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LA VOCE DEI LETTORI


PuntoSicuro ospita l’intervento dell’ingegner Gerardo Porreca "Il rapporto fra la legislazione italiana e la normativa comunitaria in materia di sicurezza sul lavoro".

 

In occasione dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 235/03 e dell'obbligo degli adeguamenti delle attrezzature di lavoro già in uso al 31/12/1996 imposti dalla legge n. 62/05 nonché in previsione della prossima attuazione delle direttive europee relative alla protezione dai rischi derivanti dalla esposizione ai rumori ed all'amianto si ripropone la problematica dell'innesto e del coordinamento delle direttive europee nella legislazione italiana in materia di salute e sicurezza.

 

IL RAPPORTO FRA LA LEGISLAZIONE ITALIANA E LA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO.

Con l’entrata in vigore, fissata per il 19 luglio 2005, del D. Lgs. 8 luglio 2003 n. 235, che ha recepito la direttiva europea 2001/45/CE del 27 giugno 2001 relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso di attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro e con la legge 18 aprile 2005 n. 62 che ha imposto degli adeguamenti da apportare alle attrezzature di lavoro già in uso al 31/12/1996 e non marcate CE, prosegue il lento processo di recepimento delle direttive europee in materia di salute e sicurezza sul lavoro nella legislazione italiana. Lento perché è iniziato fin dal 1994 con l’emanazione del D. Lgs. e difficoltoso perché prosegue attraverso un percorso ad ostacoli contornato da rinvii, aggiustamenti fatti alla ben meglio, pressioni da parte dell'Unione europea, tentativi di elaborare un nuovo Testo Unico e non ultimo da sentenze di condanne da parte della Corte di Giustizia europea che più volte ha “beccato” lo Stato italiano per essere venuto meno agli obblighi di trasposizione delle direttive comunitarie in materia di sicurezza dei lavoratori. Si pensi per esempio ai richiami avuti dalla stessa Corte di Giustizia per quanto riguarda i rischi di esposizione ai videoterminali, con riferimento più precisamente alla definizione di videoterminalista che il legislatore italiano ha dovuto rivedere rispetto a quella fatta con il D. Lgs. 626/94, la valutazione dei rischi per la quale l’accusa era quella di non fare riferimento a tutti i tipi di rischi esistenti nei luoghi di lavoro ma solo a quelli legati alla scelta delle attrezzature di lavoro, delle sostanze e dei preparati chimici ed alla sistemazione dei luoghi di lavoro (art. 4) nonché, per ultimo, per quanto riguarda i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione non precisati nel testo del D. Lgs. n. 626/94.

In realtà si osserva una certa difficoltà, se non addirittura una sorta di rigetto da parte dello Stato italiano di innestarsi nella normativa europea in materia di sicurezza forse perché in Italia esiste in merito un corpo normativo ben consolidato risalente come è noto agli anni 1955-56 molto caro alla magistratura, essendo la maggior parte delle norme in materia di sicurezza di natura penale, richiamato spesso dalla Corte di Cassazione che continua a riferirsi allo stesso anche nelle ultimissime sentenze in materia di sicurezza sul lavoro ed entrato appieno nella Giurisprudenza di merito. In presenza di tale difficoltà si avverte perciò la necessità ormai improcrastinabile di un coordinamento delle norme italiane con quelle europee che comunque vanno rispettate per essere lo Stato italiano un membro delle comunità europee, coordinamento da fare in maniera organica e non con la tecnica del bisturi e dell’innesto o con l’integrazione di nuovi articoli nel vecchio testo normativo che può facilmente portare a disorganiche sovrapposizioni o ripetizioni se non addirittura a contraddizioni nell’ambito dello stesso testo di legge. Un esempio lampante di tale disarticolazione si è avuto modo di osservare in occasione del recepimento delle prescrizioni europee in materia di lavori in quota di cui al D. Lgs. n. 235/2003 e per quanto riguarda le prescrizioni relative alle scale a pioli la cui inosservanza, si legge, nel testo del decreto, è sanzionata addirittura con due sanzioni di entità diverse che diventano tre se si tiene conto che alcune analoghe prescrizioni sono già presenti nella normativa previgente (D.P.R. n. 547/55) e che non sono state abolite per cui sono ancora soggette ad un'altra sanzione. E tutto ciò con grande disorientamento di coloro che devono poi applicarle.

Un tentativo di coordinamento è stato fatto con l’ultima proposta di Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, poi naufragata per i noti motivi, la quale perseguendo un sano obiettivo di creare un corpo unico di tutta la normativa in materia lo ha fatto però per la verità in una maniera un po’ maldestra prevedendo l’abolizione in toto con un colpo di spugna tutta la legislazione penale preesistente e degradandola a norme di buona tecnica e buone prassi, a volte anche in maniera contraddittoria se si pensa a quelle disposizioni delle vecchie norme di legge da tutti ormai ritenute obsolete e superate e che nella occasione venivano promosse a buona tecnica (una per tutte si pensi alla resistenza di 20 ohm degli impianti di terra). Troppo frettolosamente si è ritenuto di risolvere il problema del “trapasso” con l’uso del bisturi e non con una oculata e profonda elaborazione che avrebbe dovuto garantire il trasferimento e la reiscrizione nel nuovo testo di tutti i principi generali di sicurezza, dimostratisi inossidabili, esistenti nelle vecchie norme, e non sono pochi, e facendo decantare invece quelle misure, prescrizioni, indicazioni, suggerimenti ormai non più conformi con le più evolute normative comunitarie.

Il processo del difficoltoso innesto della legislazione italiana nella normativa europea è stato già vissuto in occasione dell’entrata in vigore del D.P.R. 24/7/1996 n. 459, contenente il regolamento di attuazione della direttiva europea sulla sicurezza delle macchine  e del suo rapporto con il D.P.R. n. 547/55 per il quale si segnala un intervento già effettuato dallo scrivente e consultabile fra gli “Approfondimenti” di questo stesso sito ( Sicurezza delle macchine. Rapporto D.P.R. n. 547/55 e D.P.R. n. 459/96). Anche in quella occasione si era pensato di liquidare il vecchio D.P.R. n. 547/55 a favore della normativa europea sulla sicurezza delle macchine recepita con il regolamento di cui al citato D.P.R. n. 459/96. Poi ci si è accorti, e la Corte di Cassazione lo ha più volte messo in evidenza (vedi le " Sentenze sulle macchine" nel repertorio delle sentenze di questo stesso sito) che la marcatura CE e l’adozione di tutte le procedure previste dal D.P.R. 459/96 (valutazione dei rischi, libretto di uso e manutenzione, fascicolo tecnico, dichiarazione di conformità ai RES e cioè ai requisiti essenziali di sicurezza imposti dalle direttive europee) non costituiscono una garanzia assoluta di sicurezza delle macchine ma ha più una valenza di garanzia per il mercato. Ci si è resi conto, inoltre, che il D.P.R. n. 547/55 ci sta ancora tutto o quasi, che lo stesso D.P.R. spesso tutela gli stessi RES, non coperti da sanzione penale, e che in fondo i due D.P.R. sono destinati a convivere fin quando qualcuno non provveda a redigere un testo unificato o anche più testi che siano però rigorosamente coordinati fra loro.

Analogo “imbarazzo” ha suscitato il raccordo delle normative europee con il corpo normativo in materia di igiene del lavoro fin dall’emanazione del D. Lgs. n. 277/91, che ha recepito le direttive comunitarie in materia di esposizione a rumori, piombo e amianto, processo  poi proseguito con lo stesso D. Lgs. n. 626/94, che ha modificato alcuni articoli in materia di igiene del lavoro della normativa di legge già preesistente di cui al D.P.R. 19/3/1956 n. 303 e quindi con il D. Lgs. 2/2/2002 n. 25 per quanto riguarda i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro e per ultimo con il D. Lgs. 19/9/2005 n. 187 sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative alla esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da vibrazioni meccaniche. E sono di prossima emanazione i decreti di recepimento delle direttive europee sulla protezione dai rischi di amianto e rumori che dovrà sostituire il D. Lgs. n. 277/91.

Quindi, se aggiungiamo poi il recepimento della direttiva europea relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da atmosfere esplosive di cui al D. Lgs. 12/6/2003 n. 233 e quello del D. Lgs. 23/6/2003 n. 195 sui requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione, ne viene fuori un testo del D.Lgs. n. 626/94, quale è quello attuale, che chiamiamo coordinato ma che è frastagliato di aggiunte, di abolizioni, di richiami, di articoli e commi bis. ter, quater.…..undecies ecc. con una articolazione che certo non agevola la lettura e quindi l’applicazione.

Con il D. Lgs. n. 494/96, poi, è stato preso in considerazione il settore delle costruzioni e ci si è allineati alle direttive europee per quanto riguarda i cantieri temporanei o mobili, decreto che più che fissare delle norme tecniche sulla installazione  dei cantieri ha introdotto nuove figure obbligate ed una nuova organizzazione dei lavori finalizzata alla pianificazione della sicurezza ed al controllo dell’applicazione dei piani di sicurezza nella fase di esecuzione.

Si è passati, quindi, alla sicurezza delle attrezzature di lavoro per la quale è emersa la necessità di adeguarci alle direttive europee in materia, processo questo già iniziato con la emanazione del D. Lgs. 4/8/1999 n. 359, che ha integrato in parte il Titolo III del D. Lgs. n. 626/94 relativo alle attrezzature di lavoro e che ora ci vede costretti, a seguito della sentenza del 10 aprile 2003 della Corte di Giustizia europea, ad inserire altre integrazioni al testo del D. Lgs. n. 626/94 e ad apportare delle modifiche alle macchine già messe a disposizione dei lavoratori prima del 31/12/2005 e prive di marcatura CE. E’ con la legge 18/4/2005 n. 62 sugli adempimenti derivanti dalla partecipazione alla Comunità europea che sono stati infatti aggiunte delle prescrizioni di sicurezza per l'impiego delle attrezzature di lavoro che si è riscontrato non essere presenti nel corpo normativo nazionale preesistente. Le prescrizioni riguardano la protezione dai rischi che possono derivare dalla messa in moto e dall’arresto della macchina, la rimessa in moto della macchina dopo un arresto, la priorità dell’ordine di arresto rispetto agli ordini di messa in moto, l’idoneità delle protezione degli elementi mobili della macchina contro i rischi di contatto meccanico, elementi questi in fondo in parte già inseriti nelle righe del D.P.R. n. 547/55 ma che necessitano di una rivisitazione.

Ora con il D. Lgs. n.235/03 è la volta del D.P.R. 7/1/1956 n. 164 sulla prevenzione degli infortuni nel campo delle costruzioni e decreti ad esso collegati e dobbiamo trovare un raccordo fra la normativa comunitaria e lo stesso D.P.R. per quanto riguarda in particolare la sicurezza nell’uso delle attrezzature di lavoro per l’esecuzione di lavori temporanei in quota. Con lo stesso vengono definiti quelli che sono da intendersi i lavori in quota consistenti più precisamente in quelle attività che espongono i lavoratori al rischio di caduta da una quota posta ad una altezza superiore ai 2 metri rispetto ad un piano stabile, definizione che mancava nel nostro corpo normativo.

Il D. Lgs. n. 235/2003, entrato in vigore il 19 luglio 2005, non fa altro in pratica che modificare l’art. 36 del D. Lgs. n. 626/94, inserendo gli art. 36-bis, 36-ter, 36-quater e 36 quinquies, e prende in considerazione per tali tipi di lavori l’uso delle scale a pioli, dei ponteggi e dei sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi  dettando delle disposizioni sul loro impiego in parte a conferma di quelle già contenute nelle norme di prevenzione degli infortuni preesistenti di cui al D.P.R. n. 547/55 ed al D.P.R. n. 164/56  ed in parte di nuova introduzione.

Alla luce di quanto disposto dal D. Lgs. n. 626/94 con l’art. 98, in base al quale sono fatte salve, se non specificatamente modificate, tutte le norme già vigenti in materia di prevenzione degli infortuni, con il D. Lgs. 235/03 vengono sostanzialmente integrate  le disposizioni già fissate dalla normativa previgente in materia di scale fisse a pioli ed in materia soprattutto di ponteggi. I ponteggi sono stati presi in considerazione nella normativa preesistente con il D.P.R. n. 164/56 il quale detta delle disposizioni sui vari tipi di ponteggio (ponteggi metallici ed in legname, ponti a sbalzo, sospesi, su cavalletti, su ruote a torre, sviluppabili a forbice, autosollevanti, ecc.) con particolare riferimento ai ponteggi metallici fissi di cui agli articoli 30 e seguenti (autorizzazione alla costruzione ed all’impiego, relazione tecnica, disegno, ipotesi di calcolo, caratteristiche di resistenza, manutenzione, revisione, ecc). Resta anche in vigore l’art. 16 del D.P.R. n. 164/56 che riguarda i lavori che sono eseguiti ad una altezza superiore ai 2 metri il quale, contrariamente a quanto può apparire a seguito di una prima analisi, non è incompatibile con le nuove disposizioni sulla sicurezza dei lavori in quota ma complementare allo stesso regolamentando, secondo le indicazioni più volte fornite dalla Corte di Cassazione, anche i lavori che espongono i lavoratori al rischio di caduta da una quota posta ad una altezza inferiore ai 2 metri. Si segnalano a tal proposito le considerazioni svolte in merito nell’articolo “ Lavori in quota: lavorare a più di 2 metri e cadere da più di 2 metri. Il punto” inserito nella rubrica “Approfondimenti” di questo stesso sito.

La novità assoluta per i ponteggi introdotta dal D. Lgs. n. 235/2003 consiste nell’obbligo da parte dei datori di lavoro di provvedere a redigere, a mezzo di persona competente ed in funzione della sua complessità, un piano di montaggio, uso e smontaggio del ponteggio scelto (PIMUS) nonché di assicurarsi che i ponteggi siano montati, smontati o trasformati sotto la sorveglianza di un preposto e ad opera di lavoratori che abbiano ricevuta una adeguata formazione teorico-pratica per compiere tali tipi di operazioni. Ma anche a tale proposito si fa osservare che già il D.P.R. n. 164/96 per quanto riguarda i ponteggi metallici fissi aveva indicato con l’articolo 36 che al montaggio e smontaggio degli stessi “deve essere adibito personale pratico e fornito di attrezzi appropriati ed in buono stato di manutenzione” e che “il responsabile del cantiere deve assicurarsi che il ponteggio venga montato conformemente al progetto e a regola d’arte” ed ancora con l’articolo 17, per quanto riguarda le opere provvisionali, che “il montaggio e smontaggio delle opere provvisionali devono essere eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori”.

Il Decreto n. 235/03 fissa, però, i contenuti della formazione ma non anche i criteri e le modalità della stessa per la determinazione dei quali è stato demandato il compito, ma ben due anni fa, alla Conferenza Stato Regioni la quale, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo, dovrà individuare, o meglio avrebbe dovuto individuare, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità dei corsi di formazione. Viene fissata, altresì, dal decreto una sorta di norma transitoria stabilendo lo stesso che possono comunque effettuare l’attività di preposto e di “pontista” coloro che dimostrino di aver già svolto tale attività, al momento dell’entrata in vigore del decreto, per almeno tre anni per i preposti e per almeno due anni per i “pontisti” fermo restando che entro due anni da tale data stessa sia gli uni che gli altri devono comunque frequentare i corsi di formazione stabiliti dal decreto legislativo.

Anche per i lavoratori da adibire ai lavori con sistemi a funi, che con una sorta di licenza potremmo definire “funisti”,  è prevista una formazione con contenuti adeguati alla particolare attività svolta e fissati dal decreto per la cui regolamentazione viene fatto capo anche in tal caso alla Conferenza Stato Regioni ed è prevista altresì una analoga possibilità per i datori di lavoro di poter subito adibire gli stessi a tali tipi di operazioni purché abbiano svolto tale tipo di attività per almeno due anni alla data di entrata in vigore del decreto fermo restando l’obbligo della frequenza del corso di formazione entro due anni da tale data (non risulta prevista la figura del preposto per i lavori con l’impiego dei sistemi a funi).

Ci risiamo quindi con la Conferenza Stato Regioni e con le procedure farraginose ormai istituite in Italia per poter legiferare in materia di sicurezza sul lavoro i cui risultati stiamo constatando on line in attesa che vengano emanati i requisiti professionali che, ai sensi del D. Lgs. n. 195/03, devono possedere i responsabili e gli addetti ai servizi di prevenzione e protezione.

A tal punto la domanda è d’obbligo e la risposta sembra scontata: ma che deve fare un datore di lavoro che deve montare o smontare un ponteggio, che vuole essere in regola con le norme di legge in materia di sicurezza sul lavoro e che non riesce a trovare sul mercato del lavoro persone che siano già competenti nell’attività specifica, dal momento che ci siamo attardati nella predisposizione della formazione di nuovi lavoratori da adibire alla stessa attività?

E la risposta è in un’altra domanda: ma non è che in Italia facciamo le leggi in materia di salute e sicurezza sul lavoro  sapendo già che non possono essere rispettate o quanto meno che non possono esserlo nella immediatezza della loro emanazione?

Il consiglio, in conclusione, che si può fornire ai datori di lavoro disorientati, considerato che il D. Lgs. n. 235/03 comunque fissa i contenuti minimi della formazione di tali figure e tenuto conto che il D. Lgs. n. 626/94 impone in ogni caso l’obbligo generale della formazione dei lavoratori, è quello, nelle more della istituzione dei corsi, di provvedere a formare direttamente i lavoratori ed i preposti secondo i principi fissati dal decreto medesimo, fermo restando che sarà loro cura di far partecipare gli stessi ai corsi di formazione “ufficiali” non appena gli stessi saranno istituiti.

 

Ing. Gerardo Porreca 

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