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Quale collaborazione bilaterale e paritetica?

Attività di formazione e collaborazione relativa agli enti bilaterali e paritetici : oltre i chiarimenti del Ministero restano i dubbi e le perplessità che accrescono la confusione. Di Rocco Vitale.

 
Di Rocco Vitale, presidente AiFOS, docente universitario di diritto del lavoro
 
 
La circolare del Ministero del Lavoro n. 20 del 29 luglio 2011, sull’attività di formazione e collaborazione relativa agli enti bilaterali e paritetici, ha il pregio di porre il problema alla fonte precisando che gli organismi bilaterali o paritetici possono essere costituiti da una o più:
a)    associazioni di datori di lavoro
b)    associazioni dei prestatori di lavoro
che devono essere allo stesso tempo comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e firmatarie di contratti nazionali di lavoro specifici. Non vi è spazio per associazioni sindacali e datoriali locali, provinciali o regionali che siano ma, unicamente ricondotte al livello nazionale. Pertanto un organismo che si qualifica come “bilaterale” deve avere sussistenza ed effettività il requisito delle associazioni che lo hanno costituito.
Il Ministero del lavoro, proprio per togliere dubbi sui requisiti relativi alla rappresentatività nazionale degli enti costituenti, invita le direzioni regionali e provinciali, a chiedere la verifica del possesso di questi requisiti. Pur rivolgendosi alle proprie strutture periferiche crediamo che anche altri organismi di vigilanza che operano sul territorio come le Asl possano rivolgersi, in caso di dubbio, al Ministero del lavoro.
Questi chiarimenti ad indicare, prima di tutto, ed individuare gli organismi bilaterali che possono svolgere attività di formazione.
Vengono, inoltre, date indicazioni preliminari relative alla collaborazione, unicamente con gli organismi legittimamente costituiti, lasciandone al prossimo Accordo Stato regioni gli aspetti procedurali.
Nella circolare viene confermato che l’organismo bilaterale di riferimento è quello costituito legittimamente e relativo al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro applicato dall’azienda. Di fatto ne consegue che la collaborazione deve essere richiesta unicamente all’organismo bilaterale (di settore e presente sul territorio di riferimento e non in diverso contesto geografico, se esiste) promosso dalle associazioni che hanno firmato il CCNL applicato dall’azienda.
La collaborazione quindi è prevista solo nel territorio e nel settore specifico cui si riferisce il CCNL applicato dall’azienda e firmato a livello nazionale dalle associazioni stesse che ne hanno istituito gli organismi bilaterali o paritetici.      
 
1.   I bilaterali svolgono per davvero i compiti previsti?
Gli enti bilaterali ed i comitati paritetici non sono una invenzione del D.Lgs 626/94, prima, e del D. Lgs. 81/2008 attuale.  Essi si basano sul principio della partecipazione sindacale in base all’art. 10 del D. Lgs 29/1993 relativi agli “istituti della partecipazione” che, in base ai rispettivi statuti, organizzano una serie di attività e svolgono compiti “solidaristici” concordati tra le parti.
Con il D. Lgs. 81/2008 viene data agli enti bilaterali la possibilità di un loro coinvolgimento sui temi della salute e della sicurezza sul lavoro. Attribuzioni, compiti e competenze sono definite in una serie di articoli che vanno dalla programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi; la formazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale, le comunicazioni all’INAIL dei nominativi delle aziende coinvolte nel sistema e dei RLST, sopralluoghi e relazioni periodiche.
 

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2.   Le inadempienze degli enti bilaterali
In base ai compiti ed alle competenze che la legge attribuisce agli organismi bilaterali e paritetici la prima cosa che dovrebbero fare gli organismi di vigilanza è quella di verificare se gli enti bilaterali siano adempienti nei confronti della legge.
Tale verifica può, anzi deve, essere fatta anche dai datori di lavoro o dagli enti, delegati dal datore di lavoro, per lo svolgimento della formazione. Infatti al datore di lavoro nell’ambito degli obblighi di cui all’art. 18, anche in caso di delega, in ordine a tali adempimenti è soggetto in “culpa in eligendo” qualora la scelta effettuata non sia corretta.
Dovrà quindi il datore di lavoro chiedere all’ente bilaterale l’assolvimento dei compiti previsti dalla legge prima di attuare qualsiasi forma di collaborazione o di affidamento di incarico.
Dalla prassi e dalla conoscenza diretta risulta che ben pochi enti bilaterali abbiano adempiuto correttamente ai propri compiti ed obblighi previsti dalla legge. Molti bilaterali avranno difficoltà a  dimostrare che svolgono una effettiva azione nel campo della bilateralità. Per molti e moltissimi enti l’interesse maggiore è solo quello di fare cassa con corsi di formazione e collaborazioni a pagamento inficiando così il corretto funzionamento dell’istituzione bilaterale e, danneggiando i pochi bilaterali che osservano la legge.
In poche parole siamo in presenza di una folla di “evasori” che incassano danaro contante ma non pagano, non effettuandoli, i compiti previsti dalla legge.
Vediamo cosa dovrebbero fare e non fanno i sedicenti “enti bilaterali” di cui alla circolare del ministero del lavoro.
 
A)  Le comunicazioni
Gli enti bilaterali e paritetici devono comunicare all’INAIL i nominativi delle imprese che aderiscono al proprio ente. Con questa semplice comunicazione (chi la fa per davvero?) verrebbe risolto un primo problema che obbliga i bilaterali ad operare all’interno del territorio, del settore ed in relazione al CCNL applicato e dal quale ne discende la costituzione stessa del bilaterale. Si darebbe risposta alla recente circolare del Ministero del Lavoro facendo si che gli enti bilaterali possano operare solo all’interno delle aziende identificate e non facciano invasione di campo e di mercato.
Allo stesso tempo gli enti bilaterali devono trasmettere ai rispettivi  Comitati regionali di Coordinamento una relazione annuale sull’attività svolta.
 
B)  I Rappresentanti territoriali
L’importanza dei Rappresentanti dei lavoratori in ambito territoriale, frutto di specifici accordi e contratti di lavoro, ha trovato con il D. Lgs. 81/2008 una sua istituzionalizzazione a riprova dell’importanza del dialogo tra le parti sociali all’interno dell’azienda anche laddove non venisse eletto direttamente il R.L.S.
Primo compito dell’ente bilaterale o paritetico è quello di costituire una rete di R.L.S.T. provvedendo direttamente alla loro formazione. I nominativi dei R.L.S.T. alle dirette dipendenza, a qualsiasi titolo, dell’ente bilaterale devono essere comunicati a: INAIL, A.S.L., Direzione provinciale del lavoro e a tutte le aziende laddove non sia stato eletto il R.L.S.
La comunicazione alle aziende è uno strumento che conferma la conoscenza diretta  del territorio e del settore in cui il bilaterale opera.
 
C)  Supporto alle imprese
Qualora in una azienda sorgano conflitti o controversie sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti gli enti bilaterali sono prima istanza di riferimento. Ciò significa che sono chiamati ad una azione di mediazione, non conflittuale, di intervento in merito per la soluzione del problema.
Gli enti bilaterali possono effettuare sopralluoghi nei luoghi di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza e su richiesta delle imprese, rilasciano l’ asseverazione della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza di cui all’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008.
La legge precisa che i sopralluoghi possano essere svolti solo dai bilaterali che dispongano di personale con specifiche competenze tecniche in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Per quanto riguarda l’asseverazione  ogni ente bilaterale deve costituire una apposita commissione paritetica tecnicamente competente.
La legge non definisce quali siano le specifiche competenze tecniche per i sopralluoghi né le competenze delle commissioni per l’asseverazione. A nostro avviso non sono necessarie ulteriori leggi e norme in quanto ogni ente bilaterale ne può definire i sistemi adottati.
Devono però essere chiari e trasparenti le metodologie e le regole utilizzate che consentono ad ogni ente di avere gli elenchi nominativi, con i curricula delle persone,  che possono svolgere tali attività.
 
D) La formazione
La formazione per gli enti paritetici o bilaterali è rappresentata dalla programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi. Non si tratta di un semplice catalogo di offerta di corsi ma piuttosto di elaborare progetti e percorsi formativi basati anche e soprattutto sulle buone prassi. Ciò del resto sarebbe in sintonia se gli enti hanno uno stretto rapporto con le aziende che rappresentano e ne dovrebbero conoscere le realtà e le situazioni.
L’organizzazione di corsi viene dopo e deve essere rivolta e proposta alle proprie realtà aziendali anche perché lo svolgimento della formazione deve prevedere, all’interno di ogni organismo paritetico, l’istituzione di una specifica commissione paritetica e tecnicamente competente che svolga, per l’appunto, compiti di programmazione e non di mera e semplice erogazione formativa a pagamento, con logiche che spesso sfociano in una concorrenza sleale.
Per quanto riguarda i corsi per R.S.P.P. la legge consente che gli enti bilaterali possano svolgere questa attività di formazione e sono riconosciuti, al pari delle associazioni sindacali datoriali e dei lavoratori, quali soggetti organizzatori.  In questo caso, sembra ovvio valendo i principi di base costitutivi dell’ente bilaterale, possono operare esclusivamente nell’ambito territoriale mentre, per la natura stessa dei corsi, è difficile identificare il comparto produttivo di competenza in quanto il R.S.P.P. può operare in diversi settori di attività.
 
3.   Formazione e collaborazione: chi, dove, quando?
Qualora un ente bilaterale o paritetico non adempia ai requisiti fondamentali, che sono alla base della propria esistenza, non dovrebbero poter svolgere le azioni conseguenti. Il caso tipico è rappresentato dalla formazione. I commi 7-bis e 12 dell’art. 37 ed il comma 3-bis dell’art. 51 del D. Lgs. 81/2008 devono essere attuati in base alle indicazioni di cui al comma 3-ter del medesimo art. 51. Ovvero prima di svolgere attività di formazione gli organismi devono istituire specifiche commissioni paritetiche e tecnicamente competenti e pertanto la formazione non potrà essere solo e solamente un calendario di corsi.
Peraltro la funzione di queste commissioni, che ne dovrebbero definire aspetti programmatici e relazionali, devono rivolgersi solo ed esclusivamente alle aziende che applicano il CCNL delle associazioni sindacali che ne hanno istituito l’organismo bilaterale.
A confermare l’ambito aziendale di riferimento è richiamato l’obbligo degli organismi bilaterali di inviare all’INAIL i nominativi delle imprese che vi hanno aderito. Gli azzeccagarbugli diranno che l’INAIL non ha ancora emanato un regolamento per la loro trasmissione ma, ciò non toglie il fatto che detti elenchi devono comunque esistere.
Il legislatore interviene, in modo semplice e diretto, per delineare il campo di applicazione della formazione e della collaborazione che non viene estesa “erga omnes” ma delimitata per ciascun organismo ai propri aderenti.
Ciò del resto anche ai fini di evitare una concorrenza sleale nel mercato della formazione. Non è accettabile il fatto che le spese istituzionali e funzionali siano a carico dell’organismo che deve svolgere più attività e la formazione ne sia solo un utile senza spesa. Se poi alcuni sedicenti organismi bilaterali svolgono solo attività formativa e non gli altri compiti previsti dalla legge non opera correttamente e deve essere denunciato per concorrenza sleale e non adempimento alla legge.
 Non sfugge l’evidenza con la quale sedi di bilaterali coincidano con indirizzi di aziende private di formazione, commerciali o sedicenti associazioni sindacali che mascherano una vera e propria attività di business.
Osservando correttamente la norma anche la collaborazione dovrebbe essere ricondotta alla sua funzione. Crediamo che si forzi la mano sul fatto che il datore di lavoro “deve chiedere la collaborazione all’organismo bilaterale”. L’evidenza che la formazione sia a carico del datore di lavoro senza costi per i lavoratori e si svolga durante l’orario di lavoro, non rappresenta obbligo a chiedere la collaborazione, alla quale viene spesso associata, anche se impropriamente, una non meglio identificata autorizzazione.
Risulta molto più semplice, efficace ed opportuno anche in ottemperanza a quanto previsto dal comma 8-bis dell’art. 51 del D. Lgs. 81/2008 che siano i medesimi organismi bilaterali a comunicare alle imprese aderenti al loro sistema le modalità e le proposte di collaborazione ai fini della formazione valida per il conseguimento di un attestato.
Quale grande valenza formativa ha la stesura di un programma di corso con i nominativi dei docenti trasmesso ad un organismo bilaterale che ne deve dare o meno la collaborazione? Sarebbe molto più utile ed opportuno che sia il bilaterale stesso, per capacità ed esperienza, ad avanzare proposte, idee, suggerimenti alle aziende con lo scopo di attuare la collaborazione.
Vale la pena ricordare come il legislatore sia nel D. Lgs. 81/2008 che nel correttivo 109/2009 ha sempre evidenziato come la formazione deve porre una maggiore attenzione ai profili sostanziali piuttosto che a quelli formali, affinché il conseguimento di un attestato non rappresenti un adempimento meramente formale all’obbligo di legge.
Verrebbe anche evitato al Datore di lavoro di andare alla ricerca, spesso non sapendo come e dove, dell’esistenza dell’ente bilaterale con il risultato di trovarsi sperduto nella giungla delle sigle o ingannato nell’accettare una collaborazione che poi non è quella prevista dalla legge.
 
4.   Le impossibilità della collaborazione
Il sistema istituzionale e normativo degli enti bilaterali e paritetici che come precisato anche dalla recente circolare n. 20  Ministero del lavoro del 29 luglio scorso ne prevede, tra l’altro, che l’organismo operi:
a)    nel settore specifico di riferimento (e non di diverso settore);
b)    presente nel territorio di riferimento e non in un diverso contesto geografico
Con queste specificità molte aziende, datori di lavoro ed enti formativi si trovano nell’impossibilità di attuare qualsiasi forma di collaborazione. Vediamo alcuni casi concreti.
Nel caso in cui un’azienda abbia differenti unità produttive in più provincie o regioni e predisponga un progetto formativo per i propri lavoratori, che devono essere svolti durante l’orario di lavoro a quale ente territoriale deve essere chiesta la collaborazione. La soluzione più logica è quella di chiedere tale collaborazione all’ente bilaterale dove ha sede legale l’azienda: ma si tratta di una interpretazione. Che poteri ha l’ente bilaterale di una regione di dare la collaborazione per corsi che vengono svolti dove opera altro ente bilaterale anche se appartenente al medesimo gruppo?
Sarebbe allora corretto richiedere la collaborazione ad ogni ente del territorio di riferimento. E se un ente bilaterale concede la collaborazione ed un altro ne richiede modifiche all’azione proposta il risultato sarà che il progetto formativo aziendale non sia omogeneo per tutti i lavoratori dell’azienda.
Situazione analoga si potrà manifestare qualora un ente di formazione sia delegato da più datori di lavoro, di piccole aziende, a svolgere corsi di formazione per i propri lavoratori. In tutte le situazioni nelle quali una azienda invia alla formazione 2 o 3 lavoratori, non essendo attuabile una formazione per poche unità, avremo classi di discenti appartenenti a differenti settori di attività.
In questi casi a quale ente bilaterale dovrà essere richiesta la collaborazione? A quale dei 4 o 5 enti bilaterali si dovrà inoltrare la richiesta? E a che titolo un ente può intervenire per lavoratori appartenenti ad altri settori: in conclusione un bel pasticcio.
La situazione diviene assurda quando si tratta di formazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Essendo un caso raro che l’azienda di media dimensioni invii alla formazione più di  3 o 4 dipendenti la classe dei discenti verrà costituita da lavoratori appartenenti a differenti settori produttivi. La collaborazione sarà sempre impossibile non potendo individuare un solo ente di riferimento.
A questa impossibilità resa palese ai fini dell’attuazione della legge l’adempimento verrà svolto dichiarando che non esiste l’ente bilaterale di riferimento.
A questo gioco bizantino che nulla a che fare con la formazione dei lavoratori ma solo di aspetti formalistici fa risconto la valenza e l’importanza del sistema formativo basato sull’esperienza dei lavoratori: tante più sono le esperienze tanto più si arricchisce il corso con più contributi, esperienze e differenze che ne fanno un valore aggiunto.
 
5.   Il conflitto di interessi
Da più parti è stato già sottolineato come gli enti bilaterali agiscano, nel campo della formazione, applicando una vera e propria concorrenza sleale. Infatti il costi fissi istituzionali della struttura sono a carico dell’ente, con i contributi che ricevono dall’applicazione dei contratti, mentre la formazione risulta un vero e proprio utile senza spese di investimento.
Più grave risulta, invece, il latente e degenerante conflitto di interessi che i bilaterali possono produrre. Qualche esempio ci fornisce la natura e lo sviluppo di questi conflitti.
Allorquando gli esperti di un bilaterale effettuano un sopralluogo in azienda e ne riscontrino la non effettuazione di un corso obbligatorio (es. antincendio o primo soccorso) è giocoforza proporre lo stesse ente quale soggetto che può risolvere il problema e proporsi per svolgere la formazione mancante.
Allo stesso tempo qualora una azienda richieda l’“asseverazione” (sic!) gli esperti che ne analizzano il processo e ne constatino, ad esempio, la mancanza dell’aggiornamento dei soggetti obbligati proporranno di far svolgere tali corsi al loro ente asseverante.
Ben più grave sarà la richiesta della collaborazione che potrà essere accolta o negata a patto che si utilizzi l’ente bilaterale per lo svolgimento della formazione. Questo pericolo è ben presente negli attori del prossimo Accordo Stato Regioni che hanno fissato in 15 giorni il tempo per esprimere un parere, nella speranza, che il breve tempo a disposizione non consenta agli enti di intervenire e quindi far valere la prassi del silenzio-assenso. Disposizioni burocratiche ed amministrative al fine di arginare questi evidenti conflitti.
Infine, un ultima certezza del conflitto è data dai soggetti e dalle persone. Quante sono le possibilità che gli “esperti” degli enti bilaterali, sia dipendenti o consulenti esterni, che devono esprimere pareri e relazioni non siano, poi, le medesime persone che saranno incaricate per lo svolgimento delle docenze?
Concludendo e pensando al modo farraginoso e tortuoso composto da articoli e commi, che sanno più di indicazioni sociologiche che norme di diritto, viene da ridere, per non dire da piangere. La conclusione è che ci troviamo, unico caso normato ma illegittimo, laddove lo stesso ente “se la canta e se la suona da solo”.
 
6.   Invito alla Conferenza Stato Regioni
Nelle prossime settimane dovrebbe riprendere l’esame all’interno della Conferenza Stato Regioni del testo di Accordo per la formazione dei lavoratori, che dato per approvato a fine luglio, ha subito una battuta di arresto a causa del ripensamento di alcune regioni. Infatti il sistema prevede che questi Accordi siano approvati all’unanimità da tutte le Regioni e anche la più piccola regione ha il potere di veto.
Nella bozza di questo Accordo si prevede una nota nella premessa che precisa che in mancanza dell’organismo bilaterale il datore di lavoro procede ugualmente alla formazione. Qualora sia presente, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, si dovrà inviare richiesta di collaborazione (di che cosa?) e se non si riceve riscontro motivato entro 15 giorni vale il silenzio assenso.
Può essere una “italica” saggia decisione che, contando sulla brevità dei tempi, annulla di fatto la collaborazione nell’impossibilità della sua concretezza  e per bloccare l’indecoroso spettacolo ed il lucroso business che si è scatenato attorno agli organismi bilaterali.
Si potrebbe suggerire una decisione più significativa che “in considerazione della difficoltà organizzative e procedurali da parte degli organismi bilaterali e paritetici si demanda alla Commissione consultiva di cui all’art. 6 del D. Lgs. 81/2008 la definizione di criteri da sottoporre all’approvazione della Conferenza Stato regioni in ordine alla formazione ed alla collaborazione con gli organismi paritetici e bilaterali”.
Si tratta certamente di un rinvio, anche lungo nel tempo, ma che consente una riflessione e prevedere concrete possibilità di collaborazione con gli istituti bilaterali che sul serio sono impegnati nella prevenzione e nella sicurezza dei lavoratori.
 
7.   Concludendo
Non voglio dare colpe e responsabilità agli enti bilaterali ma ho cercato di descrivere alcuni aspetti e paradossi che, di fatto, ne impediscono il loro funzionamento. Gli istituti partecipativi sono una cosa seria ma se le questioni non vengono affrontare con senso di responsabilità rischiamo di aggiungere oltre al danno la beffa.
Giusta una necessaria e decisa azione per stroncare il proliferare e l’illegittimità di molti pseudo bilaterali. Quelli veri diano esempio di correttezza e, nelle contraddizioni della normativa, sviluppino azioni positive ed utili e soprattutto trasparenti e coerenti.
E’ inutile ricordare che questa situazione è figlia della crisi del sindacato, sia in Italia che in Europa. In quanto alla fiducia che i sindacato hanno tra i lavoratori l’economista Tito Boeri in una ricerca rileva come "solo il 5,1% degli italiani si sente adeguatamente rappresentato dai sindacati e ben il 61,6% dichiara di non nutrire nei loro confronti alcuna fiducia".
Secondo la ricerca di Stefano Livadotti, giornalista dell’Espresso in “L’altra casta” gli iscritti ai sindacati italiani, autoreferenziali e senza controlli, sono circa 11.700.000 di cui il 49,16% sono pensionati. I tesserati “veri” in attività lavorativa sono circa 6 milioni e rappresentano solo il 25% rispetto al totale dei lavoratori. Tra questi lavoratori una gran parte sono quelli del pubblico impiego. Viene da chiedersi, allora, cosa facciamo per il 75% dei lavoratori che non sono iscritti a nessun sindacato.
La sicurezza sul lavoro si deve fare in azienda. I dati ISTAT del 2008 rilevano 4 milioni e 400.000 imprese di cui il 94,/% con meno di 10 addetti. Tra queste le microimprese sono il 47,2% con una media di meno di 4 addetti per impresa. Le grandi imprese con più di 250 addetti sono solamente 3.508.
In questo contesto socio economico che evidenzia il nanismo dell’industria italiana deve essere sviluppata e portata avanti la lotta contro gli infortuni e la prevenzione della sicurezza sul lavoro e gli strumenti normativi e legislativi dovrebbero aiutare ed intervenire in questo ambito evitando fughe in avanti, razionalizzando il sistema e non inventando nuovi soggetti, ulteriori e farraginosi adempimenti che di fatto non solo rappresentano una gabella ma un ostacolo, soprattutto, per lo sviluppo della cultura della sicurezza che deve essere alla base del nostro lavoro e del nostro impegno.
Nessuna messa in discussione degli organismi bilaterali di cui il legislatore ne ha inteso rafforzare l’istituto della bilateralità. Bisogna solo prendere atto che la norma, così come delineata, non funziona ed al posto della tutela della salute e sicurezza, a favore dei lavoratori, ha introdotto elementi di distorsione del sistema e prodotto illegalità.


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Rispondi Autore: Borghetto Riccardo - likes: 0
13/09/2011 (08:30:14)
Concordo in parte con il prof. Vitale.
A mio avviso è sbagliato che si introducano nelle norme di sicurezza concetti come chi è legittimato o no a fare formazione su base politica o sindacale. Meglio sarebbe stabilire criteri di selezione di docenti e organizzazioni basate su requisiti che hanno un senso, legati a professionalità reale. Requisiti di tipo "politico" o sindacale, a mio avviso sono dannosi, e distorcono il sistema con il risultato di scambiare business in cambio di formazione meno efficace. Il proliferare di enti paritetici sostanzialmente finti, emanazione di società commericiali interessate, non è la causa, ma l'effetto di un modo di produrre norme di legge sostanzialmente sbagliato.
Rispondi Autore: silvestro caira - likes: 0
13/09/2011 (09:17:33)
il prof. Vitale non solo ha ragione, ma ne ha tanta. Io vedo solo il banale tentativo di sindacalizzare anche un servizio importante come quello della formazione in ragione di un "accaparrare tutto quello che si può" vedi per esempio i c.a.f. sindacali. I veri professionisti con tanto di esperienza in loco e studi e che fanno la differenza,vengono continuamente esclusi o si cerca di farlo.
Rispondi Autore: NICO FAVALE - likes: 0
13/09/2011 (09:37:56)
concordo con l'analisi puntuale del prof. Vitale. due domande che mi vengono di getto: 1)cosa vuol dire collaborazione? 2) una piccola az. metalmeccanica artigiana, aderente ad un' associazione "non comparativamente più rappresentativa" che le fornisce assistenza quasi quotidiana anche in materia di sicurezza e, nell'ambito della quota associativa annuale, forma ed informa i lavoratori (non iscritti a cgil-cisl-uil ma magari all'ugl) gratuitamente,perchè la deve "inviare" agli enti bilaterali degli artigiani che faranno di tutto (se fanno bene il loro mestiere)per farli anche associare?
Rispondi Autore: NICO FAVALE - likes: 0
13/09/2011 (09:45:46)
Chi mi assicura che la formazione di un ente bilaterale sia migliore di quella di una associazione di imprese (non comparativamente più rappresentativa) che da anni, anche avvalendosi della collaborazione di enti quali asl, dpl, inail, arpa ecc., fa della ottima formazione? Il problema si risolverebbe semplicemente accreditando le strutture formative ed i formatori che si occupano di ssll imponendo requisiti qualificanti.
Rispondi Autore: ENGOLINI MARINA - likes: 0
13/09/2011 (12:18:48)
IO FACCIO FORMAZIONE SULLA SICUREZZA DA 15 ANNI AI MIEI CLIENTI E, PRESSO CENTRI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE NEI CORSI TRIENNALI OBBLIGO FORMATIVO, APPRENDISTI, ASA E OSS. CONCORDO CON QUANTO DETTO NEI COMMENTI PRECEDENTI. LEGGENDO INOLTRE LA BOZZA DELL'ACCORDO, ENTI BILATERALI A PARTE,IO NON POTRO'PIU' FARE FORMAZIONE AI MIEI CLIENTI. NON HO UNA STRUTTURA ACCREDITATA. LA FORMAZIONE NON LA FA' LA STRUTTURA CON TUTTI I REQUISITI PREVISTI, MA IL DOCENTE. COSA CAMBIA SE IO FACCIO FORMAZIONE AI SENSI ARTT. 36 E 37 TRA L'ALTRO MIRATA IN AZIENDA, O IN STRUTTURA ACCREDITATA CON LA SEGRETARIA ANNESSI E CONNESSI. LA COLLABORAZIONE POI CON L'ENTE... SE L'ENTE AL MOMENTO NON ORGANIZZA I CORSI? COME ADEMPIE IL DATORE DI LAVORO AGLI OBBLIGHI PREVISTI DALLA NORMATIVA?
Rispondi Autore: Salvatore Manta - likes: 0
13/09/2011 (16:37:11)
Buongiorno a tutti, capisco le difficoltà illustrate, ma ritengo che solo pochi Enti Bilaterali siano attrezzati per fare formazione, quello che più conta è l'effettività della formazione e l'efficacia.

Per La Cisl di Varese svolgo il ruolo di RLST dal 1998 per il settore dell'Artigianato, dal 2006 per il settore Commercio Turismo, inoltre collaboro all'interno degli Organismi Paritetici e nelle Commissione provinciali ASL e Inail.

Il problema principale e che la formazione venga svolta, la collaborazione con gli Organismi Paritetici che viene chiesta ai datori di lavoro, è principalmente rivolta a sapere quale e quanta formazione viene fatta da chi e con quali contenuti.

Il ruolo degli Organismi paritetici,(che sono di emazione legislativa), a differenza degli Enti Bilaterali (che sono di emanazione contrattuale), deve essere quello di monitorare appunto la qualità della formazione, poi se al proprio interno ci sono professionalità ed organizzazione per fare attività formative ben venga, ma è la prima istanza quella più importante.

Invece che disquisire su chi potrà fare formazione, io punterei invece l'attenzione sulla collaborazione con gli organismi paritetici, in quasti anni in Provincia di Vare, sia per il settore dell'Artigianato, sia per il Turismo e Servizi, staiamo cercando di far capire l'importanza della formazione, sostenendo le aziende a migliorare sempre più questo prioritario strumento di prevenzione.

La presenza degli OPP solo in alcune realtà è sicuramente una carenza di tutte le associazioni datoriali e sindacali) che non investono in queste istanze.

Nel nostro piccolo in provincia di Varese nel corso degli anni abbiamo costituito nove organismi Paritetici, alcuni funzionano un pò meglio di altri, ma l'obiettivo è di estenderli per tutte le attività.
Rispondi Autore: Francesco Scappini - likes: 0
14/09/2011 (16:41:07)
Anch'io come la collega Engolini svolgo corsi come docente da quindici anni. Anch'io come lei non potrò più far formazione a causa della struttura pur avendo ben più dei tre anni di esperienza voluti dalla norma. Credo che siamo in tanti, credo che sia sbagliato impedirci di impartire quell'educazione alla sicurezza che solo chi conosce veramente l'azienda può svolgere. Credo che, anchor prima di noi, come sempre, a subirne le spese più pesanti saranno quei lavoratori che non potranno più avere anche il nostro contributo sulla loro effettiva formazione.
Rispondi Autore: Mario ROMEO - UIL Emilia Romagna - likes: 0
14/09/2011 (16:41:50)
Buon pomeriggio a tutti,
secondo me, il problema maggiore è quello di verificare la "RAPPRESENTATIVITà". Purtroppo ad oggi sono stati creati ed esistono "ad hoc" degli Organismi Paritetici che sono delle "scatole vuote", che non hanno alcuna rappresentatività "BILATERALE (ovvero Sindacale / Datoriale)" e che devono servire solo da "specchietto per le allodole" (Aziende) al fine di vendere la propria formazione. Secondo me non bisogna sottovalutare il concetto di RAPPRESENTATIVITà A LIVELLO NAZIONALE, altrimenti troveremo solo società il cui chiaro intento è fare "BUSINESS" e non creare una "CULTURA DELLA SICUREZZA".

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