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Le situazioni e i comportamenti pericolosi in cantiere

Le situazioni e i comportamenti pericolosi in cantiere
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Edilizia

07/12/2017

Quali le situazioni ed i comportamenti che molto spesso sono causa principali degli infortuni che avvengono in cantiere? Che tipo di interventi si dovrebbero attuare per limitare nelle dimensioni il fenomeno.


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L'attuale situazione

Il Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008 sposta l'impegno prevenzionale a monte della fase di esecuzione dei lavori. Pertanto, estremamente importante risulta l'opera del coordinatore della sicurezza per la progettazione (CSP) che, effettuando un'accurata ricerca prevenzionale in fase progettuale, è in grado di intervenire eliminando i rischi, ove possibile, o riducendoli al minimo o, ancora, programmando la prevenzione, sostituendo ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o lo è meno, ecc., il tutto secondo quanto previsto dalle misure generali di tutela dell'art. 15 del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Altrettanto importante, però, risulta l'opera del coordinatore della sicurezza per l'esecuzione (CSE); costui è il soggetto incaricato, principalmente, della verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, dell'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e della corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.

 

Tra questi compiti, anche se non chiaramente specificato dal D. Lgs. n° 81/2008, rientra la verifica dell'avvenuta attuazione dell'attività informativa e formativa del personale posto alle dipendenze dei datori di lavoro delle imprese incaricate di eseguire l'opera, fermo restando il fatto che la verifica dell’efficacia dell formazione è obbligo proprio del datore di lavoro (vedasi anche Cassazione Penale, Sez. IV, 4 luglio 2016, n. 27165).

 

Questo tipo di attività, fondamentale per la concreta applicazione, durante l'esecuzione dell'opera, di quanto contenuto nei piani di sicurezza (coordinamento e operativi), è spesso disattesa dalle imprese o, nel migliore dei casi effettuata con approssimazione e superficialità e senza esaminare con la dovuta attenzione alcuni importantissimi fattori che, quasi sempre, sono all'origine di situazioni e comportamenti pericolosi aventi un'elevata potenzialità di concretizzarsi in gravi infortuni; tutto ciò, ovviamente, porta all'impossibilità di definire chiaramente le necessarie azioni correttive e spesso rende inefficace l’attività dei coordinatori per la sicurezza.

 

Pertanto, si ritiene utile fornire, ai coordinatori, almeno una panoramica  riguardante i meccanismi che molto spesso sono causa principali degli infortuni che avvengono in cantiere.

 

L'approccio prevalente

Fino ad oggi, ed è innegabile, quando si andava a spiegare il perchè degli infortuni, quasi sempre si finiva con l'attribuire la causa dello stesso al comportamento (manomissione protezioni contro le cadute dall’alto, mancato uso DPI, ecc.) di uno o più lavoratori presenti in cantiere e tutto ciò nonostante la concreta adozione delle necessarie misure di sicurezza.

 

Di fronte a queste affermazioni gli interventi quasi sempre proposti dagli addetti ai lavori si risolvevano nella richiesta d'adozione di norme più restrittive, nuove procedure tecniche, specifici ordini di servizio, lettere di richiamo, multe, interventi sulle attrezzature di lavoro per renderle a prova di pazzo e così via. In altri termini, si attribuiva, correttamente, al comportamento del personale le cause di un infortunio, ma stranamente non veniva mai proposto nulla che mirasse a modificare i comportamenti motivando i lavoratori alla sicurezza, aumentandone la capacità di percepire i rischi presenti in cantiere e, soprattutto, favorendo lo sviluppo di comportamenti adeguati per far fronte a tali rischi.

Ancor oggi, dunque, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nella pubblica opinione, permane, nei confronti degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, un atteggiamento fatalista secondo cui questi fenomeni, aventi ricadute negative in campo economico e sociale, non sono altro che il prezzo inevitabile da pagare per produrre. Quest'approccio permane ormai da decenni, e non solo nel settore delle Costruzioni; ciò è frutto di una concezione da normotecnoburosauri, secondo la quale la sicurezza e la tutela della salute non è e non deve essere altro che il rigido adempimento di norme di legge e di procedure tecniche. D'altra parte, tutte le ricerche condotte negli ultimi anni dimostrano l'importanza del fatto che, per prevenire il verificarsi degli eventi lesivi durante il lavoro, bisogna intervenire sui due punti fondamentali del problema e cioè sugli gli ambienti fisici e tecnologici e sui quasi sempre dimenticati ambienti sociali, giungendo, se necessario, alla loro completa riprogettazione.

 

Infatti, gli infortuni così come le inefficienze e le disfunzioni organizzative non sono altro che la conseguenza delle incongruenze presenti tra le esigenze di sviluppo umano poste da coloro che lavorano e la realtà della struttura aziendale. Siamo di fronte ad un problema che deve essere affrontato senza attribuire agli aspetti tecnico-normativi la prevalenza su quelli soggettivi e organizzativi o viceversa, ma che deve, invece, per avere probabilità di successo, abbracciare tutte le dimensioni, oggettive, organizzative e soggettive, del fenomeno, stabilendo così una reciproca relazione tra i diversi approcci.

 

Nel seguito di questo contributo verranno affrontati alcuni interessanti aspetti, utilizzando, come esempi, alcune ricorrenti situazioni lavorative evidenziando così l'importanza dell'approccio interdisciplinare allo studio delle problematiche della sicurezza sul lavoro.

 

Le situazioni ed i comportamenti pericolosi

Qualunque operatore, durante la propria attività in cantiere, affronta delle situazioni che, nella maggioranza dei casi, possono essere definite normali; alcune volte, queste normali situazioni, possono evolversi in modo ben diverso da quelle che erano le aspettative iniziali. Pertanto, qualunque normale situazione lavorativa può negativamente evolversi in una situazione pericolosa.

 

Ad esempio, un operaio neoassunto anche se dotato del suo formale bagaglio di corsi di formazione, dipendente di una ditta che effettua normalmente manutenzioni e ristrutturazioni, deve procedere, con i colleghi, al rifacimento di una porzione del tetto di una palazzina resosi necessario dopo un'abbondante nevicata. Questa è una situazione potenzialmente pericolosa, per il neoassunto, perchè il lavoro viene effettuato a notevole altezza; egli lavora per la prima volta su un tetto e non conosce tutte le regole pratiche per lavorare in altezza. Inoltre, non è in grado di adeguarsi al ritmo di lavoro dei colleghi più esperti che, comunque, lo incitano a mantenere il loro ritmo. Per i lavori sul tetto della palazzina, pur se prevista dal coordinatore per la progettazione nel piano di sicurezza e coordinamento, risulta organizzativamente e tecnicamente  faticoso utilizzare una linea vita per l'uso delle cinture di sicurezza durante il montaggio del ponteggio perimetrale che consenta di muoversi con tranquillità e rapidità tale da far fronte alle richieste dei colleghi esperti che, spesso, non utilizzano le cinture di sicurezza durante il montaggio del ponteggio. Infine, le condizioni atmosferiche possono condizionare fortemente il lavoro e quindi l'incolumità dei lavoratori (pioggia,vento, gelo, ecc.).

La prima considerazione che si può fare è che l'aspetto oggettivo del pericolo (lavoro in altezza) non è mai del tutto eliminabile, nè con la ricerca prevenzionale in fase progettuale effettuata dal coordinatore per la progettazione, nè con gli apprestamenti  (ponteggi) e le linee vita e le cinture di sicurezza; questi, infatti, diminuiscono il pericolo ma non lo eliminano completamente.

 

La seconda considerazione riguarda la necessità, per il personale, di adottare comportamenti sicuri, per tutelarsi realmente dai pericoli per i quali le protezioni di tipo tecnico non sono sufficienti.

 

La terza considerazione ci porta a constatare che un comportamento pericoloso può rendere superflua qualsivoglia misura, procedura, norma, ecc., di tipo tecnico-procedurale, adottata per tutelare l'integrità psicofisica del personale stesso.

Visto che, obiettivamente, non è possibile evitare che il neo assunto vada sul tetto a lavorare, bisogna specificatamente istruirlo ed addestrarlo. L'istruzione e l'addestramento del solo neoassunto però non basta, in quanto è necessario eliminare anche il comportamento potenzialmente pericoloso dei colleghi più esperti. Quindi, per ridurre il rischio di infortunio, non resta che intervenire e istruire e sensibilizzare tutti i lavoratori, ed in particolare il neoassunto, a lavorare in sicurezza, cercando, nel contempo, di renderli tutti il più possibile consapevoli del problema.

 

Il rischio

Nell'esempio citato precedentemente, un lavoratore che cammini su di un tetto, a parecchi metri dal terreno, reso scivoloso dalle condizioni atmosferiche e che sia stato preventivamente informato del rischio esistente, potrà ridurre con un'appropriata percezione della situazione, la reale pericolosità insita nella situazione stessa. Questa percezione della pericolosità non è altro che il rischio presente in quella particolare situazione lavorativa. Si può, dunque, tranquillamente affermare che la probabilità del verificarsi di un infortunio è funzione sia della reale pericolosità insita nella particolare situazione lavorativa, sia nella percezione che il soggetto ha di questa pericolosità.

Per chiarire i concetti appena enunciati si può utilizzare un altro esempio.

Per l'esecuzione di un parcheggio interrato in pieno centro cittadino, una volta eseguita la paratia perimetrale, è necessario procedere con le progressive operazioni di scavo e trasporto a discarica del materiale di risulta. Per accedere allo scavo è stata realizzata una rampa d'accesso costituita da due tratti in pendenza con una curva a gomito. Le lavorazioni di scavo sono state affidate ad una ditta specializzata che utilizza escavatori e camion per il movimento terra.

 

Lo spostamento dei camion sulla rampa rappresenta, visto dall'esterno, una situazione pericolosa; per gli autisti, invece, è, quasi sempre, una situazione normale, vista la quotidianità del loro lavoro.

 

A questo punto è però opportuno fare alcune riflessioni.

La rampa d'accesso allo scavo è uguale per tutti gli autisti che la utilizzano, ma è anche vero che non tutti i conduttori dei camion percepiscono, allo stesso modo, la situazione pericolosa. Infatti è possibile trovare, insieme al guidatore con una percezione adeguata della pericolosità, anche il conducente che tenda a esagerare la percezione di pericolosità, magari perchè si tratta di un neo autista che ha appena finito la BF del servizio militare dove ha conseguito la patente per i mezzi pesanti, con la quale ha trovato lavoro presso l'impresa; accanto a questi due soggetti è possibile trovare un conducente che abbia una percezione limitata e che, magari, guidi il mezzo come se si trovasse a concorrere come pilota della Parigi-Dakar nella categoria dei mezzi pesanti.

 

Naturalmente, dei tre autisti, nella realtà, quello più preoccupato del pericolo rampa sarà il soggetto ipervalutativo; infatti egli tenderà a sopravvalutare il pericolo, a differenza del pilota che considererà la rampa allo stesso modo di un percorso in piano. L'autista con una percezione adeguata, invece, valuterà il pericolo rampa in modo ancora diverso, senza sopravvalutarlo nè sottovalutarlo.

 

In definitiva, applicando l'esempio ad un contesto più generale, persone diverse, a prescindere dalla loro esperienza, poste di fronte alla stessa situazione di pericolo, corrono rischi diversi nell'affrontarlo.

 

In edilizia, purtroppo, sono molti i lavoratori che si considerano dei super esperti e che affrontano con superficialità i rischi, convinti di potersi misurare con essi e controllarli con facilità, incorrendo, così, in gravi infortuni.

Non bisogna, però, dimenticare un altro aspetto del problema.

 

Non basta che un lavoratore conosca il pericolo perchè se ne allontani automaticamente, in quanto, non sempre egli tende ad allontanare il pericolo evitando il senso di rischio che il pericolo provoca. Infatti, anche se dalle considerazioni precedenti si è portati a pensare che chi non conosca il pericolo (autista neoassunto), tenda a affrontare la rampa con cautela per evitare di andare incontro ad un incidente, ciò non sempre è vero. In cantiere può capitare di vedere anche una persona inesperta che, invece di condurre il mezzo con circospezione, guidi il camion come se fosse un pilota di rally e ciò nonostante questa persona non possieda l'esperienza necessaria. Si è di fronte ad un altro aspetto del problema e cioè quella che viene chiamata tendenza al rischio. Dunque, accanto a persone equilibrate che assumono dei rischi valutandoli preventivamente, coesistono, da una parte, individui che hanno paura di affrontare situazioni lavorative banali in cui il rischio è molto basso e, dall'altra, soggetti che non si prendono minimamente la briga di valutare i rischi e li affrontano con superficialità, compromettendo così la propria e l'altrui sicurezza.

 

Dunque il rischio, cioè la percezione del pericolo, in alcuni individui, provoca, anche se sembra assurdo, delle situazioni piacevoli, in quanto, permette loro di assumere importanza, validità ed originalità. Ciò deriva dal fatto che, sia il rischio che la capacità di superare i pericoli di vario tipo senza conseguenze dannose, è alla base di quasi tutte le iniziative umane.

 

Il nocciolo del problema è proprio quello di tenerne conto in modo che questa voglia di misurarsi con il rischio, venga provata solo in altre situazioni in cui l'oggetto del pericolo e del conseguente rischio non sia costituito dall'integrità fisica degli stessi individui.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

Per proseguire l’approfondimento nei prossimi giorni verrà pubblicato un articolo sul legame tra la percezione del pericolo e la tendenza al rischio.



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