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La relazione uomo-animale nelle situazioni di emergenza

La relazione uomo-animale nelle situazioni di emergenza
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Gestione emergenza ed evacuazione

09/09/2014

Da fattore positivo per persuadere le persone a seguire le indicazioni dei soccorritori, a supporto nel post evento con interventi strutturati, di cui la Pet therapy è solo un esempio.

 
Ospitiamo un articolo tratto da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che analizza la relazione uomo-animale nelle situazioni di emergenza.
 
 
Il miglior amico dell’uomo
di Lucia De Antoni
 
7 febbraio 2009, Victoria, Australia. Quello che fu chiamato “The Black Saturday”, quando iniziarono una serie di incendi boschivi in cui morirono 173 persone, 414 rimasero ferite, 7562 furono sfollate, 2100 case vennero distrutte. Ma fu anche il giorno in cui Juliet Moore saltò fuori dall’elicottero di soccorso per tornare a casa e salvare il suo cane Poncho, il giorno in cui il dott. Chris Tower morì cercando di salvare i suoi cani, e le sorelle Melanie e Penny Chambers morirono cercando di salvare i loro cavalli. E ancora, durante le alluvioni che flagellarono lo stato del Queenslands fra il dicembre del 2010 e il gennaio del 2011 l’agricoltore David Kelly fu visto vivo per l’ultima volta mentre insieme con il suo cane cercava di salvare il suo bestiame.
Questi sono solo alcuni esempi che documentano come in caso di catastrofi naturali, ma anche in altre situazioni di emergenza chi possiede animali, specie se si tratta di animali domestici come cani e gatti, nel tentativo di portarli in salvo può adottare comportamenti che potenzialmente mettono a rischio la loro stessa vita o quella di altre persone.
 
Molte ricerche confermano questo dato, come per esempio i risultati dello studio condotto nel 2001 da Heath e Kass secondo cui chi possiede animali è più riluttante a rispondere a un ordine di evacuazione rispetto a chi non ne possiede, e che proprio quelli che accettano di evacuare, sono i più propensi poi a tornare indietro nel tentativo di portarli in salvo pur rischiando di mettersi in pericolo. I risultati di un altro studio statunitense del 2009 condotto da Howlett e Turnball confermarono che più dell’80% dei possessori di animali in situazioni di pericolo rischierebbe la loro vita per salvarli. Si tratta di una risposta quasi compulsiva e viscerale basata sulla relazione uomo/animale, da sempre riconosciuta come fonte di effetti positivi sugli individui, sulla società e sul genere umano in generale (Smith, 2012).
 
Durante le pesanti alluvioni che nel maggio di quest’anno hanno colpito Bosnia, ma anche Serbia e Croazia, e che hanno causato decine di vittime, una soccorritrice racconta che tra le richieste delle persone alluvionate che avevano perso tutto c'era quella di avere cibo e cure veterinarie per cani e gatti. Una coppia le ha detto che il primo loro pensiero è stato quello di mettere in salvo i gattini che una gatta selvatica aveva partorito nel loro capanno degli attrezzi.
 
Anche se per qualcuno “si tratta solo di animali”, l’importanza che il singolo attribuisce al suo animale costituisce un elemento cruciale che necessita di essere approfondito, per comprendere e gestire nel miglior modo possibile le eventuali reazioni di questa persona in situazioni di emergenza.
 

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Il background teorico
Molti studi hanno dimostrato come le persone possono identificare e riconoscere gli animali come membri della propria famiglia (Edwards e Cutter 2008) e, anche in situazioni di pericolo, prendersene cura così come fanno chi ha bambini. La teoria psicologica che più di altre spiega il ruolo della “pet relationship” nella vita dell’uomo è la “Teoria dell’Attaccamento”, elaborata dallo psichiatra inglese John Bowlby. L’attaccamento sarebbe la tendenza manifestata dal bambino durante i primi 24 mesi di vita a rimanere vicino alla madre, un periodo della vita in cui il contatto visivo tra i due soggetti produce un legame che avrà una funzione fondamentale nel futuro sviluppo dell’individuo. Questo legame ricopre una funzione protettiva e diventerà il polo rassicurante per tutte le esperienze che l’individuo compirà nella sua vita. Secondo Bowlby quando si parla di “attaccamento” si intende “qualsiasi forma di comportamento che porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza con un altro individuo differenziato o preferito, considerato come più forte o esperto”.
 
Anche nella relazione che l’uomo può instaurare con un animale si possono evidenziare delle dinamiche tipiche delle relazioni umane d’attaccamento, in quanto l’animale può rappresentare un dispensatore di calore e contatto, trasmettere all’uomo risposte emotive particolari, favorire il benessere, offrire sicurezza e protezione che facilitano l’attaccamento.
 
La specie umana è caratterizzata dalla necessità di instaurare un legame di attaccamento per sviluppare e crescere in maniera equilibrata, e quando si crea una relazione duratura e profonda con l’animale si attiva questo comportamento e si produce un attaccamento etero-specifico altrettanto soddisfacente.
 
Per essere fonte di sicurezza psicologica la figura di attaccamento deve garantire vicinanza e disponibilità nei momenti di bisogno, deve offrire protezione e supporto nei momenti di stress, deve fungere da base sicura, facilitando e permettendo l’assunzione di rischi. Le ricerche suggeriscono che proprio la compagnia di un animale, e in particolare modo del cane, soddisfa questi criteri.
 
Secondo Crawford (2007) gli aspetti della teoria dell’attaccamento che sono parimenti applicabili sia all’attaccamento uomo-uomo, sia a quello uomo-animale includono il legame a livello affettivo, la bontà dell’attaccamento, il rappresentare una base sicura, e il rispondere al bisogno di vicinanza. Siegel sottolinea invece come la relazione con un animale da compagnia rappresenta uno dei principali legami sociali, e l’animale può essere percepito come importante fonte di supporto, specie durante eventi stressanti della vita, disponibile, prevedibile nelle sue reazioni, e soprattutto non giudicante. Le persone possono guadagnare in stima per se stessi proprio perché sentono che l’animale ha bisogno di loro, a prescindere da cosa pensano le altre persone.
 
Altresì importante è l’opera di Winnicott che si caratterizza per il costante riferimento ai reciproci interscambi tra il mondo interno e l’ambiente. Per Winnicott il bambino inizialmente vive in una realtà costruita soggettivamente, dove tutto (compresa la madre) è sotto il suo controllo onnipotente, una realtà in cui il bambino crede di costruire la madre con i suoi desideri. Gradualmente dovrà abbandonare questa visione per abbracciare una visione dello spazio oggettivo condiviso, dove la madre esiste indipendentemente dalla sua volontà egoistica. Tuttavia, tra le due forme di realtà ne esiste una terza, lo spazio transizionale, il quale è sia costruito soggettivamente che percepito oggettivamente. Di questa esperienza transizionale fanno parte gli oggetti transizionali, avendo la caratteristica di entrambe le forme di realtà, e che permettono al bambino di spostarsi verso una realtà oggettiva condivisa, senza esserne traumatizzato.
 
Il termine di oggetto transizionale denota un oggetto, generalmente di qualità tattile-pressoria (lembo di coperta, peluche, pezzo di stoffa. ecc.) che viene acquisito dal bambino per aiutarlo nel suo sviluppo psicologico; esso viene ad essere il primo oggetto assimilato dal bambino come "non-me". Tale oggetto, rappresentando l'unione con la madre, ne permette anche il distacco e l'autonomia da essa, un processo definito come individuazione-separazione da Margaret Mahler.
 
L’oggetto transizionale è «il primo possesso non-me» che non appartiene né alla realtà interna né a quella esterna, fa parte di uno spazio potenziale e la sua funzione è quella di costituire un ponte tra la realtà interna e quella esterna e «tenere le due realtà […] separate e pur tuttavia in relazione l’una con l’altra».
 
Il contatto fisico con l’animale, il calore che dà e la sua morbidezza potrebbero essere paragonabili alle caratteristiche dell’oggetto transizionale di Winnicott e quindi infondere sicurezza e conforto emotivo.
 
Altro concetto importante a questo proposito è quello indicato dalla teoria psicoanalitica della Psicologia del sé, secondo la quale nella relazione uomo-animale l’animale può essere considerato come un “oggetto sé”, un oggetto esterno che non è vissuto come separato o indipendente dal sé. Quando contribuisce a mantenere la coesione del senso di sé della persona, è qualcosa che la completa ed è necessario per il normale funzionamento. L’animale può quindi aumentare l’autostima della persona e il suo senso di coesione, può tranquillizzarlo, può farlo sentire apprezzato e amato, può fargli percepire la sensazione di essere profondamente legato a un altro essere.
 
Queste teorie, a prescindere dalle varie terminologie che vengono utilizzate, aiutano a riflettere e a comprendere perché alcune persone sono disponibili a rischiare la loro vita per salvare il proprio animale. E’ chiaro come in caso di catastrofi o altre situazioni di emergenza la sicurezza delle persone e quella degli animali sia profondamente intrecciata.
 
Gli aspetti da esaminare sono molteplici e spaziano dal considerare che i proprietari di animali si rifiutano di evacuare, all’occuparsi dei corpi dei molti animali che muoiono, al dove accogliere gli animali e alla loro gestione, alle implicazioni a livello di salute pubblica, all’impatto emotivo per la perdita degli animali, ai rischi che derivano dalla mancata evacuazione degli animali, ecc. Tutto ciò indicherebbe il proprietario di un animale come un fattore di rischio.
 
Da fattore di rischio a fattore positivo
In ogni caso, dal momento che ad oggi moltissime persone possiedono un animale domestico, si può argomentare che è più rischioso non inserire questo aspetto nei piani di emergenza, spostando quindi l’attenzione dal rischio derivante dal possedere un animale, al rischio di non aiutare i proprietari di animali a salvare se stessi e i loro pet.
 
Gli animali non sono poi meno importanti nella fase di post emergenza e di ricostruzione, anche per l’impatto che la loro perdita può avere sulle persone. L’impatto emotivo che la perdita di una persona causa in un’altra è ampiamente riconosciuto, ma anche la perdita di un animale può causare molto dolore e, se l’animale muore proprio durante un evento traumatico come un disastro naturale, l’impatto sul suo proprietario può essere travolgente. Inoltre, il fatto di essere stati magari costretti ad abbandonarlo o di non aver preso le necessarie misure di precauzione, può aumentare il livello di stress conseguente all’evento. I proprietari possono sperimentare profondo senso di colpa rispetto a ciò che provano, perché il dolore per la perdita di un animale non è riconosciuto a livello socio culturale così come il dolore che deriva dalla perdita di un essere umano.
 
Ciò è valido non solo per chi possiede animali da compagnia come cani o gatti, ma anche per gli agricoltori o gli allevatori che possono sperimentare molta sofferenza per la perdita del loro bestiame, al di là della perdita economica.
 
Non è da dimenticare che gli animali domestici ricoprono spesso un ruolo di particolare importanza proprio per quelle categorie di persone ritenute più vulnerabili e che lo diventano ancora di più in situazioni di emergenza, come i bambini, gli anziani, le persone disabili, le persone con problemi di salute mentale.
 
E’ riconosciuto che gli animali domestici possono contribuire positivamente al benessere di queste persone, perché offrono compagnia, sicurezza, danno assistenza pratica (specie nelle persone con disabilità), aiutano a limitare il senso di solitudine e di isolamento. Non sorprende quindi che di fronte a fenomeni come, per esempio, una catastrofe naturale, la percezione e le reazioni di queste persone possano venire influenzate dalla qualità del rapporto con i loro animali. L’animale può essere di aiuto in molte circostanze, per esempio può mettere in allerta la persona anziana se sente suonare la sirena di allarme, oppure può ricoprire un ruolo importante nella decisione di una persona anziana di evacuare la sua casa, se viene data la possibilità di portarlo con sé.
 
Separarsene invece può aumentare il livello di ansia, e la sua eventuale perdita può incrementare il rischio di disturbi da stress e aumentare il rischio di isolamento sociale non solo nelle persone anziane, ma anche nei bambini, nelle persone con disabilità, ecc.
 
Proprio la forza del legame con il proprio animale, può essere quindi un aspetto su cui concentrarsi per motivare le persone ad adottare comportamenti più adeguati e favorire quindi una maggior compliance con i soccorritori in situazioni di emergenza, a partire da quali canali di comunicazione vengono utilizzati per diffondere le informazioni necessarie, e con quali modalità. Per esempio, diffondere in maniera separata informazioni riguardanti la sicurezza delle persone e la sicurezza degli animali, può non essere così efficace. Integrare i due messaggi potrebbe essere più utile, in quanto trattando l’essere umano e il suo animale come qualcosa di inseparabile, si utilizzerebbe proprio la forza di questo legame sia in un’ottica di salute che di sicurezza. Il mezzo di comunicazione potrebbe assumere poi altre funzioni e non esclusivamente quella di diffondere informazioni, ma anche costituire una sorta di piattaforma attraverso la quale queste persone comunicano tra di loro, condividendo e sviluppando un senso di maggior coesione e quindi di collaborazione reciproca.
 
Il prendersi cura degli animali in situazioni di emergenza non può certamente avere la precedenza sul prendersi cura delle persone, ma per molte persone può facilitare il prendersi cura della propria sicurezza personale.
 
Lavorare su questo tema può rappresentare un’importante occasione di collaborazione tra gli organi ufficiali che si occupano della gestione delle emergenze e le organizzazioni che si occupano della tutela degli animali, condividendo principi, obiettivi e strategie.
 
La forza terapeutica dell’animale
Tutto ciò significa confermare quanto sia rilevante l’impatto che gli animali, e in particolare modo il cane, hanno sull’essere umano, con effetti positivi a livello fisiologico e psicosociale. L’utilizzo del cane a fini terapeutici risale al tempo degli Egizi, dei Greci e dei Romani. Abbandonato per anni, è stato recuperato grazie agli sforzi di William Tuke, un mercante quacchero che nel 18 secolo in Inghilterra raccolse fondi per aprire lo York Retreat, una struttura per persone con disturbi mentali, rivoluzionaria rispetto alle tradizionali cure che venivano utilizzate in quegli anni. Nel 19° secolo presso il Bethel Institution in Germania gli animali vennero coinvolti nel trattamento delle persone con epilessia. E ancora, Florence Nightingale, considerata la fondatrice dell'assistenza infermieristica moderna, amante dei gatti, ne raccomandò sempre gli effetti positivi sugli ammalati cronici.
 
Il primo documento circa l’utilizzo terapeutico degli animali risale infine alla seconda guerra mondiale, quando vennero coinvolti a supporto dei membri ricoverati in ospedale della Army Air Corp, la forza aerea degli Stati Uniti d'America, per ciò che a quei tempi veniva chiamata “operational fatige” e che al giorno d’oggi viene chiamato Disturbo da Stress Post traumatico. Sicuramente però in un percorso di riconoscimento ufficiale il ruolo principale è occupato da Boris Levinson, psichiatra infantile, che enunciò per la prima volta, intorno al 1960, le sue teorie sui benefici della compagnia degli animali, che egli stesso applicò nella cura dei suoi pazienti.
 
Nel 1981, a Portland, in Oregon, Stati Uniti, viene fondata la Delta Society, l’organizzazione che si occupa di studiare gli effetti terapeutici legati alla compagnia degli animali e che, rispetto al termine che più comunemente viene usato, pet therapy, portò molta chiarezza in questo campo, distinguendo tra AAA, ovvero Animal Assisted Activity, e AAT, ovvero Animal Assisted Therapy. Le prime indicano le Attività Assistite dagli Animali che consistono in interventi di tipo educativo-ricreativo e di supporto psico-relazionale, finalizzati al miglioramento della qualità di vita di varie categorie di persone (bambini, soggetti portatori di handicap, pazienti ospedalizzati, pazienti psichiatrici, anziani, detenuti) e realizzati mediante animali in possesso di adeguate caratteristiche.
 
Le AAT sono invece interventi individualizzati sul paziente, utilizzati a supporto delle terapie tradizionali (e pertanto definite co-terapie), per la cura della patologia di cui egli è affetto. Sono finalizzate al miglioramento di disturbi della sfera fisica, motoria, cognitiva o emotiva, di esiti di patologie e di disturbi emozionali o psicologici. Sono progettate con precisi obbiettivi, richiedono specifici indicatori di efficacia e sono praticate mediante animali appositamente educati o addestrati.
 
Non solo Pet therapy
Anche attraverso i mass media oggi si parla molto di Pet therapy, alle volte ancora in maniera poco precisa. Interventi di questo tipo richiedono invece un grande impegno, grande preparazione, specifiche competenze, grande capacità da parte delle varie figure professionali coinvolte, come educatori cinofili, conduttori, psicologi, medici, di lavorare in team in un’ottica interdisciplinare.
 
E forse non tante persone sono a conoscenza che in molti eventi quali per esempio catastrofi e attacchi terroristici sono intervenute squadre specializzate con cani addestrati.
19 aprile 1995, Oklahoma City, attacco terroristico contro l'edificio federale Alfred P. Murrah, in cui morirono 168 persone (tra cui 19 bambini) e ne rimasero ferite 680. Alla richiesta della Federal Emergency Management Agency, la TDI, conosciuta formalmente come Therapy Dogs International, inviò 20 squadre composte da conduttori cinofili accompagnati dai loro cani, per dare supporto ai soccorritori, alle vittime e alle loro famiglie.
 
21 maggio 1998, a Springfield, Oregon, presso il liceo Thurston: uno studente di 15 anni uccide i propri genitori, quindi si reca nella sua scuola con un fucile semiautomatico, una pistola e un paio di coltelli e spara contro un gruppo di studenti e insegnanti in un'affollata caffetteria. Due studenti restano uccisi e altri 22 feriti.
 
In questa occasione la Delta Society inviò due squadre sempre composte da cani addestrati. Da questa esperienza si ricavarono risultati e dati molto importanti circa gli effetti a lungo termine di questo tipo di intervento, che permisero di definire quello specifico settore denominato AACR, ossia Animal-Assisted Crises Response.
 
Cindy Ehlers, che faceva parte di una delle squadre intervenute, fondò HOPE Pets, un’organizzazione altamente specializzata che dispone di squadre con cani addestrati per intervenire specificatamente in situazioni di crisi e di disastri.
 
Nel settembre del 2001 su richiesta della Croce Rossa Americana Cindy Ehlers e altre tre squadre, per due settimane, 12 ore al giorno, camminarono con i loro cani lungo il perimetro del Ground Zero per dare supporto ai vigili del fuoco e agli altri soccorritori impegnati nella ricerca dei corpi delle vittime, e visitarono i centri di accoglienza dove i componenti di tante famiglie erano in attesa di avere informazioni sui loro cari dispersi.
 
Circa l’appropriatezza dell’utilizzo degli animali in queste situazioni si è arrivati a concordare che gli animali aiutarono a costruire un ponte relazionale tra le vittime, i soccorritori e i professionisti della salute, simboleggiarono quelle qualità che le persone in quel momento volevano possedere, come speranza, coraggio, forza, permettevano di esprimere in maniera indiretta le loro emozioni e i loro vissuti, normalizzavano la situazione aiutando vittime e soccorritori a recuperare un contatto con la loro vita al di fuori di quella situazione.
 
Altra data importante è il dicembre del 2007, quando l’argomento principale di una consultazione tra il Behavioral Health Division e il US Army Veterinary Command fu l’approvazione dell’impiego di 2 cani all’interno delle squadre COSC, ossia Combat and Operational Stress Control, squadre della US Army attive dal 1992, il cui compito è intervenire a favore dei soldati direttamente nelle zone di guerra.
 
Prestare maggior attenzione al ruolo che gli animali, specialmente cani e gatti, ricoprono nella vita delle persone può essere quindi un modo per motivare maggiormente all’adozione di comportamenti adeguati durante le situazioni di emergenza, può aumentare la resilienza, può fornire sostegno prima, e dopo l’evento critico. Ma il loro ruolo può essere molto importante anche durante l’evento, per le vittime e per i soccorritori, aiutandoli e supportandoli sotto molti punti di vista.
 
Senza nulla togliere a chi ama i gatti, scrivendo questo articolo è stato rivolto un pensiero particolare al cane, a quello che viene chiamato il miglior amico dell’uomo.
 
 




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