Quali sono le criticità in materia di sicurezza e cosa ci insegna la pandemia?
Brescia, 10 Nov – Nei giorni scorsi il nostro giornale ha scelto di soffermarsi sul III Rapporto sulla Salute e sulla Sicurezza nei luoghi di Lavoro, elaborato dall’Associazione ANMIL, per offrire, anche in questo periodo invaso dalle questioni legate all’emergenza COVID-19, utili riflessioni sulla situazione generale delle tutele nei luoghi di lavoro. Riflessioni che si basano sui tanti dati raccolti dal Rapporto e che mostrano, insieme, quanto si è fatto e quanto ancora si deve fare per migliorare le tutele.
Dopo avere intervistato il presidente ANMIL Zoello Forni (“ Le lacune da colmare per migliorare le tutele in materia di sicurezza”) che ci ha fornito un quadro generale del Rapporto e della situazione attuale, veniamo ad una nuova intervista che, sempre partendo dal Rapporto, ci permetta di entrare più nel dettaglio delle criticità e di parlare anche di quanto è cambiato, sta cambiando e potrebbe cambiare nei luoghi di lavoro a causa dell’emergenza sanitaria.
L’intervista che presentiamo oggi è all’ Avv. Maria Giovannone, Responsabile scientifico Ufficio Salute e Sicurezza ANMIL Onlus e consulente in materia di salute e sicurezza su lavoro e modelli di organizzazione.
Con Maria Giovannone ci soffermiamo su alcuni focus tematici e su alcune criticità del nostro paese:
- cosa emerge a livello nazionale? Quali sono le assenze più evidenti a livello normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro?
- quali sono i più recenti provvedimenti significativi europei in materia di sicurezza e lavoro?
- come migliorare in Italia la sicurezza nella catena degli appalti? Cosa si è fatto e cosa si deve fare a livello normativo?
Con riferimento ai temi correlati all’emergenza COVID-19 e continuando un discorso già iniziato mesi fa in alcune interviste per il nostro giornale, ci soffermiamo poi sull’impatto del nuovo coronavirus sul mondo della prevenzione in Italia e nel mondo:
- in relazione al virus SARS-CoV-2 quali sono stati i differenti approcci d’intervento nel mondo?
- in Italia la normativa emergenziale è riuscita a trovare il giusto equilibro tra i diversi valori costituzionali?
- la pandemia cosa ci insegna in termini di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori?
Questi gli argomenti affrontati nell’intervista:
- Le lacune normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro
- Le novità normative europee e i problemi italiani della sicurezza negli appalti
- I diversi interventi nel mondo per affrontare l’emergenza COVID-19
- Normativa COVID-19: il difficile bilanciamento tra i valori costituzionali
- Cosa insegna la pandemia in termini di tutela di salute e sicurezza dei lavoratori?
Le lacune normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro
In qualità di Responsabile Ufficio Salute e Sicurezza dell’Associazione ANMIL, Lei ha presentato il 16 ottobre il 3° Rapporto sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel nostro giornale abbiamo già raccontato, in linea generale, il Rapporto, ma con Lei vorremmo fare un approfondimento di alcune delle tematiche più significative che emergono. A suo parere, cosa emerge a livello nazionale? Quali sono le assenze più evidenti a livello normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro?
Maria Giovannone: Nel contesto politico-istituzionale del 2019-2020, periodo di riferimento della terza edizione del Rapporto ANMIL, le urgenze legislative da affrontare sono sin da subito apparse numerose anche in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
In tal senso, le istituzioni hanno confermato l’impegno nella promozione delle politiche per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori attraverso il rafforzamento delle misure e degli strumenti di tutela e la valorizzazione del dialogo sociale. Il riferimento è, anzitutto, al Tavolo di confronto salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, istituito dal Ministro del Lavoro e dal Ministero della Salute, finalizzato ad avviare - in collaborazione con l’INAIL, l’INL, le parti sociali e, in generale, con tutti gli attori istituzionali della sicurezza sul lavoro - il Piano straordinario di prevenzione e sicurezza, inserito nel programma dell’attuale Governo. Tavolo a cui ANMIL auspica presto di prendere parte.
È tuttavia innegabile che l’attuale stato di emergenza sanitaria, causato dalla pandemia da Covid-19, abbia messo in seria difficoltà il sistema politico, economico e produttivo del nostro Paese, stravolgendo l’agenda del nostro Legislatore che ha dovuto fornire urgenti risposte ordinamentali attraverso una rapida e - a tratti alluvionale - produzione normativa e regolamentare, che ha inciso inevitabilmente anche sulle consuete regole di funzionamento della gestione degli adempimenti prevenzionistici sul posto di lavoro.
Più in particolare, la scelta legislativa è stata quella di adottare disposizioni normative speciali in materia prevenzionistica, finalizzate a contenere il contagio nei luoghi di lavoro, correlate dalla pubblicazione di linee guida, FAQ e circolari da parte dei Ministeri (prevalentemente, del Lavoro e della Salute), dell’INAIL, dell’Inps e dell’INL.
Ritengo tuttavia che, nonostante la repentina e corposa risposta legislativa attinente all’emergenza da Covid-19, restino ancora molti i nodi da sciogliere in tema di prevenzione del fenomeno infortunistico. A partire dalla necessità di individuare elementi di semplificazione degli adempimenti burocratici senza abbassare il livello di tutela, ma anzi garantendo più elevati standard di sicurezza; al miglioramento delle prestazioni riconosciute a seguito di infortunio o malattia professionale, passando dall’attuazione delle disposizioni del Testo Unico di Salute e Sicurezza sul lavoro ( d.lgs. n. 81/2008).
Come ho evidenziato in più occasioni, a dodici anni dall’emanazione del T.U., sono ancora molti i provvedimenti attuativi delle sue disposizioni in attesa di essere emanati, e alcuni riguardano materie anche di grande rilievo. Tra tutti, ad esempio, il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi disciplinato dall’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008, che continua a rimanere lettera morta per tutti quei settori ad alto tasso infortunistico, ovvero caratterizzati da forti complessità organizzative e da gravi fenomeni di concorrenza sleale.
Tra i provvedimenti del d.lgs. n. 81/2008 rimasti ancora sulla carta, emerge anche quello relativo all’attuazione dell’art. 52, a sostegno della pariteticità e della bilateralità. Parimenti, ravviso la stessa urgenza in relazione all’attuazione dell’art. 41 comma 4-bis del d.lgs. n. 81/2008 sulla disciplina della sorveglianza sanitaria speciale dei lavoratori; impellenza normativa, questa, spiegata dal dilagante utilizzo di sostanze psicotrope e stupefacenti nei luoghi di lavoro.
Sempre nell’ambito dell’attuazione della normativa, è importante riavviare il lavoro operativo della Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nella sua nuova composizione, considerato che, proprio per il fatto di rappresentare un’ampia varietà di attori, essa è in grado di svolgere un’attività di regolamentazione - o propedeutica alla emanazione di norme di legge – assai aderente alle esigenze di effettività e di organizzazione pratica della sicurezza.
Margini di miglioramento normativo sono altresì auspicabili sia in riferimento alle attività di sorveglianza sanitaria sia alle attività di formazione dei lavoratori che, sebbene opportunamente riformulata dagli accordi Stato-Regioni del 2011 e del 2016, presenta ancora eccessivi formalismi burocratici che per nulla giovano alla effettiva capacità di modificare positivamente i comportamenti delle persone.
È dunque possibile individuare prospettive di semplificazione, riordino e razionalizzazione delle disposizioni del T.U. In tal senso, né il decreto “del fare” (D.L. n. 69/2013), né le varie riforme del mercato del lavoro sembrano aver dato un contributo significativo all’auspicato processo di semplificazione e al conseguente innalzamento del livello di efficacia e di effettività delle tutele.
In questo contesto, la sicurezza sul lavoro è una priorità nazionale che il Governo deve affrontare, insieme alle parti sociali, con provvedimenti volti non solo a fronteggiare l’attuale stato di emergenza ma alla risoluzione di problematiche precedenti e che prescindono da esso.
Ciò, senza tralasciare l’importanza di migliorare le tutele prevenzionistiche cogliendo i bisogni di una società in continua evoluzione, nella quale il lavoro e il welfare giocano un ruolo cruciale nella realizzazione dell’individuo.
Le novità normative europee e i problemi italiani della sicurezza negli appalti
Quest’anno sono molti i temi che il Rapporto ha affrontato. Partiamo dall’approfondimento sulla digitalizzazione, sui lavori atipici e sulla conciliazione vita-lavoro. Cosa si è fatto quest’anno in Europa in materia di sicurezza e lavoro?
M.G.: Con particolare attenzione alle ‘nuove questioni’ che riguardano le tutele lavoristiche, è ormai chiaro che la legislazione sociale europea stia vivendo un revamp, a partire dalla proclamazione del Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017, seguendo le direttrici d’intervento meglio delineate, per il quinquennio 2019-2024, dalla Comunicazione della Commissione europea ‘Un’Europa sociale forte per transizioni giuste’ del 14 gennaio 2020; processo riformistico verso l’universalità delle tutele infra-europee che le istituzioni sovranazionali non sembrano intenzionate a trascurare durante la pandemia, così come ribadito dalla Commissione europea (COM(2020) 440 final).
In particolare, a riemergere è la funzione propria della normativa sociale europea, cioè il contemperamento tra esigenze di mercato e tutele sociali, soprattutto a fronte della crescente mobilità transnazionale di lavoratori e imprese nel Mercato Unico dell’UE, nonché dei più generali fenomeni migratori. Su questo presupposto, il Legislatore europeo ha intrapreso un cammino di aggiornamento della disciplina che stabilisce le tutele minime dei lavoratori europei, a fronte dei più recenti cambiamenti del mondo del lavoro.
In linea generale, l’attenzione all’armonizzazione delle tutele sociali a livello europeo ha condotto il Legislatore sovra-nazionale alla adozione di alcuni importanti atti legislativi a tutela dei lavoratori nell’economia 4.0, con lo scopo di incentivare l’occupazione, la qualità lavorativa e la protezione sociale. Nel dettaglio, sono molte le novità legislative passate in rassegna nel nostro Rapporto: la direttiva (UE) 2018/957 sul distacco dei lavoratori; il regolamento (UE) 2019/1149 sulla istituzione dell’Autorità europea del lavoro (European Labour Authority – ELA); la direttiva (UE) 2019/1152 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili; la direttiva (UE) 2019/1158 sulla maggiore conciliazione vita-lavoro; la direttiva (UE) 2019/1937 sulla tutela dei whisterblowers; la raccomandazione del Consiglio dell’8 novembre 2019 sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi (2019/C 387/01).
Ciò, ovviamente, senza tralasciare la legislazione europea settoriale in materia di sicurezza sul lavoro, soprattutto in ambito di sostanze pericolose, che annovera tra gli esempi più recenti: la nuova direttiva (UE) 2019/1831, che ha stabilito il quinto elenco di valori limite indicativi di esposizione professionale; i numerosi interventi legislativi in modifica del regolamento REACH; la conclusione del processo di revisione della direttiva 2004/37/CE sulle sostanze cancerogene e mutagene; gli adeguamenti tecnici al regolamento CLP; gli intervento in materia di agenti biologici, Pop (inquinanti organici persistenti) e apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE).
Così come, in una ratio di integrazione funzionale tra le normative settoriali, non possiamo non citare la direttiva (UE) 2019/2121 sulle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere, parte del c.d. company law package, finalizzata a contrastare la proliferazione delle società di comodo, ma anche le disposizioni in materia di tutela dei lavoratori nel settore dei trasporti, contenute all’interno dei più recenti atti legislativi sulla sicurezza dei trasporti su strada, aereo, ferroviario e marittimo, analizzate in specifici capitoli del Rapporto.
Tra gli interventi infra-settoriali è altresì da annoverare la direttiva (UE) 2019/1023 che attende di essere recepita nell’ordinamento nazionale. La direttiva in parola, in particolare, dispone obblighi di informazione e consultazione per l’aggiornamento dei lavoratori e delle loro rappresentanze sulla evoluzione della situazione economica dell’imprenditore-datore, nonché l’obbligo del loro coinvolgimento durante le procedure di ristrutturazione del debito. Proprio su questo aspetto, tra l’altro, le parti sociali europee hanno messo in evidenza la necessità di recepire la direttiva per rafforzare il coinvolgimento dei lavoratori nelle procedure di ristrutturazione d’impresa e d’insolvenza avviate in conseguenza della crisi economica cagionata dalla pandemia da Covid-19.
Ancora in fase di discussione sono poi ulteriori interventi legislativi e non legislativi, tra cui spiccano la stagnante proposta di regolamento sulla sicurezza sociale finalizzata al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale per i cittadini mobili dell’UE (COM (2016) 815 final) e la più fortunata proposta di azione sugli standard minimi salariali, la cui seconda fase di consultazione è stata lanciata il 3 giugno 2020, in piena pandemia. Certamente, i progressi del Legislatore europeo su questi temi saranno analizzati nel prossimo Rapporto.
Nella quarta sezione del Rapporto è proposta un’analisi delle principali novità che hanno riguardato alcuni specifici ambiti e settori di attività, spesso problematici per quanto riguarda anche le tutele della salute e sicurezza dei lavoratori: appalti, trasporti e settore marittimo. In particolare, cosa ritiene sia necessario cambiare in Italia per migliorare la sicurezza nella catena degli appalti?
M.G.: Come analizzato nel capitolo VII del Rapporto ANMIL 2020, il Legislatore, a partire dalla fine del 2018, ha emanato diversi provvedimenti recanti disposizioni che hanno previsto modifiche al Codice degli Appalti pubblici ( d.lgs. n. 50/2016) - già ampiamente modificato con il c.d. decreto correttivo n. 56/2017 - al fine di superare le numerose incertezze interpretative emerse dalla sua entrata in vigore.
Il riferimento è – in ordine cronologico - al c.d. decreto Semplificazioni (decreto legge n. 135/2018, convertito nella legge n. 12/2019), alla legge di Bilancio 2019 (legge n. 145/2018), al c.d. decreto Sicurezza (decreto legge n. 113/2018, convertito nella legge n. 132/2018), al c.d. decreto Sblocca Cantieri (decreto legge n. 32/2019), alla legge europea 2018 (legge n. 37/2019), per finire con il DL n. 76 del 16 luglio 2020 (convertito con modifiche dalla legge 11 settembre 2020 n. 120) emanato durante la “Fase 3” della pandemia da Covid -19.
Tali modifiche non hanno però impattato come speravo la materia della salute e sicurezza sul lavoro, nei confronti della quale il Codice degli Appalti purtroppo continua a peccare di importanti omissioni.
Anzi, i risvolti pratici delle novità introdotte soprattutto dal Decreto Sbocca Cantieri sono negativi in termini di prevenzione.
Il Decreto Sbocca Cantieri, in effetti, ha segnato un ritorno al passato alle pratiche che mettono a rischio la sicurezza sul lavoro. Si è tornati infatti ai commissari speciali, agli appalti in deroga e soprattutto al massimo ribasso che genera chiari problemi. Del resto, la stessa legge delega n. 123/2007 disponeva che attraverso il Testo Unico si dovesse provvedere alla revisione della normativa in materia di appalti prevedendo, tra l’altro, misure dirette a modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso, al fine di garantire una non diminuzione del livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
In merito alla richiamata legge delega n. 123/2007 è altresì da evidenziare che non è mai stata attuata la sua previsione riguardo all’emanazione di una disciplina di raccordo tra gli appalti pubblici e gli appalti privati.
Un’altra questione di particolare importanza da affrontare relativamente agli appalti è la qualificazione delle stazioni appaltanti. Aspetto, ancora privo, sia nel settore privato che in quello pubblico, di una disciplina operativa. Con particolare riferimento alla materia prevenzionistica, il riferimento è all’articolo 27 del d.lgs. n. 81/2008 che - ricollegandomi a quanto già rilevato in tema di attuazione delle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 - è ancora inattuata. Di fatti, nel settore delle costruzioni il sistema di qualificazione delle imprese, se attuato, consentirebbe la continua verifica della idoneità tecnico-professionale sostanziale - e non solo cartacea e formale - delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, tenendo conto di elementi come gli adempimenti formativi e l’assenza di sanzioni da parte degli organi di vigilanza.
Si tratta della c.d. patente a punti di cui nell’ultimo anno si è tornati a parlare. Uno strumento che prevede l’attribuzione alle imprese, ed ai lavoratori autonomi, di un punteggio iniziale soggetto a decurtazione a seguito di accertate violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’azzeramento del punteggio, per la ripetizione di violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, determina l’impossibilità per l’impresa, o per il lavoratore autonomo, di svolgere attività nel settore edile.
Dunque, le norme ci sono, serve darne concreta attuazione. Difatti, la qualificazione preventiva delle imprese e il controllo sul costante ed effettivo mantenimento di virtuosi standard contrattuali ed organizzativi da parte delle stesse sono condizioni indispensabili per un salto di qualità nella gestione degli appalti sia pubblici che privati. Un ambito che, ribadisco, non ha certo beneficiato degli ultimi interventi normativi.
I diversi interventi nel mondo per affrontare l’emergenza COVID-19
Veniamo all’emergenza COVID-19. Attraverso il quadro europeo e internazionale offerto dal Rapporto, credo che sia possibile confrontare le risposte che i vari Paesi hanno messo in atto per affrontare l’emergenza. Quali sono i differenti approcci d’intervento in materia di salute e sicurezza?
M.G.: In linea generale, come evidenziato nella sezione VI del 3° Rapporto ANMIL, dall’analisi degli interventi normativi e regolativi degli Stati UE e della Regione europea, è emerso che la scelta prevalente è stata quella di non adottare – durante la ‘Fase 1’ – disposizioni normative speciali di carattere hard in materia di salute e sicurezza sul lavoro, finalizzate a contenere il contagio nei luoghi di lavoro. È stato infatti preferito un approccio soft, attraverso la pubblicazione di linee guida, FAQ e raccomandazioni da parte dei Ministeri (prevalentemente, del Lavoro e della Salute) e di Istituti e Agenzie pubblici. In generale, le linee guida ripropongono le misure di contenimento del contagio (distanziamento sociale, igiene, ecc.) già adottate per l’intera popolazione.
Ad esempio, in Germania sono stati pubblicati ‘standard di sicurezza sul lavoro’ per la prevenzione del contagio (Ministero del lavoro e degli Affari Sociali, 16 aprile 2020) e le FAQ in materia di SSL (Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, 1° aprile 2020). In Francia, sono state diramate delle linee guida settoriali e FAQ (Ministero del Lavoro, aprile 2020). Così, anche nel Regno Unito, in Norvegia e Finlandia sono state elaborate linee guida sulla SSL.
Ampliando lo sguardo agli altri Paesi del mondo, anch’essi hanno preferito non adottare un approccio hard in materia di Salute e Sicurezza sul Lavoro. Pertanto, anche in questi contesti ordinamentali, sono state elaborate linee guida e raccomandazioni da parte dei Ministeri (prevalentemente, Lavoro e Salute) e di Istituti e Agenzie pubblici, riproponenti le generali misure di contenimento del contagio. In tal senso: gli Stati Uniti hanno pubblicato linee guida generali e settoriali (Centers for Disease Control; Dipartimento della Labor’s Occupational Safety and Health Administration - OSHA), e nello specifico le ‘Guidance on Preparing Workplaces for COVID-19’ (OSHA); la Cina ha elaborato le linee guida per l’adozione di misure di prevenzione nei luoghi di lavoro (Meccanismo congiunto di prevenzione e controllo del Consiglio di Stato, 22 febbraio 2020) e l’Australia le linee guida governative ‘Managing risk in the workplaces’ e ‘worker arrangement’.
Volendo soffermarsi per alcune considerazioni sulle misure specifiche in materia di SSL, in primis,
dall’analisi condotta nel Rapporto emerge anche che molti Stati (UE ed extra-UE) hanno ‘raccomandato’ l’utilizzo dei DPI per i settori ad alto rischio, la cui classificazione, tra l’altro, non è omogenea. Il loro impiego invece negli altri luoghi di lavoro è stato spesso richiesto come eventuale extrema ratio, cioè ogniqualvolta le misure collettive di contenimento del contagio, basate su distanziamento sociale e igiene, risultassero insufficienti. Ad ogni modo, dalla natura soft delle linee guida se ne deduce l’assenza di un obbligo di impiego. Alcuni esempi sono la Germania, la Finlandia, la Svezia, il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda.
In secondo luogo, nelle linee guida adottate da molti Stati è esplicitato l’obbligo di valutazione del rischio di contagio in capo al datore di lavoro. Così, tra i Paesi dell’UE, ad esempio in Germania, nelle FAQ del Ministero del Lavoro si legge che, ai sensi della Legge sulla SSL (Arbeitsschutzgesetz), i datori di lavoro hanno l’obbligo fondamentale di effettuare la valutazione dei rischi e di adottare le misure sulla base dei risultati. Mentre, tra i Paesi extra-europei, negli Stati Uniti la valutazione del rischio deve essere basata sulla classificazione dell’esposizione al rischio contagio (basso, medio, alto). Pertanto, le misure di prevenzione nei luoghi di lavoro dovranno essere adottate in relazione al livello di esposizione al rischio di contagio.
Infine, all’interno dei documenti analizzati, è possibile rinvenire un riferimento specifico al diritto del lavoratore alla astensione dalla prestazione lavorativa, nel caso in cui vi sia un pericolo ‘grave e imminente’ nel luogo di lavoro. Tale precisazione è stata inserita soprattutto nelle linee guida istituzionali di alcuni Paesi membri dell’UE (Germania, Francia e Spagna).
Normativa COVID-19: il difficile bilanciamento tra i valori costituzionali
La produzione normativa emergenziale ha cercato in questi mesi di bilanciare diversi valori costituzionali (salute, libertà personale, libertà di circolazione, libertà di iniziativa economica, diritto al lavoro e alla sicurezza, …). Con quali esiti?
M.G.: In effetti, come ho già avuto modo di evidenziare durante l’intervista di aprile sul vostro giornale, la copiosa produzione normativa e regolamentare, avviatasi nel nostro Paese per fronteggiare gli effetti sanitari, sociali, economici e lavoristici della Pandemia da COVID-19, mira al bilanciamento di più valori costituzionali, quali: la salute, la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di iniziativa economica privata, il diritto al lavoro ed alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ma come il leitmotiv di tutta l’emergenza pandemica ci ha insegnato, il bilanciamento tra i valori in gioco non è cosa semplice e, a qualunque scelta induca il decisore politico, il margine di errore operativo è molto alto, ancor più quello di incongruenze tecnico-giuridiche che facilmente si annidano nell’affastellamento di “norme o strumenti para-normativi dell’emergenza” che poco o male si coordinano con l’impianto dell’ordinamento generale.
Inoltre, è un’operazione molto delicata e tutt’altro che scontata in un ordinamento giuridico come il nostro in cui, diversamente da altri Paesi (come la Germania, la Spagna, la Francia o gli Stati Uniti) non esiste una norma - né di rango costituzionale né di legge ordinaria - precipuamente diretta alla gestione delle emergenze sanitarie. Un bilanciamento di valori che attinge alle sensibilità sociali, morali e giuridiche più profonde ed il cui risultato pratico integra un cosiddetto “testo unico dell’emergenza”, fatto di regole speciali che si succedono nel tempo in modo rapido.
Tutti i provvedimenti emanati durante il periodo pandemico hanno pertanto inciso inevitabilmente sulle consuete regole di funzionamento del mercato del lavoro e della gestione dei rapporti di lavoro, sullo sfondo della evoluzione già in atto dei suoi modelli di organizzazione.
In tal senso, uno strumento che ha assunto una spiccata funzione emergenziale è stato il lavoro agile (o smart working). Di fatti, durante il periodo pandemico, si è assistito ad una mutata ratio di impiego del lavoro agile che, da strumento innovativo di welfare aziendale per l’incremento della produttività ed il migliore equilibrio vita-lavoro - disciplinato per la prima volta dalla legge n. 81/2017 (artt. 18 e ss.) e volutamente collocato dal Legislatore tra le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato con tutte le garanzie e le prerogative previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva applicabile - è stato convertito in un incredibile strumento per il migliore bilanciamento tra principi e diritti costituzionali di supremo valore, quali la salute pubblica, la sicurezza sul lavoro e la conservazione del posto di lavoro. Ciò, a fronte della ben più drammatica prospettiva della crisi aziendale che ha portato inevitabilmente molte aziende a sospendere le attività, facendo ricorso alla cassa integrazione guadagni, mentre in altri settori si è continuato ad operare nei limiti del consentito, pur in assenza di idonee protezioni e con il rischio di una più rapida diffusione della infezione virale.
Cosa insegna la pandemia in termini di tutela di salute e sicurezza dei lavoratori?
Credo che il virus SARS-CoV-2 ci abbia costretto a riflessioni che saranno utili anche quando l’emergenza sarà conclusa. Sto pensando al ruolo chiave dei medici competenti o delle parti sociali nel sistema di prevenzione, alle responsabilità dei datori di lavoro in contesti di rischio particolari e difficili da gestire. Cosa ci insegna l’emergenza su questi temi?
M.G.: È importante riflettere su ciò che la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato in termini di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La pandemia ha infatti messo in luce che la tutela della salute dei lavoratori, nella sua accezione più ampia, si fonda sì sulle misure prevenzionistiche nei luoghi di lavoro, ma anche su una diversa visione delle stesse, sulla valorizzazione di alcune figure prevenzionistiche e del ruolo delle parti sociali, nonché su nuove modalità di organizzazione del lavoro che intercettino le esigenze di vita dei lavoratori, sollecitandone al tempo stesso la produttività e investendo nel patrimonio esperienziale che le imprese sono state costrette a collezionare durante le fasi di lockdown e quelle successive di ‘convivenza’ col virus.
In questi termini, l’esperienza dell’emergenza ha ad esempio messo in risalto la necessità di promuovere una visione olistica della sorveglianza sanitaria, e non meramente burocratica, in cui la collaborazione proattiva del medico competente, quale “consulente globale” del datore di lavoro, potrebbe essere di grande ausilio alla efficace gestione della sicurezza in azienda, specialmente in riferimento ai lavoratori “fragili”.
La stessa pandemia ha messo in evidenza la centralità delle trattative negoziali per la ricerca di soluzioni condivise a problematiche articolate, come quelle relative al rischio-contagio. Valorizzando una virtuosa governance pubblico-privata, il fondamentale ruolo integrativo dei protocolli condivisi potrebbe essere preso da esempio per la negoziazione di intese specificamente dedicate alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il dialogo sociale rappresenta da sempre un incentivo a migliorare le condizioni di lavoro, e lo stesso d.lgs. n.81/2008 assegna un ruolo significativo alle parti sociali, chiamate a partecipare, insieme ai soggetti istituzionali, al sistema di promozione della salute e sicurezza.
Inoltre, la questione giuridica della responsabilità dei datori di lavoro pubblici e privati, per il contagio da Covid-19, ha rinnovato l’esigenza di una riflessione ben più ampia su una problematica già insita da tempo nel sistema. Oggi, ancora più di prima, ci si chiede infatti se sia possibile apporre confini certi alla responsabilità del datore di lavoro, soprattutto a fronte di rischi atipici, e se conseguentemente si possa delineare, ope legis, un sistema chiaro di prevenzione e di governance (possibilmente pubblico-privato) del rischio, che consenta all’imprenditore, di concerto con l’istituzione pubblica e con il coinvolgimento dei lavoratori, di delimitare ex ante i confini della responsabilità personale (nonché di quella dei suoi diretti ausiliari), a fronte dell’autorità ispettiva e di quella giudiziaria.
Di questo delicato tema, in linea generale, ha solo iniziato ad occuparsi nei mesi scorsi l’art. 29-bis del decreto liquidità, convertito con l. 5 giugno 2020, n. 40 precisando che “ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro [….]”. La disposizione, pur non integrando una vera e propria ipotesi di “scudo penale” per il datore di lavoro, costituisce - con tutti i suoi limiti e le problematiche interpretative che ha suscitato - un primo tentativo di mitigazione ex ante della responsabilità personale datoriale. Ma, prendendo mero spunto dalle previsioni legate all’emergenza pandemica, ritengo che sia opportuno estendere la riflessione, in modo più ampio e sistematico, alla opportunità di un intervento del legislatore volto a tracciare un perimetro più netto della responsabilità del datore di lavoro. Ciò al fine di declinare, con maggiore certezza e senza rischi di sconfinamento, la delicata posizione di garanzia soprattutto nel contesto dei rischi nuovi, emergenti e difficilmente prevedibili e contenibili.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
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