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Come migliorare la sicurezza di chi lavora in zone a rischio geopolitico

Come migliorare la sicurezza di chi lavora in zone a rischio geopolitico
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Criminalità

30/10/2017

Un contributo si sofferma sul tema della sicurezza, con particolare riferimento ai ricercatori universitari, di chi lavora in zone a rischio geopolitico. Cosa fare per aiutare e proteggere chi opera in questi paesi?

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Formazione e informazione generale dei lavoratori sulla sicurezza e salute sul lavoro

 

Trieste, 30 Ott – Viviamo in un’epoca di rilevanti cambiamenti a livello politico, economico e sociale, con equilibri che, rispetto al passato, stanno cambiando rapidamente. E nel mondo, le cose “precipitano in modo davvero inquietante”: “guerre, diritti violati, persecuzioni, dittature più o meno dichiarate, califfati islamici, terrorismo diffuso, milioni di disperati che fuggono cercando una nuova casa, nuove imponenti migrazioni di massa globali, sfruttamenti di ogni tipo, diseguaglianze a ogni livello”.

In questa situazione cosa fare per aiutare e proteggere chi dedica la propria vita alla ricerca e al lavoro in Paesi a rischio?

 

A fare questa domanda è Stefano Polli (Vice Direttore ANSA) nella prefazione del volume “La sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico. Cos’è la normalità tra intelligence e terrorismo?”, curato da Giorgio Sclip (Curatore della collana “SicurezzAccessibile”, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Un volume che raccoglie i contributi della giornata di studio “La sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico” (Università degli Studi di Trieste) e che è dedicato alla memoria di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto nel 2016 mentre stava conducendo una ricerca sui sindacati indipendenti.

 

Per dare qualche risposta alle domande presentate a inizio articolo, ci soffermiamo in particolare sull’intervento “Lavoratori e i rischi geopolitici: quali domande, quali risposte?”, a cura di Giorgio Sclip, che sottolinea come il “sapere di potersi muovere in sicurezza, o sapere come muoversi in sicurezza” sia un “punto cruciale e irrinunciabile per un ricercatore inviato in una zona a rischio, così come lo è anche per l’Ateneo per cui lavora”.

E c’è una estrema complessità di fondo per le attività di questi ricercatori: “alcune attività possono venire sospese se le condizioni di contorno non danno sufficienti garanzie (si pensi ad esempio ad un cantiere archeologico, una campagna geologica o opere di ingegneria in un paese dove l’instabilità diventi con evidenza fonte di preoccupazione), mentre in altre attività (si pensi a ricerche sulla difesa e la violazione dei diritti umani) il rischio è meno evidente e oggettivo, oltre che difficilmente inscindibile dal contesto”.

 

Il relatore si chiede quali siano le domande che è necessario porsi prima di partire.

 

Infatti bisogna porsi alcune domande cruciali, che aiutino a “determinare le condizioni entro le quali è possibile operare in sicurezza:

- quanto si può ignorare l’esistenza di possibili pericoli, talvolta solo ipotizzabili, altre volte imprevedibili?

- qual è e come si individua il limite oltre il quale nulla è garantito?

- chi deve adoperarsi per individuare questo limite?

- quali sono i rischi individuabili a priori e come si può lavorare per renderli accettabili?

- come è possibile aumentare il livello di sicurezza, seppure a distanza, di giovani ricercatori, nel rispetto della loro autonomia decisionale?”.

 

Se chi si occupa di sicurezza sul lavoro sa che bisogna prevenire i rischi ragionevolmente prevedibili, in questo contesto che significato assume questo concetto? È infatti evidente che in alcune attività, “come sanno bene i corrispondenti di zone di guerra”, il rischio “non è mai pienamente valutabile o ipotizzabile, per cui sarà ineliminabile un elemento residuo di imprevedibilità”.

E se “non può esserci immediata e diretta correlazione fra il lavoro di ricerca condotta sul campo dai giovani ricercatori e le responsabilità dei loro supervisori”, qualcosa “di più, di certo, si può fare e si deve fare”.

 

È difficile – continua il relatore – dare “risposte certe ed univoche al problema”.

Tuttavia la strada “non può che essere quella di una prevenzione del rischio proattiva, che parta da un’attenta analisi del contesto in cui il ricercatore svolgerà la propria trasferta, e dalla messa in atto di una serie di azioni di prevenzione per creare una rete di sicurezza intorno al lavoratore”.

Ad esempio è di fondamentale importanza “conoscere il paese in cui ci si deve recare. Le caratteristiche che lo rendono pericoloso sono principalmente il contesto in cui ci si trova: la povertà e le tensioni religiose o etniche, lo stato delle infrastrutture, la debolezza del controllo del governo centrale e forze di sicurezza poco efficaci”.

Ed è necessario che tutte le persone inviate per lavorare in zone a rischio “siano a conoscenza di situazioni, modalità comportamentali ma anche processi da mettere in atto in viaggio e nei periodi permanenza, oltre che come misura di prevenzione per l’individuazione di strategie di uscita in possibili situazioni problematiche”.

 

Nella relazione vengono presentati alcuni accorgimenti possibili per migliorare la sicurezza di queste persone, con particolare riferimento al lavoro dei ricercatori universitari:

- “un processo continuo di valutazione e monitoraggio del rischio che porti a verificare e comprendere preventivamente il contesto nel quale il ricercatore verrà a trovarsi nel corso della sua permanenza all’estero, utilizzando le fonti d’informazione disponibili” (ad esempio si segnala uno specifico sito per reperire informazioni, conoscere i principali rischi nelle diverse aree del mondo e registrarsi al fine di poter essere rintracciati in circostanze di particolare gravità e consentire i soccorsi). Questa attività di valutazione e monitoraggio è un “supporto fondamentale, sia per chi svolge ricerche delicate in aree a rischio geopolitico, sia per chi le indirizza e le coordina, sia prima della partenza che durante il soggiorno, attraverso contatti costanti e un uso mirato del web. La valutazione del rischio deve essere basata sui dati disponibili relativi al contesto, ma adeguatamente personalizzata sulla base delle condizioni in cui si opera e sulla specifica attività prevista;

- pianificare attività di ricerca che prevedano, se possibile, il coinvolgimento e la partecipazione non di un singolo ma di un gruppo di lavoro; se questo è costituito da almeno un uomo e una donna, è possibile valutare, a partire da prospettive e sensibilità diverse, ma complementari, contesti rischiosi, evitando di creare situazioni o di assumere atteggiamenti che possano risultare pericolosi o creare sospetti;

- far rientrare i ricercatori in attività condotte da associazioni non governative o in interventi di cooperazione internazionale, in modo tale da avere una più ampia protezione di gruppo;

- individuare, a diverso titolo, persone fidate di riferimento e di appoggio sul posto, che possano aiutare a gestire situazioni pericolose. Ad esempio anche le Università possono contattare le rappresentanze diplomatiche locali, qualora sulla base di segnalazioni emerga che i ricercatori possano essere potenzialmente o realmente in pericolo, a causa di eventi anomali, quali minacce, pedinamenti, perlustrazioni o altro. In questi casi è necessario intervenire con procedure sistematiche da predisporre chiedendo la difesa consolare, attivando reti di protezione alternative o altri tipi d’intervento, in un quadro di certezza operativa e non di estemporaneità;

- comunicare gli spostamenti al servizio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ‘ dove siamo nel mondo.it’ che consente agli italiani che si recano temporaneamente all’estero di segnalare - su base volontaria - i dati personali, al fine di pianificare con maggiore rapidità e precisione interventi di soccorso. In circostanze di particolare gravità è evidente l’importanza di essere rintracciati con la massima tempestività consentita e - se necessario – soccorsi”.

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del volume che propone, riguardo alle prospettive future, una connessione “tra conoscenze e strategie già in possesso e abitualmente utilizzate da varie e diverse organizzazioni”, una condivisione che può risultare “estremamente utile e importante per contribuire a costruire una cultura, anche in questo particolare ambito”, e costituire una “base di riferimento per chi, per lavoro o studio, debba recarsi per lavoro in zone a rischio geopolitico”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

La sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico. Cos’è la normalità tra intelligence e terrorismo?”, volume curato da Giorgio Sclip (Curatore della collana “SicurezzAccessibile”, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro,  – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste, correlato alla collana “SicurezzAccessibile” e alla giornata di studio “La sicurezza sul lavoro dei ricercatori in zone a rischio geopolitico” (formato PDF, 5.55 MB).



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