Infortunio da Covid-19 e responsabilità penale del datore di lavoro
A seguito della equiparazione della infezione da COVID-19 contratta in occasione di lavoro o in itinere, ad infortunio sul lavoro con causa virulenta - ed alla conseguente possibile applicazione del regime giuridico per il riconoscimento delle tutele INAIL di cui al D.P.R. n. 1124/1965 a favore del lavoratore colpito dall’infezione o dei suoi familiari in caso di decesso del lavoratore stesso - si è sviluppato un intenso dibattito circa il pericolo di un ampliamento, che tale previsione avrebbe determinato, della sfera di responsabilità datoriale, tanto in sede civile quanto in sede penale. Un presunto allargamento delle responsabilità che renderebbe, di fatto, ancor più difficile fare fronte alla ripresa delle attività nella cosiddetta “Fase 2”, già di per sé molto costosa in termini di oneri prevenzionistici, come noto agli addetti ai lavori.
Con questo contributo, si intende pertanto fornire un supporto interpretativo a favore delle imprese e degli operatori della sicurezza, sgomberando così il campo dalle preoccupazioni sopra paventate, posto che la previsione dell’art. 42 del D.L. n. 18, del 17 marzo 2020, cosiddetto Cura Italia, convertito in legge con modificazioni dalla L. n. 27, del 24 aprile 2020, come si dimostrerà nel prosieguo, non ha introdotto nel nostro ordinamento alcuna nuova fattispecie di reato a carico degli imprenditori, a seguito della inosservanza delle norme antinfortunistiche. Pertanto, a quadro normativo vigente, la responsabilità datoriale a fronte di un evento di questo tipo, sarebbe comunque difficile da dimostrare.
Tuttavia, prima di addentrarsi nell’analisi dei presupposti soggettivi ed oggettivi di detta responsabilità, è opportuno spendere qualche parola sul ruolo dell’INAIL. Al riguardo, giova sottolineare che l’equiparazione della infezione da COVID-19, contratta in occasione di lavoro o in itinere, ad infortunio sul lavoro, è avvenuta per mezzo di un provvedimento normativo, non di certo ad iniziativa dell’INAIL, come pur erroneamente sostenuto da alcuni organi di stampa. Alla luce di queste previsioni, dunque, l’INAIL è stata investita esclusivamente del compito di valutare, nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, le istanze dei lavoratori o delle loro famiglie, di riconoscimento dell’infortunio da COVID-19, provvedendo, in caso di accoglimento dell’istanza, ad erogare le correlate prestazioni. In merito alle categorie di lavoratori interessati dal predetto provvedimento, inoltre, come chiarito dalla circolare n. 13 del 3 aprile 2020, l’ambito della tutela INAIL riguarda gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata l’alta probabilità che gli stessi vengano a contatto con il nuovo coronavirus. Di analoga presunzione semplice, si avvalgono poi coloro che svolgono altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, sono stati indicati: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc...
Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari. Diversamente, per tutti gli altri lavoratori generalmente destinatari della tutela assicurativa INAIL, non vige un regime probatorio agevolato, essendo in ogni caso il lavoratore tenuto a dimostrare - con elementi anamnestici, clinici, etc… - la certa correlazione al lavoro della infezione; una prova comunque difficile da ottenere, data la multifattorialità e le limitate conoscenze scientifiche circa la eziopatogenesi del virus. Come chiarito peraltro dallo stesso Istituto, non esiste alcun automatismo giuridico nel riconoscimento dell’infortunio da COVID-19 da parte dell’INAIL poiché l’Istituto, ai fini della tutela infortunistica, deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere ad una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa della infezione. Tale iter, peraltro, vale sia per i lavoratori assistiti da presunzione semplice che per coloro che non beneficino di tale alleggerimento probatorio, non potendosi in ogni caso - le due categorie di lavoratori considerate - mai avvalere di una presunzione assoluta; l’unica, nel nostro ordinamento, avverso la quale non è ammessa prova contraria.
Andando alla più complessa questione delle responsabilità datoriali, si osserva come la introduzione normativa della mera possibilità di riconoscere, in sede INAIL e al ricorrere di tutti gli elementi formali e sostanziali richiesti di non facile dimostrazione, le tutele assicurative e indennitarie all’uopo previste, non abbia determinato alcuna modifica delle norme penali vigenti, né quelle codicistiche né tantomeno quelle dettate dal micro-sistema sanzionatorio del Testo Unico di Salute e Sicurezza sul lavoro. La previsione, infatti, ha più semplicemente esteso l’ambito di erogazione dell’indennizzo INAIL, non potendosi pertanto confondere i presupposti per l’erogazione di detto indennizzo con quelli per la responsabilità del datore di lavoro. Infatti, come pure chiarito dell’INAIL nei giorni scorsi, il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’evento del contagio per motivi professionali non costituisce presupposto per l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, come non si possono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con quelli per la responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
Dunque, è evidente che la norma in esame non abbia né ampliato l’ambito della responsabilità penale del datore di lavoro, né introdotto alcuna forma di responsabilità oggettiva datoriale per infortunio da COVID-19, come pure la stessa non ha introdotto alcuna nuova fattispecie di reato. Al riguardo, è utile rammentare come l’introduzione di una fattispecie criminosa non possa che essere realizzata mediante una previsione normativa esplicita ed inequivocabile, in base al principio, assistito da garanzie costituzionali, del nullum crimen sine previa lege. Peraltro, anche in relazione al paventato timore di una responsabilità datoriale oggettiva, è opportuno sottolineare come lo stesso non trovi fondamento, nella misura in cui la sussistenza della responsabilità penale datoriale, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ed inosservanza della disciplina antinfortunistica, è sempre subordinata alla celebrazione di un processo all’esito del quale si dimostri la sussistenza di almeno quattro presupposti congiuntamente necessari:
- che il lavoratore riesca a dimostrare la correlazione dell’evento lesivo con lo svolgimento della attività lavorativa, prova di fatto molto difficile da fornire in relazione all’infortunio da COVID-19, oltre ogni ragionevole dubbio;
- che il datore di lavoro non riesca a fornire prova di aver fatto tutto quanto necessario in termini di misure prevenzionistiche per evitare il verificarsi dell’evento lesivo;
- che sussista correlazione causale diretta – nesso di causalità – tra il comportamento omissivo del datore di lavoro e il verificarsi dell’evento lesivo;
- che l’omissione del datore di lavoro sia imputabile almeno ad una colpa dello stesso, intendendosi per colpa quell’elemento psicologico per il quale il datore di lavoro, pur prefigurandosi mentalmente che la sua omissione potesse determinare le lesioni o la morte del lavoratore, non abbia proceduto ad adottare idonee cautele atte ad evitare il verificarsi dell’evento, ritenendolo improbabile o sottovalutandone la possibilità di accadimento.
Alla luce di quanto appena rappresentato, i forti timori emersi all’indomani dell’introduzione dell’infortunio da COVID-19 ed accentuatisi alla vigilia della “ Fase 2”, con riferimento all’automatismo del riconoscimento di tale infortunio in sede indennitaria INAIL, ma ancor più con riferimento al presunto ampliamento della responsabilità penale del datore di lavoro per inosservanza delle norme antinfortunistiche, non paiono avere fondamento. Di conseguenza, si può ritenere di fatto superfluo intraprendere l’iter di introduzione di un qualsivoglia “scudo penale”, in un momento di già gravosa iperattività normativa per il nostro legislatore, posto che le regole esistenti in materia, a quadro normativo vigente, sono già esaustive, poiché la configurabilità della responsabilità penale del datore di lavoro, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è subordinata alla dimostrazione in giudizio degli stringenti criteri appena sopra riepilogati. Tuttavia, non si esclude il fatto che possa accogliersi con favore la possibile introduzione di una norma che chiarisca, in modo ancor più inequivocabile ed a beneficio di tutti, quanto già sancito dal nostro ordinamento; in tale senso parrebbero infatti muoversi alcune proposte attualmente pendenti in Parlamento.
Molto più utile è ricordare come, proprio al fine di eliminare o ridurre le possibili responsabilità penali correlate al contagio, i datori di lavoro possano ora più che mai ricorrere all’adozione dei modelli di organizzazione e gestione esimenti, di cui al d.lgs. n. 231/2001 che, ove adottati ed efficacemente attuati, possono risultare di grande ausilio.
Inoltre, tornando al ruolo dell’INAIL, nella sua investitura per la gestione di questa delicata materia da un punto di vista indennitario pare potersi ravvisare l’attribuzione di una cruciale funzione di anticipazione e filtro del contenzioso giudiziario, qualora l’ente eroghi le proprie prestazioni, in modo efficace e tempestivo, in risposta ad una importante esigenza di tutela antinfortunistica che, diversamente, in sede giudiziale troverebbe grossi ostacoli di accoglimento, data la difficoltà a carico del lavoratore di fornire la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della sussistenza dei presupposti della responsabilità datoriale già sopra richiamati ed al cui solo ed esclusivo ricorrere, può essere condannato il datore di lavoro. L’attribuzione di tale compito all’INAIL è infatti del tutto coerente con la funzione di tutela di valori costituzionali - in particolare l’articolo 38 - che lo stesso già svolge nel complesso delle sue attività.
Maria Giovannone
Avvocato Giuslavorista – Responsabile Ufficio Salute e Sicurezza sul Lavoro di ANMIL Onlus
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Christian Alberti - likes: 0 | 20/05/2020 (08:18:01) |
Grazie Avvocato, ha chiarito anche "come" ciascuno debba fare la sua parte, un buon auspicio anche per il futuro. |
Rispondi Autore: Marco Masoni - likes: 0 | 20/05/2020 (09:35:21) |
Concordo pienamente con l'esaustiva spiegazione, anche se ci sono vari suoi colleghi che insistono su intepretazioni diverse. Tra l'altro INAIL non considera questi eventi nel computo degli infortuni aziendali, per cui siamo nella medesima fattispecie dell'infortunio in itinere: riconosciuto ma non di responsabilità del datore di lavoro |