Le due onde di crisi psicologica da emergenza microbiologica
La paura della malattia denominata COVID-19 (acronimo di COronaVIrus Disease 19) accompagna l’emergenza da diffusione del virus denominato SARS-CoV-2, detto comunemente coronavirus a causa dell’aspetto visto al microscopio.
Si parla molto delle decisioni politiche dal grande impatto: i decreti del governo, le conseguenze per l’economia, i cambiamenti sociali e relazionali che ne derivano (famoso l’hashtag #iostoacasa). Mi sto riferendo a ciò che la persona subisce a causa della crisi. Si parla meno di come gestire le persone: coloro che sono impegnati sul fronte sanitario e chi a vario titolo, diretto o indiretto, ne affronta le conseguenze. Ci sono due questioni da tenere in considerazione: l’attualità e il “dopo”.
L’attualità è che non basta aggiornare (o redigere se mancanti) gli allegati al DVR sul rischio biologico, bisogna anche prevedere azioni che non risultino solo “prescrittive” quindi sanzionabili. Servono anche azioni “proattive” che diano il senso di contribuire al benessere individuale e collettivo.
In questo momento proliferano consigli su come alimentarsi, come dormire, come mantenere attivi corpo e mente anche nella fase di forzata “reclusione”. Dal mio punto di vista c’è meno attenzione ai comportamenti sul lavoro, ai pensieri invasivi, alle emozioni ed alla loro difficile reciprocità, al fatto che il vissuto di ciò che sta accadendo è molto differenziato e stratificato nelle persone.
Il CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) ha lanciato un hashtag #psicologicontrolapaura e dato indicazioni generali, che riassumo:
- Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo e non alle informazioni inattendibili.
- Comprendere bene come agisce il virus per proteggere sé stessi, i propri cari e gli altri.
- Fare attenzione a creare panico collettivo, perché questo porta a comportamenti irrazionali.
- Ricordare che l’emozione gioca scherzi al ragionamento, riducendone l’ampiezza di prospettiva.
- Riflettere sul fatto che emozioni e ragionamento spesso vanno in conflitto: bisogna equilibrare la paura col rischio.
- Evitare di rinchiudersi in sé stessi.
Gli effetti psicologici della crisi da pandemia vanno guardati anche con attenzione al “dopo”. La meta-analisi della letteratura scientifica offre indicazioni attendibili, basate su decine di studi pubblicati.
Innanzitutto: cosa potrà succedere agli operatori sanitari alla fine della crisi? Sappiamo che rischiano disturbi acuti da stress e stati d’ansia misti a insonnia. Ma il problema riguarderà anche coloro che, adulti e bambini, saranno usciti dai periodi di isolamento forzato per via della quarantena. Ci sarà un fiorire di disturbi emotivi, dell’umore fino a episodi depressivi o segnali di disturbo post-traumatico da stress. Insomma, bisogna aspettarsi un’ondata di burnout dopo la buriana della crisi?
La questione gira attorno al fenomeno della cosiddetta quarantena, durante la quale gli stressori esterni agiscono in modo subdolo e costante: paura del contagio, noia, frustrazione, ma anche il sovraccarico di informazioni confuse e talvolta contrastanti (la cosiddetta infodemia). Per non dire delle perdite economiche e dei guasti relazionali causati dalla situazione emergenziale, che da un lato evoca solidarietà ma in pratica provoca solitudine, timori e spesso conflitti. In periodo di crisi peggiora anche la qualità dell’alimentazione, che aumenta in quantità e diminuisce in qualità.
Si denotano reazioni eccessive, sia di paura sia di aggressività (due facce di una stessa medaglia). L’invisibilità del nemico (di cui emergono solo gli effetti nefasti) e l’incertezza sulla durata della crisi mette gli organismi sotto stress cronico.
Una quota di preoccupazione e paura è necessaria, persino efficace. Ma quando è esagerata e/o disfunzionale diventa pericolosa. Esempi che abbiamo visto sono la corsa a fare la spesa quando non c’è né bisogno, o l’assalto ai treni di ritorno, che ha avuto solo l’effetto di pandemizzare ulteriormente. Questi fenomeni si spiegano anche con l’attivazione di basilari meccanismi autoprotettivi, scritti profondamente nella nostra natura umana. Conoscendoli, forse era meglio fare attenzione alla fuga di notizie da parte delle istituzioni preposte (che a mio avviso potevano agire meglio nella gestione della crisi).
Per non farci mancare nulla è ritornata la caccia all’untore ad alimentare i pregiudizi, che oggi possono colpire anche una persona che si muove per strada, pur senza sapere perché lo sta facendo. Alcuni non considerano che, al di là degli stupidi e degli inconsapevoli, ci sono coloro che si muovono per motivi ben precisi. E tra questi non ci sono solo quelli elencati dalla burocratica “autocertificazione”, ma anche persone che hanno un oggettivo e pesantissimo disagio da coprifuoco, che magari porta semplicemente a muovere due passi.
La vera novità è che tutti noi siamo potenziali “untori”, e questo porta un senso di alienazione anche da sé stessi.
Si tratta di effetti profondi e duraturi, che si affiancheranno agli eccessi legati alla “ritrovata” libertà. Cosa si può fare per prevenire?
- È fondamentale un supporto psicologico, che funga da contenitore del disagio ma anche da filtro delle percezioni distorte e delle rappresentazioni catastrofiche.
- Un’informazione che non sia solo chiara e divulgativa (quella si trova facilmente in TV e sul web) ma consapevolmente documentata, e soprattutto opportuna e funzionale. Ad es. la confusione numerica (e concettuale) sui morti da virus o con virus trova ancora molto spazio.
- L’uso intelligente della tecnologia, che può avvicinare le persone nella distanza forzata. Mai come oggi i vituperati social networks esprimono una funzione sostitutiva importante. Ad es. un anziano in RSA può avere una relazione vicaria ma concreta con figli, nipoti e amici attraverso le videochiamate.
- Un’efficace organizzazione del tempo, possibilmente non lasciato al caso. Teniamo presente che in emergenza spesso il tempo viene sprecato, come quando nelle aziende scende la produzione e calano anche efficienza e qualità (invece di crescere).
- Bisogna che l’accesso ai beni primari venga preservato al massimo.
- La routine fondamentale della vita va mantenuta nella triade sonno / cibo / movimento.
A differenza delle altre guerre, dove si scontravano popoli e nazioni, stavolta scopriamo che la “guerra” in atto (di questo si tratta) non è col “diverso” ma con l’invisibile, e che ogni parte del mondo è fragile di fronte ad un nemico pandemico, subdolo e che non fa distinzione di lingua, di etnia, di classe sociale. La consapevolezza che ne emergerà potrà persino essere costruttiva volendo.
Va di moda scrivere cartelli con su scritto “Andrà tutto bene”. È un concetto speranzoso, messo al futuro perché al momento la situazione è negativa. Se provassimo però a motivarci anche con un “Facciamo tutto bene” porteremmo l’attenzione su cosa oggi bisogna fare di buono: siamo ristretti in molte libertà ma rispettiamo le regole di prevenzione e protezione, stiamo riscoprendo il piacere di stare insieme nella lontananza, stiamo agendo per il bene comune, abbiamo voglia di collaborare perché la difficoltà fa riemergere i valori basilari, personali e persino collettivi. Solo così ci sarà una chance di uscire resilienti da questa crisi, vale a dire provati ma più forti.
Dott. Andrea Cirincione
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
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Rispondi Autore: Gianni Andrei - likes: 0 | 03/04/2020 (11:04:40) |
Devo fare grandi complimenti all'Autore dottor Andrea Cirincione per la chiarezza, la puntualità, la sintesi di questo "illuminato" ed illuminante articolo. Complimenti! |
Rispondi Autore: Enzo - likes: 0 | 08/04/2020 (14:03:55) |
Mi unisco alla considerazione espressa circa la chiarezza e la naturale semplicità espositiva che sottende sempre coloro che sanno. Grazie del valido contributo. |
Rispondi Autore: crrsfn72h27l424e - likes: 0 | 29/03/2023 (10:57:16) |
ok |
Rispondi Autore: angela - likes: 0 | 19/02/2024 (11:44:00) |
interessante |