Decision making e sicurezza sul lavoro: l’incidenza del fattore umano
L’aspetto del decision making occupa molteplici aspetti della vita quotidiana e proprio per questo motivo è impossibile scinderlo da un contesto che caratterizza più di ogni altro la vita di tutti i giorni, ovvero quello lavorativo.
In questo senso, a partire dagli anni ’70 sono cominciati i primi studi sull’importanza dello human factor nell’accadimento di incidenti: i primi studi si sono focalizzati sul settore dell’aviazione militare e civile, a causa delle enormi perdite (umane, economiche e di immagine) che il singolo incidente avrebbe potuto provocare. Le evidenze statistiche in questo settore evidenziavano come, già dagli anni ’50 - ’60, almeno il 65% degli incidenti non era legato alla mancanza di abilità, addestramento ed esperienza del pilota, ma a fattori quali la comunicazione tra membri dell’equipaggio, la ripartizione di ruoli e leadership, il coordinamento, la capacità di prendere decisioni in tempo reale.
Il settore dell’aviazione è stato il primo a occuparsi del problema, ma rappresenta solo uno dei settori in cui l’incidenza del fattore umano è forte. Rifacendoci alla terminologia proposta da Reason, si può intendere l’ “errore” come un fallimento nel portare a termine una serie pianificata di azioni mentali o come una pianificazione sbagliata nel raggiungimento di un obiettivo desiderato che non può essere attribuito al caso.
In ambito di salute e sicurezza sul lavoro, l’espressione “ errore umano” è quella più comunemente utilizzata quando avviene un incidente. “Errare è umano?”: l’uomo in quanto tale è fallibile e soggetto ad errori. Allora perché, invece di lasciare all’uomo il controllo sui sistemi non si investe sulla ricerca tecnologica, al fine di costruire una tecnologia così avanzata da automatizzare i compiti e diminuire l’incidenza degli errori umani? Perché, per quanto una macchina sia capace di fare ciò per cui è stata programmata senza commettere errori, non sarebbe capace di rispondere efficacemente in caso di anomalie e imprevisti che potrebbero avvenire in sistemi dinamici (come accade, ad esempio, durante il volo di un aereo o un intervento chirurgico). Infatti, ad oggi, non si è in grado di trasformare in algoritmi tutte le possibili situazioni che potrebbero verificarsi in un certo contesto. Tanto vale affidarsi al vecchio, flessibile e (purtroppo) fallibile intuito umano!
E allora perché le persone sbagliano? O meglio, perché prendono delle decisioni sbagliate? E soprattutto, quali sono i meccanismi che stanno alla base del decision making?
Il modello Skill-Rule-Knowledge
Le forme di decisione e ragionamento più veloci e pratiche
Prima di descrivere questi processi, è d’obbligo fare una premessa. Alla base delle decisioni sbagliate contribuiscono diverse variabili. Ad esempio, la qualità del sonno, intesa in termini di fenomeni di insonnia, frequenti risvegli o incapacità a riaddormentarsi, può essere responsabile della diminuzione della capacità di decisione della persona. Così come lo può essere l’insicurezza/sicurezza personale: se da una parte l’insicurezza può sfociare in atteggiamenti di negligenza o imprudenza, dall’altra l’eccessiva sicurezza (over confidence) può portare a sottovalutare il pericolo o a trascurare lo svolgimento di azioni ripetitive. Altri fattori che possono influenzare il decision making riguardano il comfort degli ambienti e delle condizioni di lavoro (illuminazione, qualità dell’aria, postazioni di lavoro, relazioni all’interno dell’azienda, orari e turni di lavoro), aspetti specifici della persona (motivazione, soddisfazione lavorativa, problematiche inter e intrapersonali) e l’uso/abuso di sostanze.
Mettendo da parte questi aspetti, quando eseguiamo un compito possiamo adottare un’impostazione mentale che si articola su tre livelli: seguendo il modello proposto da Rasmussen nella vita quotidiana agiamo a livello Skill, a livello Rule e a livello Knowledge e commettiamo errori relativi a questi tre livelli (modello Skill-Rule-Knowledge).
Il modello Skill-Rule-Knowledge
A livello Skill, avviene quella situazione per la quale agiamo in modo automatico in base a quanto appreso da esperienze passate. Il comportamento inoltre, deve essere stato automatizzato grazie all’addestramento o all’esperienza ripetuta. Proprio grazie agli automatismi, l’impegno cognitivo richiesto a questo livello è molto basso e le risorse attentive possono essere dedicate ad altro. È il caso di chi guida in autostrada e dopo un lungo tratto non si ricorda del tragitto effettuato, soprattutto se non c’era traffico e la strada era nota (situazione stabile e nota). Gli errori a questo livello sono dovuti ad azioni eseguite in automatico ma inopportune e non volute rispetto alla situazione (slips) oppure a involontarie dimenticanze (lapses); in altri casi possono essere causati da stanchezza, affaticamento, preoccupazione e stress.
A livello Rule, lo sforzo cognitivo richiesto è superiore rispetto al livello Skill e quindi, quando possibile, il cervello torna a livello Skill oppure trasforma le attività svolte a livello Rule in attività di livello Skill tramite l’esperienza. Errori a questo livello sono relativi alla procedura che si sceglie di eseguire: non sono procedure sbagliate in assoluto, ma grossolane (come spegnere il televisore staccando la spina), parzialmente corrette, oppure teoricamente corrette ma inadeguate rispetto alla situazione. Per cui, la persona è ben consapevole di ciò che sta facendo.
A livello Knowledge, si agisce quando la situazione è inattesa e bisogna fare affidamento alle proprie conoscenze, competenze ed esperienze passate per dare luogo ad una soluzione creativa. È il caso di un’emergenza inattesa, quando la situazione si complica e non si sa come interpretarla. Il livello di impegno cognitivo richiesto è molto alto, ma fortunatamente queste situazioni non sono così frequenti. Gli errori a questo livello vengono effettuati a livello intenzionale come nel livello Rule, ma si tratta di strategie del tutto sbagliate e non di procedure inadeguate, che nascono dall’incapacità di capire la situazione e di avere la giusta flessibilità per intervenire.
I tre livelli proposti si legano alla proposta di Kahneman, che postula l’esistenza di due sistemi di pensiero: il Sistema I, che procede per automatismi e scorciatoie mentali, è grossolano, veloce ed è sottoposto all’influenza di emozioni e fattori contestuali (simile a livello Skill e Rule), e il Sistema II, caratterizzato da processi consapevoli, razionali, lenti, logici, lenti e faticosi (simile al livello Knowledge). Secondo Kahneman e Simon, siamo spessi vincolati da una cosiddetta razionalità limitata, termine che indica la natura logicamente imperfetta delle nostre decisioni e dei nostri ragionamenti, che sono guidati da forme di conoscenze parziale, di scarsa rappresentazione delle relazioni fra le informazioni disponibili, di carente visione prospettica sugli sviluppi delle nostre scelte, di inefficace ragionamento probabilistico.
Le forme di decisione e ragionamento più veloci e pratiche
Per cui, certi che non potremo mettere in atto un processo razionale, spesso quando lavoriamo a livello Knowledge sceglieremo forme di decisione e ragionamento più veloci e pratiche chiamate euristiche, cioè forme di ragionamento basate sull’esperienza passata, su informazioni parziali o valutazioni superficiali. Queste euristiche ci consentono di lavorare a livello Knowledge con uno sforzo cognitivo minore e con ottimi risultati, anche se hanno una probabilità maggiore di condurre ad errori o distorsioni sistematiche (bias). A livello di sicurezza le euristiche possono condurre sia a decisioni non corrette che portare la persona a sottostimare la probabilità che accada un incidente.
Vi sono tre tipi di euristiche principali.
L’euristica della disponibilità ci porta a valutare la probabilità di un evento sulla base di quante volte lo abbiamo visto verificarsi nella nostra esperienza o a quanto l’evento è saliente dal punto di vista emotivo. A livello di sicurezza, questa euristica è traducibile con lo scarso utilizzo dei DPI ( dispositivi di protezione individuale) da parte dei lavoratori perché ritengono che l’evento da cui dovrebbero essere protetti non possa accadere. A questa euristica si lega la correlazione illusoria, ossia la valutazione della probabilità o frequenza con cui due eventi possano presentarsi associati.
L’euristica della rappresentatività ci fa stimare la probabilità che accada un evento sulla base della distribuzione di probabilità più rappresentativa nella nostra mente. Ad esempio, se una persona non ha mai avuto incidenti sul lavoro, tenderà a sottostimare la distribuzione di probabilità dell’infortunio, assumendosi più rischi del necessario, forte dei successi passati. A questa euristica è legata la fallacia della congiunzione, che porta a considerare più probabile la congiunzione di due eventi, piuttosto che il manifestarsi di uno dei due, solo perché la loro congiunzione sembra più rappresentativa.
L’euristica dell’ancoraggio (e il successivo aggiustamento) porta le persone a dare giudizi e a fare scelte ancorandosi al primo elemento informativo che si trovano ad analizzare. Per cui, se in un’azienda il datore di lavoro dirà che la percentuale degli infortuni è diminuita non usando i DPI, i lavoratori tenderanno a non utilizzare i DPI sulla base di quanto detto dal loro datore di lavoro senza considerare tutte le altre variabili intervenienti. Legato a questa è l’effetto framing, ossia come la cornice con la quale inquadriamo una serie di informazioni possa condizionare le nostre scelte: se ci chiedessero di lavorare ad un’alta quota con il 30% di possibilità di cadere, probabilmente rifiuteremmo; se invece ci dicessero che avremmo il 70% di possibilità di non correre pericoli saremmo portati ad accettare.
Come si può notare, prendere decisioni non è affatto facile. Anche quando si pensa che si stia prendendo la decisione giusta, spesso cadiamo in errore e le conseguenze possono essere catastrofiche. Come prevenire quindi l’errore prendendo la decisione giusta?
L’aspetto del decision making è riconosciuto come una non technical skill, cioè una competenza di carattere non tecnico, ma altamente performante in termini di contributo alla messa in atto di comportamenti più sicuri, attraverso la quale il lavoratore possa essere in grado di analizzare, reagire ed agire complessivamente e trasversalmente alle diverse situazioni, siano esse prevedibili o di tipo emergenziale.
In quanto tale, la competenza del decision making può essere diffusa tra i lavoratori grazie ad un programma di formazione aziendale, che li formi non solo su questa, ma anche sulle altre competenze a carattere non tecnico. Il fine non è quello di prevenire totalmente l’errore (questa visione ad oggi ci appare utopistica), ma di giungere all’individuazione e minimizzazione dello stesso.
Massimo Servadio*
* Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza lavorativa
Bibliografia:
- Bracco, F. (2013). Promuovere la sicurezza. Roma: Carocci Editore.
- Clerici, P. (2017). INAIL. Conoscere il rischio: Fattore umano e comportamenti. Da: https://www.inail.it/cs/internet/docs/fattore_umano_e_comportamenti_pdf.pdf?section=attivita
- Spadoni, D. (2017). Human factor: come costruire una cultura del comportamento sicuro. PuntoSicuro, Gennaio 2017.
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Giampaolo Meotti - likes: 0 | 24/04/2019 (11:27:45) |
Articolo molto valido perché ha affrontato l'aspetto Decision making da tutti i punti di vista finora conosciuti. Ritengo che in parte abbia sorvolato sul fattore "fatigue" dovuto all'orario di servizio, al Jet lag, che portano alle conseguenze di una carenza di attentività, che credo sia alla base degli errori umani compiuti dal "lavoratore" in particolare pilota. |