57.074.075 ore, e una durata media di impiego di 224,7 ore.
Dei 5.259 infortuni considerati è stato possibile calcolare l’Indice di Frequenza (IF), mediamente pari a 92,1 ogni milione di ore lavorate.
Tale dato è disomogeneo per tipologia di azienda interinale: è di 87,5 per le tre imprese di maggiori dimensioni e di 139,5 per le altre tredici, a probabile testimonianza di differenti caratteristiche dei lavoratori e delle imprese utilizzatrici.
L’If nel settore atipico indagato è superiore al corrispondente valore rilevato dall’Inail nel settore metalmeccanico nel 1997 (38,13), e persino di quello minerario (50,8).

Secondo l’Eurispes “è sicuramente indicatore di un maggior rischio di incidenti nel settore interinale, a parità di pericolosità nella mansione. Il 76% degli infortuni esaminati nell’indagine milanese riguarda operai comuni (4.132), cui si riferiscono le elaborazioni riportate nelle tabelle successive.

Gli infortuni colpiscono prevalentemente gli operai giovani, di età media pari a 27,8 anni. Anche se l’età degli infortunati sembra riprendere abbastanza fedelmente la differenziazione in classi di età degli addetti al lavoro interinale, essa, accompagnata allo scarso addestramento, alla poca esperienza e al basso grado di qualificazione (tutte caratteristiche abbastanza frequenti tra gli operai interinali), costituisce sicuramente un fattore di rischio per gli infortuni.”

“L’indagine, che necessiterà, a detta degli stessi autori, delle necessarie verifiche con dati più completi ed esaurienti, evidenzia come il settore interinale sia caratterizzato da un aumento del rischio di infortuni e come, rispetto a quello tipico o tradizionale, nel settore esaminato, ad essere “atipica” non è tanto la mansione, quanto la modalità di prestazione, e la presenza di co-fattori di rischio cui è possibile associare un incremento del rischio di incidenti/infortuni.”


Secondo l’Inail, allo stato attuale non è ancora possibile valutare l’incidenza delle nuove tecnologie e delle nuove modalità di lavoro sui rischi lavorativi.
“D’altra parte si ipotizza che ad aumentare saranno tecnopatie ancora non prese in considerazione, come quelle legate ad un continuo utilizzo di supporti elettronici (posture, microtraumi, ecc.), sempre teoricamente, si pensa che potrebbero incrementare gli infortuni in itinere, ossia dovuti alla maggiore mobilità che verrebbe favorita in caso di lavoro interinale o part-time.”

Nel part-time si rileva una bassa incidenza degli infortuni; “chiaramente influiscono il minor tempo lavorativo ed il più contenuto peso specifico del “tempo del rischio”, caratterizzato da un sensibile calo dell’attenzione”.
Tuttavia “se si confrontano i dati relativi alle quote dei lavoratori atipici suddivisi nelle diverse formulazioni contrattuali, con quelli che descrivono gli infortuni sul lavoro nello stesso settore, si capisce perché quelli legati agli apprendisti ed agli assunti in formazione lavoro stanno diminuendo, dato che il numero degli occupati in questi ambiti è in calo rispetto a chi viene assunto con contratto part-time, dove gli incidenti, sul totale del lavoro atipico preso in considerazione, sono passati dal 4,7% nel 1997 al 10,5% nel 2000.”

L’indagine Eurispes inoltre cita la ricerca “La nuova filosofia della prevenzione nelle normative Cee: identificazione di contenuti scientifici per la formazione di operatori sanitari della prevenzione e sicurezza sul lavoro – Trasposizione e produzione ipertestuale dei risultati” realizzata dall’Ispesl.

Secondo gli autori, gravi problemi di sicurezza deriverebbero dalla “mancata reazione (sostanziale) nell’ordinamento italiano della direttiva 91/383 Cee, relativa alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori temporanei. Invero, seppur formalmente (e parzialmente) trasposta nell’ordinamento italiano con una tecnica tortuosa, essa non sembra a tutt’oggi incidere particolarmente sullo statuto giuridico del lavoratore temporaneo: anche se, nella sua versione definitiva, il D.leg.vo 626/1994 sembra aver recepito non otto ma nove direttive comunitarie sull’ambiente di lavoro (e quindi anche la 91/383).

In concreto, la semplice dichiarazione formale con cui si conferma l’applicabilità dell’intera disciplina prevenzionistica al lavoratore temporaneo non appare in grado di realizzare l’obiettivo di garantire ai lavoratori temporanei lo stesso livello di protezione che assiste i lavoratori stabilmente inseriti nell’impresa del datore di lavoro fruitore della prestazione lavorativa" (Ispesl et al. 2001).

Lo studio Ispesl fa riferimento ad indagini statistiche indicanti che i tassi di mortalità e di infortuni (sul lavoro) dei lavoratori temporanei sono almeno due/tre volte superiori a quelli dei lavoratori stabili e permanenti, «essendo generalizzata la tendenza ad assegnare a questi ultimi i compiti pericolosi, rischiosi o da prestarsi in ambienti insalubri che il personale, regolare dell’impresa, di norma, rifiuterebbe.”
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