Imparare dagli errori: quando il pericolo per i lavoratori è l’asfissia
Brescia, 16 Dic – Come abbiamo segnalato nei nostri articoli, il grande numero di infortuni gravi e mortali che sono avvenuti in questi mesi nei luoghi di lavoro, che hanno portato il Governo a misure normative di modifica del D.Lgs. 81/2008, mostrano come i principali fattori di rischio e le cause delle morti di lavoro non siano cambiate.
Malgrado le tante campagne di prevenzione e informazione realizzate in questi anni su alcuni temi come le cadute dall’alto, i rischi con le macchine o le attività negli spazi confinati, le cronache degli infortuni continuano a parlare di cadute mortali, di incidenti con macchine senza dispositivi o di una scarsa consapevolezza dei rischi negli ambienti sospetti di inquinamento.
E proprio in relazione ai tanti infortuni avvenuti in ambienti confinati in questi mesi, torniamo oggi a parlare dei rischi di questo ambiente lavorativo con particolare attenzione agli incidenti connessi con il rischio di asfissia.
I casi di infortunio presentati sono tratti dalle schede dell’archivio di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Questi gli argomenti trattati:
- Gli infortuni lavorativi e il rischio di asfissia
- Gli ambienti confinati: i rischi, le atmosfere asfissianti e l’idrogeno
Gli infortuni lavorativi e il rischio di asfissia
Il primo caso riguarda le attività di trasporto di vino con un’autocisterna.
L’operatore dell’autocisterna una volta rientrato in deposito deve pulire la cisterna/botte per un nuovo trasporto. Il lavaggio si effettua in modo semiautomatico, una volta collegato la tubazione dell’impianto idrico fisso. La cisterna è suddivisa in quattro sezioni e ognuna di queste è dotata di una testina forata che spruzza l’acqua in pressione in tutte le direzioni. L’operatore agisce su dei rubinetti che si trovano sulla sommità della botte in corrispondenza delle botole, aprendoli e chiudendoli per far lavare una sezione alla volta in modo da avere più pressione ed effettuare così un lavaggio migliore.
L’infortunato è solo, collega il tubo dell’acqua ed apre lo scarico posteriore della botte per far defluire l’acqua.
Successivamente all’infortunio sulla sommità della botte “sono state rinvenute tre sezioni su quattro aperte; nella prima sezione era stata inserita, attraverso la botola, la scaletta metallica in dotazione all’automezzo, all’interno della sezione era presente uno spazzettone”. L’infortunato “è stato rinvenuto deceduto per asfissia all’interno della prima sezione ed estratto dai vigili del fuoco che sono entrati all’interno della botte con autorespiratori avendo rilevato una ridotta percentuale di ossigeno”.
Non è chiaro – continua la scheda – “perché l’infortunato sia entrato nella botte, se per pulire meglio il fondo della botte o se per recuperare lo spazzettone caduto accidentalmente all’interno. La scaletta presente indica che in ogni caso l’accesso sia stato volontario. I colleghi riferiscono che non vi è necessità di entrare all’interno della cisterna in quanto la pulizia avviene in modo semiautomatico ed il sistema di lavaggio funzionava regolarmente. L’infortunato non aveva in dotazione un analizzatore di ossigeno e quindi non poteva valutare la salubrità della botte, inoltre, non essendo stato formato sui rischi specifici, era probabilmente ignaro del rischio a cui si esponeva”.
Questi alcuni fattori causali rilevati nella scheda:
- “l'infortunato si è introdotto all'interno della cisterna senza verificare la quantità di ossigeno”;
- “mancata dotazione dell'analizzatore di ossigeno”.
Il secondo caso riguarda l’attività di un’autista per una ditta specializzata in lavori edili, movimento terra e trasporto merci.
Il lavoratore ha appena effettuato un trasporto di "acque di strato" proveniente da giacimenti petroliferi ad un’azienda che ne effettua lo smaltimento, mediante l'utilizzo di un autocarro cisterna con relativo rimorchio.
Dopo aver scaricato la cisterna è uscito dallo stabilimento, parcheggiando in un’area pubblica. Per cause non note, adoperando la scaletta mobile usata per salire sul tetto della cisterna, entra dentro la stessa dal passo d’uomo e lì viene trovato cadavere il giorno dopo.
Le acque trasportate “contenevano idrogeno solforato, sostanza che ne ha causato l’asfissia e la cisterna era vuota. L’infortunato non ha utilizzato né l’apposita maschera pieno facciale né il rilevatore di H2S che sono risultati presenti sull’autocarro; è risultato adeguatamente formato in relazione alla propria mansione”.
I fattori causali rilevati:
- l'infortunato “entrava dentro una cisterna non bonificata senza adottare alcuna precauzione, senza verificare la presenza di H2S nonostante avesse a disposizione un rilevatore specifico”;
- l'infortunato “entrava nella cisterna non bonificata senza utilizzare la maschera pieno facciale pur disponibile sul mezzo”.
Gli ambienti confinati: i rischi, le atmosfere asfissianti e l’idrogeno
Per cercare di fornire qualche spunto ai lettori in materia di prevenzione degli infortuni che avvengono negli ambienti confinati o sospetti di inquinamento riprendiamo informazioni da un documento che, benchè non recente, fornisce utili informazioni sul rischio di asfissia: “ La valutazione e la prevenzione del rischio chimico negli ambienti confinati: un caso storico di rischio chimico per la sicurezza”, a cura di Lucio Ros, Alberto Brocco, Celestino Piz, Franco Zanin con riferimento al Gruppo di lavoro “Rischio Chimico” (Coordinamento Tecnico della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro delle Regioni e Province autonome).
Il documento, che analizza vari infortuni, indica che le indagini sui casi permettono di capire che le cause si riconducono spesso a tre ragioni principali:
- la mancata valutazione dell’ambiente rispetto ai possibili pericoli (atmosfera, attrezzature, materiali, ecc...);
- il non uso o l’uso di DPI respiratori inadeguati;
- il non utilizzo di attrezzature/dispositivi utili al recupero (imbracature di sicurezza con treppiede e verricello, ecc...)”.
E comunque risulta presente spesso “una sottovalutazione del problema connessa a scarsa cognizione della specifica condizione di rischio”.
Il documento segnala che i rischi nella maggior parte dei casi “sono determinati dalla presenza di un’atmosfera asfissiante, cioè incompatibile con la vita umana, che può agire con modalità diverse incidendo sull’assunzione (anossia anossica), sul trasporto (anossia anemica), sull’utilizzazione a livello cellulare (anossia istotossica) dell’ossigeno”.
L’atmosfera asfissiante si può avere per:
- carenza di ossigeno a seguito del suo consumo o sostituzione;
- inalazione/assorbimento di sostanze tossiche con conseguente intossicazione acuta.
La carenza di ossigeno (atmosfera sotto-ossigenata) “si ha quando la concentrazione di ossigeno (pO2, pressione parziale di ossigeno) è inferiore al 21%. Con concentrazioni inferiori al 18% si ha riduzione delle prestazioni fisiche e intellettuali, senza che la persona se ne renda conto. Con tenori inferiori all’11% c’è il rischio di morte. Sotto l’8% lo svenimento si verifica in breve tempo e la rianimazione è possibile se effettuata immediatamente. Al di sotto del 6% lo svenimento è immediato e ci sono danni cerebrali, anche se la vittima viene soccorsa”.
Si indica poi che si ha carenza di ossigeno “in tutte quelle situazioni in cui l’ossigeno viene consumato, senza venir rimpiazzato (come in ambiente confinato), a causa di una reazione chimica di ossidazione/combustione con formazione di CO2, H2O, CO, NOx, di ossidi metallici e di altri composti ossigenati”. Tale carenza di ossigeno nell’aria respirata può “essere provocata dalla presenza voluta o accidentale di altri gas”. Il documento riporta poi diverse informazioni sui gas inerti.
Il documento si sofferma anche sulle sostanze tossiche che “hanno meccanismi diversi di azione e provocano l’anossia anemica (es. CO), che è provocata dal mancato trasporto dell’ossigeno da parte del sangue o l’anossia istotossica (es. HCN), che è determinata dal mancato utilizzo dell’ossigeno a livello tissutale. Le sostanze irritanti (es. aldeidi, Cl2, SO2) agiscono sulle prime vie aeree o più in profondità, determinando in questo caso broncospasmo ed eventualmente edema polmonare. Il fenomeno bronco-spastico impedisce l’utilizzo dell’ossigeno a livello polmonare, determinando un effetto simile a quello della carenza di ossigeno”.
E il rischio di asfissia non si presenta solo negli ambienti confinati, ma può presentarsi anche all’esterno “in prossimità di fughe di gas, sfiati, scarichi di valvole di sicurezza, dischi di rottura, aperture di macchine che utilizzano N2 come liquido per surgelazione, punti di accesso a recipienti bonificati. Il rischio può essere aggravato dal fatto che i gas coinvolti (N2, Ar, CO2, H2S, SO2) siano più pesanti dell’aria per peso molecolare e/o per temperatura. In questo caso essi fluiscono e si accumulano in basso, ad esempio in fognature o condotte sotterranee, in pozzi di ascensori/montacarichi, in fosse, nei piani interrati. Nondimeno va considerata la possibilità che i gas più leggeri (He, H2, CH4…) si accumulino in alto nei controsoffitti o nei sottotetti”.
Riportiamo, infine, dal documento alcune informazioni specifiche sul solfuro di idrogeno o idrogeno solforato (H2S), un gas incolore più pesante nell’aria “dal caratteristico odore di uova marce, estremamente infiammabile”.
Si indica che la sensazione olfattiva non aumenta con la concentrazione del gas nell’aria; può accadere che l’odore, percepibile a bassissime concentrazioni (0,0081ppm), si attenui o sparisca alle alte concentrazioni per esaurimento funzionale dei recettori”.
Si ricorda che è spesso “utilizzato nel ciclo produttivo in metallurgia per eliminare impurità. Si produce anche per reazione tra solfuri e acidi, da reazioni anaerobiche, in attività di depurazione, bonifiche industriali, produzione biogas e agricoltura”. E sono diversi i casi di infortuni mortali, anche plurimi, causati dall’esposizione ad acido solfidrico nelle operazioni di pulizia.
Tiziano Menduto
Sito web di INFOR.MO.: nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 10904 e 11048 (archivio incidenti 2002/2018).
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