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Biotecnologie industriali: come affrontare il rischio biologico?

Biotecnologie industriali: come affrontare il rischio biologico?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Gestione Rifiuti

06/03/2023

Un documento sulla salute e sicurezza nelle biotecnologie industriali si sofferma sui rischi biologici in un impianto di produzione di PHA. La valutazione dei rischi, le vie di esposizione e le misure di contenimento.

Roma, 6 Mar – In relazione alla necessità di uno sviluppo sostenibile, i processi connessi alla biotecnologia permettono di ridurre i quantitativi di rifiuti da smaltire in discarica con una “massimizzazione delle efficienze produttive, minimizzazione dell’impatto ambientale e miglioramento del livello di sicurezza”.

 

A ricordarlo è il documento InailSalute e sicurezza nelle biotecnologie industriali. Il Progetto europeo RES URBIS” che presenta il progetto europeo RES URBIS che intende favorire la piena integrazione degli impianti di produzione di bio-prodotti con gli impianti tradizionali per la depurazione delle acque e/o il trattamento dei rifiuti.

 

L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (Inail) ha contribuito al progetto valutando i rischi espositivi professionali ad agenti biologici, agenti chimici e ad atmosfere potenzialmente esplosive e definendo le misure di prevenzione e protezione più idonee a contenerli.

 

Ci soffermiamo oggi in particolare sui rischi biologici connessi alla conversione di diversi tipi di rifiuti organici, come i fanghi di depurazione e la FORSU (frazione organica dei rifiuti solidi urbani) in prodotti ad alto valore aggiunto come i copolimeri di poli-idrossialcanoati (PHA), tra i “migliori candidati per essere il prodotto principale della bioraffineria di rifiuti organici” (questi biopolimeri “hanno un’ampia gamma di proprietà modulabili per un ampio scenario di applicazioni particolare”).

Ricordiamo che il processo produttivo, per questa conversione, si compone di quattro fasi:

  1. “fermentazione acidogenica;
  2. selezione della biomassa produttrice di PHA a partire da colture microbiche miste in SBR” (reattore batch sequenziale);
  3. “produzione di PHA;
  4. estrazione e purificazione del PHA”.

 

L’articolo affronta i seguenti argomenti:


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Biotecnologie industriali: il rischio biologico e la valutazione

Il documento, con riferimento all’impianto pilota di produzione di PHA in cui è stata fatta la valutazione del rischio, indica che il processo di fermentazione acidogenica “avviene all’interno del digestore che è un bioreattore chiuso in condizioni di contenimento e quindi non vi è alcuna esposizione dei lavoratori”.

 

Tuttavia – continua il documento – “alcune attività come il campionamento per il monitoraggio del processo di fermentazione potrebbero comportare l’esposizione dei lavoratori, specie se il prelievo dal digestore avviene in luogo chiuso (Pietrangeli e Lauri, 2018)”. E nell’ambito del progetto europeo RES URBIS, “l’attività dell’Inail si è quindi focalizzata sulla valutazione del rischio biologico delle operazioni finalizzate all’arricchimento nel SBR della coltura microbica mista, costituita da batteri in grado di produrre e accumulare PHA”.

 

La valutazione “si è basata su:

  • i generi microbici produttori di PHA presenti nel SBR, analizzati con metodi coltura indipendenti basati su tecniche molecolari NGS-16S, per la caratterizzazione tassonomica a livello di genere della biomassa selezionata nel SBR aerobico;
  • la classificazione, ove esistente, in termini di rischio, dei generi batterici produttori di PHA in base all’Allegato III della Direttiva 2000/54/CE;
  • l’identificazione delle operazioni di lavoro che possono comportare rischi espostivi per i lavoratori;
  • i dati epidemiologici sulle malattie professionali dei lavoratori per esposizioni analoghe (ad esempio in impianti di trattamento delle acque reflue), considerando non solo il rischio di infezione ma anche i potenziali effetti allergici e tossici dei microrganismi e/o loro parti”. 

E dunque il primo step della valutazione del rischio biologico “è stato l’identificazione del pericolo, ovvero i microrganismi presenti nel SBR e la loro classificazione in termini di rischio”.

 

Biotecnologie industriali e rischi biologici: vie di esposizione e bioaerosol

Si segnala che le vie di esposizione agli agenti biologici durante le attività lavorative nell’impianto “includono:

  • la via inalatoria attraverso polveri, particelle liquide o altro particolato, contenenti microrganismi e/o loro parti e prodotti (bioaerosol);
  • la via orale attraverso mani, indumenti, strumenti, prodotti alimentari contaminati;
  • la via cutanea e mucosa attraverso lesioni della pelle o attraverso schizzi di materiale infetto nelle mucose di naso/occhi/bocca;
  • la penetrazione nei tessuti profondi nel caso di lesioni dovute, ad esempio, a punture di aghi o ferite da taglio con dispositivi contaminati”.

E si ricorda che i livelli di esposizione dei lavoratori agli agenti biologici “dipendono fortemente dalle attività svolte nell’impianto, dalle frequenze espositive, dalle misure di prevenzione e protezione adottate durante il ciclo produttivo e dal livello di informazione e formazione dei lavoratori. Gli effetti dell’esposizione possono essere distinti in infettivi, sensibilizzanti e tossici”.

 

Si indica poi che la formazione di bioaerosol “avviene soprattutto per l’azione meccanica di organi in movimento, nell’ambito di vortici e salti di livello dei reflui, nelle fasi di pompaggio, in tutti i casi di formazione di spruzzi. La contaminazione microbica dell’aria può subire un fenomeno di dispersione in funzione delle caratteristiche strutturali dell’impianto, dei movimenti generati nei diversi processi o dei fattori meteorologici, quali ad esempio velocità e direzione del vento, umidità e temperatura”. E la valutazione del tipo di esposizione “è di fondamentale importanza per la scelta di adeguate misure protettive con l’obiettivo di interrompere eventuali vie di trasmissione e/o di assorbimento degli agenti”.

 

Il documento si sofferma poi ampiamente sulla valutazione dell’esposizione e sull’approccio alla valutazione del rischio biologico del processo produttivo di PHA, anche in relazione alla “mancanza di valori limite di esposizione (TLV: Threshold Limit Value) per gli agenti biologici che possano essere da riferimento nella interpretazione delle dosi espositive in termini di frequenza attesa delle diverse manifestazioni patologiche a carico del lavoratore”.

 

Biotecnologie industriali e rischi biologici: le misure di contenimento

Riguardo alle misure di contenimento nell’impianto di produzione di PHA, si segnala che la mancanza dei valori limite di esposizione agli agenti biologici “comporta che, dal punto di vista operativo, per gestire in sicurezza le attività negli impianti ad esposizione potenziale ad agenti biologici, l’approccio più corretto è quello preventivo, ossia ridurre al più basso livello tecnicamente realizzabile l’entità dell’esposizione individuale, attraverso la definizione e l’applicazione di specifiche misure di contenimento tecniche, organizzative e procedurali e controllarne il rispetto da parte del lavoratore opportunamente informato e formato in tema di rischio biologico”.

E se il biohazard non può essere eliminato, in realtà “la corretta progettazione dell’impianto e dei processi di lavoro, la scelta di attrezzature e metodi di lavoro adeguati consentono il controllo del rischio professionale nell’impianto”.

 

In particolare le misure di prevenzione “possono essere classificate in:

  1. misure tecniche consistenti nell’adozione di impiantistica di aggiornata concezione quali l’alimentazione del biowaste nel digestore in condizioni di contenimento, l’utilizzo di diffusori d’aria come sistema di aerazione al posto dei sistemi di agitazione meccanica, l’inserimento di setti paraspruzzi ai terminali delle tubazioni. In particolare, quando vengono apportate modifiche alla progettazione, al funzionamento o alla sicurezza di una macchina (o di un insieme di macchine), si dovrebbe valutare l’entità delle modifiche apportate o da apportare. Se tali modifiche sono sostanziali, averle apportate può equivalere ad aver acquisito una macchina ‘nuova’ (o nuovo assemblaggio), per il quale è necessario effettuare la valutazione della conformità secondo la Direttiva Macchine (Unione europea, 2006);
  2. misure organizzative quali, ad esempio, adibire solo personale qualificato allo svolgimento delle attività a rischio espositivo, garantire presenza di segnaletica specifica, rotazione del personale e organizzazione delle mansioni lavorative per evitare che i lavoratori trascorrano lunghi periodi in aree a maggior rischio espositivo. Si tenga presente che basse dosi espositive potrebbero contribuire allo sviluppo di immunità da parte dei lavoratori;
  3. adozione di DPI (guanti, occhiali protettivi, visiera, tuta resistente all’acqua) o dispositivi per la protezione delle vie aeree (RPE) da parte del personale in funzione della mansione svolta e del rischio specifico identificato per area ed attività svolta. Gli indumenti da lavoro e i DPI devono essere rimossi all’uscita dall’area di lavoro e tenuti separati dagli altri indumenti. Il datore di lavoro deve garantire che tali indumenti e dispositivi di protezione siano puliti o riparati, ove difettosi. Inoltre, le procedure per il campionamento, la manipolazione e il trattamento delle matrici contaminate devono contenere, se del caso, il richiamo all’obbligo dell’uso di DPI e RPE”.

 

Si indica poi che:

  • “qualsiasi attività che comporti la movimentazione delle matrici contaminate (rifiuti e/o fanghi) dovrebbe essere controllata al fine di evitare il rilascio di polvere e aerosol sul posto di lavoro, come ad esempio l’operazione di alimentazione del biowaste nel digestore in condizioni di contenimento”;
  • “particolare attenzione deve essere posta alla possibile contaminazione dei luoghi chiusi, come gli spogliatoti, le sale controllo, gli uffici, ecc. A tale scopo deve essere prevista la compartimentazione ed il conseguente isolamento degli ambienti chiusi provvisti di adeguata ventilazione con le zone destinate al personale non direttamente coinvolto nel processo, in aree separate e distanti dagli ambienti operativi”;
  • “il rischio di infezione e alcune sintomatologie simil-influenzali possono essere prevenuti introducendo misure igieniche relativamente semplici. Oltre al divieto di mangiare, bere e fumare nei luoghi in cui sono svolte le lavorazioni, il datore di lavoro deve fornire adeguate strutture assistenziali, tra cui acqua pulita, sapone, spazzole per unghie, asciugamani di carta usa e getta e attrezzature di pronto soccorso per la pulizia delle ferite”;
  • i datori di lavoro “devono attivare un’adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori per garantire che gli esiti sanitari correlati all’esposizione ad agenti biologici siano segnalati”. E l’adozione di un sistema di sorveglianza epidemiologica dei lavoratori “deve necessariamente contemplare il rischio biologico di tipo allergico, come dimostrato dalla casistica epidemiologica di settori affini”.

 

Inoltre tra le misure di prevenzione “un ruolo rilevante è svolto dall’informazione e dalla formazione dei lavoratori”.

 

Concludiamo rimandando alla lettura integrale del documento che, in relazione ai rischi biologici, si sofferma anche sul contesto legislativo, sull’approccio metodologico alla valutazione e sull’identificazione del biohazard.

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Inail - Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici, Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione - “ Salute e sicurezza nelle biotecnologie industriali. Il Progetto europeo RES URBIS”, a cura di Biancamaria Pietrangeli, Roberto Lauri e Domenico Davolos (Inail, DIT), Emma Incocciati (Inail, Contarp), Laura Lorini, Marianna Villano, Andrea Martinelli, Cleofe Palocci, Marco Petrangeli Papini, Neda Amanat, Laura Chronopoulou, Sara Alfano e Mauro Majone (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Chimica), Francesco Valentino, Paolo Pavan e Giulia Moretto (Università di Venezia “Ca’ Foscari”, Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatiche e Statistiche), David Bolzonella (Università di Verona, Dipartimento di Biotecnologie), Simona Rossetti e Simona Crognale (Istituto di Ricerca sulla Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche), Alessandro Carfagnini (Sabio Biomaterials), Collana Ricerche, edizione 2022 (formato PDF, 13.19 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Salute e sicurezza nelle biotecnologie industriali”.

 



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