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Covid e burnout: due pandemie e un trauma collettivo

Il periodo pandemico che abbiamo vissuto, e che si è appena concluso, ha provocato forti cambiamenti a livello sanitario, societario e organizzativo.

 

Gli effetti psicologici della pandemia sono emersi nel distress degli operatori sanitari, nella crisi dell’informazione, nella gestione del periodo di lockdown e la riduzione della libertà individuale. Per attenuare questi problemi, si sono ricercate nella scienza e nella psicologia, soluzioni che però sono risultate soltanto circoscritte al periodo pandemico: ore di sonno giornaliere, alimentazione, autoconsapevolezza; le soluzioni proattive hanno riguardato principalmente la sfera personale, andando a dimenticarsi dei comportamenti sul lavoro.

 

Gli effetti della scarsa attenzione delle aziende nella gestione dello stress è possibile osservarli da alcune analisi: secondo un report di Indeed, che ha intervistato 1500 lavoratori, prima della pandemia il 43% dei lavoratori ha sofferto di burnout, contro il 52% nel 2021. La fascia più colpita sembrerebbe quella dei più giovani, con un 59% tra i millennials e il 58% dei ragazzi della Generazione Z. Tali risultati son visti anche alla luce di una diversa percezione che gli stessi lavoratori hanno del periodo pandemico: infatti il 67% dei lavoratori ha affermato che secondo loro la sindrome da burnout è peggiorata durante la pandemia. Un’altra ricerca rileva che, circa il 60% degli infermieri ha avuto problemi di stress e un operatore su cinque ha richiesto supporto da parte di psicologi. Praticamente in tutte le Regioni, le aziende sanitarie e ospedaliere hanno attivato servizi per i dipendenti o hanno potenziato quelli già esistenti. Tale attenzione verso i lavoratori, però, non sempre viene rivolta anche dalle aziende private o che comunque non sono tipo sanitario; certo è che le professioni sanitarie sono tra le più colpite, ma è chiaro che in realtà la sindrome da burnout può elicitarsi in qualunque lavoratore, indipendentemente da genere, età e professione.


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Il cambiamento dello stile di vita, personale e lavorativo, derivante dalla pandemia da coronavirus, ha portato ad una crescita esponenziale, come già precedentemente evidenziato nei dati. Infatti, una popolazione colpita da un evento mondiale porta alla perdita di punti di riferimento e quindi a forti trasformazioni relazionali e sociali. L’aumento del disagio psichico e la crescita esponenziale di problematiche internalizzati e stress-correlate porta a parlare di una vera e propria emergenza sociale. Si sono inserite inoltre nuove modalità di lavoro, che hanno comportato un adattamento obbligato e repentino per il mantenimento della linea produttiva aziendale. Doversi adattare alla nuova situazione pandemica e adattarsi alla nuova realtà lavorativa ha sicuramente generato situazioni di stress percepito molto forti.

 

Ma il COVID-19 ha solo aggravato quella che era già una pandemia in atto: quella del burnout. Infatti, nel 2019, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), lo ha ufficialmente riconosciuto come fenomeno occupazionale e concettualizzato come sindrome causata da stress cronico mal gestito o non gestito, sul posto di lavoro. Attualmente, l’OMS stessa, sta vagliando delle possibili linee guida basate sull’evidenza scientifica che mettano al centro il benessere mentale nei luoghi di lavoro. Secondo una ricerca dell’Università di Stanford, pubblicata nel 2015, questa sindrome costerebbe all’economia statunitense circa 190 milioni di dollari all’anno derivante da tutta una serie di fenomeni organizzativi che ne derivano: assenteismo sul posto di lavoro, bisogno di turnover, riduzione della produttività e costi medici, legali ed assicurativi.

 

Negli anni sono stati sviluppati alcuni protocolli di gestione della sintomatologia e vari questionari per l’individuazione, anche se strumento elitario risulta la persona stessa, le proprie sensazioni, emozioni.

 

Secondo le più recenti definizioni, il burnout è un problema composto, “un’erosione della volontà e della persona”, ed è composto da tre parti: esaurimento, cinismo e inefficacia. Una persona che soffre di questa sindrome può avere anche soltanto alcune e non tutte queste compromissioni; infatti, esistono diversi profili, differenti nella potenza di espressione delle varie parti.

 

In ambito di gestione organizzativa, tra i protocolli più recenti è interessante il framework P-U-L-S-E, adottato già da alcune aziende come servizio di supporto in caso di presunte sindromi da Burnout, che si basa sull’acronimo PULSE per indicare:

  • P – Performance: cercare di migliorare le tue prestazioni lavorative senza che vi sia un dispendio di energie mentali e fisiche eccessivo;
  • U – Undo untidy thinking: annullare il pensiero disorganizzato, cercando metodi di ordinamento delle attività, e così facendo del pensiero
  • L – Leverage Leisure: sfruttare il tempo libero, cioè usare il weekend, il tempo fuori dall’ufficio per fare ciò che veramente ci fa stare bene;
  • S - Social: ricercare il supporto delle altre persone come fattore protettivo dallo stress
  • E – Evaluate Effort: valutare e valorizzare gli sforzi fatti nelle varie attività.

 

Negli approcci più recenti ed attuali, la prevenzione risulta essenziale nella creazione di un clima lavorativo positivo, anche perché l’essere riconosciuti come un posto di lavoro in cui è facile esperire stress e burnout potrebbe provocare alcune conseguenze quali non trovare nuovi lavoratori se si ha una pessima reputazione in tema di salute e sicurezza, non usufruire del pieno potenziale degli attuali lavoratori in azienda, ridurre la produttività e aumentare così i costi (causa turnover, assenteismo). La prevenzione di stress e burnout è parte integrante del management della salute in azienda: l’obiettivo è quello di dotare dipendenti e superiori di strategie efficaci nel confronto quotidiano con il carico di lavoro. In una prima fase, esperti identificano le possibilità di riduzione dello stress nella vostra azienda. Successivamente vengono formulate apposite misure per creare e fissare stabilmente le necessarie competenze di gestione dello stress. Mediante workshop e perfezionamenti professionali il vostro personale riceve consigli e suggerimenti per affrontare i momenti di stress.

 

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni




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Rispondi Autore: Antonio Gregori - likes: 0
08/09/2023 (07:42:30)
Perchè si continua a parlare di COVID? La pandemia è stata dichiarata rientrata, è vero o è solo propaganda? Se veramente l'emergenza è terminata perchè si continua ad insistere su questo tema? Non sarebbe sufficiente indicare delle buone regole di comportamento di base per il quotidiano, non solo riferito alla pandemia COVID.

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