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Imparare dagli errori: l’importanza di proteggere la testa

Imparare dagli errori: l’importanza di proteggere la testa
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Imparare dagli errori

15/09/2016

Esempi di infortuni correlati all’uso errato o mancato uso di dispositivi di protezione della testa. Le conseguenze del mancato uso del casco o elmetto di protezione. La descrizione degli infortuni e la scelta di idonei DPI.


Brescia, 15 Set – Riprendiamo il viaggio di “ Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, attraverso le conseguenze relative all’uso errato o mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nei luoghi di lavoro.

 

Le prime cinque tappe di questo percorso hanno analizzato le varie casistiche correlate all’uso o all’assenza di occhiali di protezione e di idonei guanti per proteggere le mani.

Tuttavia c’è un’altra parte essenziale del nostro corpo che se colpita duramente porta spesso a casi mortali o lesioni gravi: la testa.

 

Cominciamo ad occuparci oggi proprio dei DPI per la protezione della testa ricordando che l’Allegato VIII del D. Lgs. 81/2008 indica che i lavoratori esposti a specifici pericoli di offesa al capo per caduta di materiali dall’alto o per contatti con elementi comunque pericolosi devono essere provvisti dicopricapo appropriato.

 

Le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.



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Il caso

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto ad un muratore durante attività edili.

Un lavoratore mentre sta raccogliendo alcune attrezzature di lavoro al di sotto di un balcone, improvvisamente viene colpito alla testa da una soglia che cade dal balcone sovrastante. Il lavoratore, che non usava il casco di protezione, riporta la frattura del cranio.

 

Sono evidenti i fattori causali riportati nella scheda:

- “mancato uso del casco”;

- “soglia in marmo pericolante”.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto ad un lavoratore straniero durante attività di ristrutturazione di un locale.

 

Il lavoratore si trova con due colleghi più esperti presso un locale dove si svolgono lavori per la ristrutturazione interna di un locale. Devono montare e realizzare l'impianto di refrigerazione e ricambio d'aria del locale.

Sono diversi giorni che lavorano in quel locale. E avviene che succede che il primo lavoratore, mentre si trova su di una scala a pioli del tipo a libro per prendere misure sui canali per il posizionamento di una bocchetta per la presa d'aria, perde l'equilibrio e cade a terra, sbattendo il capo nel pavimento e riportando la frattura del cranio.

Dall'indagine successiva è emerso che il lavoratore - un'apprendista che aiutava gli operai più esperti - si trovava a cavalcioni sull'ultimo piolo della scala, posizionata parallelamente alla parete, con in mano un metro a rotella. Non indossava il casco ma aveva le scarpe antiinfortunistiche.

Dall’indagine è emerso anche che la ditta aveva fornito agli operai scale e trabattelli per i lavori in quota.


Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:

- “l'infortunato prima dell'evento si trovava a cavalcioni sull'ultimo piolo della scala con una mano impegnata”;

- “l'infortunato non indossava il casco”.


Anche il terzo caso riguarda un infortunio avvenuto durante attività edili.

Nella rimozione di un tetto di un edificio in ristrutturazione, un lavoratore cade da un impalcato alto circa 2 metri e urta il capo contro il pavimento della soletta sottostante provocandosi un trauma cranico. L'impalcato non era stato montato correttamente e non era sufficientemente esteso per tutta l'area di lavoro. Il lavoratore non faceva uso del caschetto di sicurezza che aveva ricevuto in dotazione.

 

In questo caso abbiamo:

- un “ponteggio instabile, non montato correttamente e non sufficientemente esteso per tutta l'area di lavoro”;

- il “mancato uso del casco di sicurezza”.

 

 

La prevenzione

In questi “Imparare dagli errori” non ci soffermiamo in realtà sulle cause degli infortuni segnalati, ad esempio sulle cause delle cadute dagli impalcati, delle cadute dalle scale o del perché un operaio edile viene investito da materiale che cade dall’alto. La rubrica ha affrontato in passato tutti questi aspetti, con riferimento sia ai casi di caduta dall’alto che di caduta di materiale.

 

Ci soffermiamo invece sulla mancanza dell’elmetto di protezione che risulta comunque un elemento di aggravamento delle conseguenze dell’incidente e cerchiamo, attraverso alcuni materiali pubblicati in precedenti articoli, di ricordare le specificità, i limiti e le potenzialità di questo importante DPI di protezione del capo.

 

Per avere qualche indicazione utile per la conoscenza, la scelta e l’uso di adeguati dispositivi di protezione della testa, possiamo fare riferimento al progetto multimediale Impresa Sicura - elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail - che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto diversi materiali relativi alla prevenzione in molti comparti lavorativi (metalmeccanica, cantieristica navale, lavorazione del legno, calzature, ...) e una raccolta dettagliata di informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale nel documento “ ImpresaSicura_DPI”.

 

In quest’ultimo documento si indica che, riguardo alla protezione del capo, le norme tecniche definiscono l’elmetto di protezione per l’industria come un ‘copricapo il cui scopo primario è quello di proteggere la parte superiore della testa dell’utilizzatore contro lesioni che possono essere provocate da oggetti in caduta’ (UNI EN 397). Mentre il copricapo antiurto per l’industria è invece destinato a ‘proteggere la testa dell’utilizzatore dalle lesioni causate da un urto della testa contro oggetti duri e immobili’ (UNI EN 812).

Vi sono poi altri dispositivi di protezione del capo come:

- l’elmo per vigili del fuoco: un copricapo destinato a ‘garantire la protezione della testa dell’utilizzatore dai pericoli che potrebbero insorgere durante le operazioni condotte dai vigili del fuoco’ (UNI EN 443);

- dispositivi di protezione del capo “utilizzati per le discipline sportive e per le attività di tempo libero definiti da altre norme specifiche” (ad esempio caschi per sport aerei, per sci alpino, per ciclisti, ....).

 

Rimandando ad altre puntate di “Imparare dagli errori” l’approfondimento sulle caratteristiche di elmetti e copricapi, concludiamo l’articolo riportando dal documento di “Impresa Sicura” qualche informazione riguardo alla scelta degli elmetti di protezione.

 

Il primo dovere del datore di lavoro è “l’esecuzione di specifica valutazione, allo scopo di definire chiaramente la fonte e la natura di tutti i potenziali rischi. Una volta identificati i rischi, il requisito successivo è considerare e mettere in pratica tutte quelle misure fattibili per l’eliminazione o la riduzione del rischio alla fonte”. Per proteggere il capo “se il rischio non può essere eliminato o ridotto ad un livello tale da non provocare lesioni, il ricorso ad un elmetto di protezione è inevitabile ed è necessario avviare la procedura di selezione”.  

Una volta individuato il DPI devono essere infine “determinati i requisiti di prestazione che devono essere riportati nella nota informativa del fabbricante. Nell’ambito degli elmetti di protezione esistono una serie di prescrizioni che portano ad altrettanti requisiti di prestazione obbligatori. Al loro interno questi requisiti sono suddivisibili in funzione del loro livello di prestazione”.

 

 

Sito web di INFOR.MO.: nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3417, 3065 e 1868 (archivio incidenti 2002/2010).

 

 

Tiziano Menduto

 



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