Cosa dice la normativa sulla valutazione dello stress termico da caldo?
Napoli, 20 Giu – Nel documento “ La valutazione del microclima. L’esposizione al caldo e al freddo. Quando è un fattore di discomfort. Quando è un fattore di rischio per la salute”, pubblicato nel 2018 dalla Direzione regionale Inail per la Campania, si opera una significativa distinzione tra tipologie di ambienti termici, differente da quella operata dalla normativa tecnica:
- ambienti termicamente moderabili: ambienti nei quali non esistono vincoli in grado di pregiudicare il raggiungimento di condizioni di comfort;
- ambienti termicamente vincolati: ambienti nei quali esistono vincoli, in primo luogo sulla temperatura e sulle altre quantità ambientali, ma anche sull’attività metabolica e sul vestiario, in grado di pregiudicare il raggiungimento di condizioni di comfort.
Una distinzione che, come ricordato anche in altri articoli del nostro giornale, si sofferma, in materia di rischio microclimatico, sulla presenza o meno di ostacoli allo stabilirsi di condizioni di comfort negli ambienti di lavoro.
Con riferimento ai rischi presenti negli ambienti vincolati caldi, ci soffermiamo oggi sulla valutazione dello stress termico da caldo.
Gli argomenti trattati:
- La normativa per la valutazione dello stress termico
- Le norme tecniche e lo stress termico
- Metodo WBGT e metodo PHS
La normativa per la valutazione dello stress termico
Negli ambienti vincolati caldi “esistono vincoli ineludibili che forzano una situazione di squilibrio termico nella quale i guadagni energetici superano le perdite, e di conseguenza impediscono il raggiungimento di condizioni di comfort”. E, dunque, la valutazione dei rischi da eseguire deve “mirare a verificare innanzitutto l’esistenza e successivamente l’entità di un eventuale stress termico”.
A questo proposito il documento Inail indica che il riferimento legislativo fondamentale per la valutazione degli ambienti termici vincolati - caldi e freddi - è il capo I del Titolo VIII del d.lgs. 81/2008: “negli articoli 180 - 185 viene chiarito che il microclima è a tutti gli effetti un agente di rischio fisico e che di conseguenza va eseguita una valutazione del rischio secondo quanto specificato nello stesso decreto all’art. 28”.
Riprendiamo, in particolare, alcuni stralci del contenuto degli articoli 180 e 181:
Articolo 180 - Definizioni e campo di applicazione 1. Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. 2. Fermo restando quanto previsto dal presente capo, per le attività comportanti esposizione a rumore si applica il capo II, per quelle comportanti esposizione a vibrazioni si applica il capo III, per quelle comportanti esposizione a campi elettromagnetici si applica il capo IV, per quelle comportanti esposizione a radiazioni ottiche artificiali si applica il capo V. 3. La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata unicamente dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230(N), e sue successive modificazioni.
Articolo 181 - Valutazione dei rischi 1. Nell’ambito della valutazione di cui all’articolo 28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi. 2. La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici è programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi è aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio. (…) |
Riguardo alla valutazione, al contrario di quanto avviene per il rischio rumore e altri rischi fisici, la legge non contiene, tuttavia, “alcuna indicazione relativa ai metodi mediante i quali verificare la presenza e valutare uno stress termico. In assenza di disposizioni di legge, la materia è di conseguenza interamente delegata alle norme tecniche”.
Le norme tecniche e lo stress termico
Il documento si sofferma dunque sulla normativa tecnica e presenta uno schema a blocchi dei rilevanti standard ISO che intervengono in un ideale percorso di valutazione dello stress termico in ambienti caldi:
Il documento fa poi notare che, a differenza di quanto avviene per gli ambienti moderabili, negli ambienti vincolati caldi “è in via di sviluppo” uno standard dal titolo “Working practices for hot environments” (la norma, indicata inizialmente con ISO 16595, è stata successivamente rinumerata come ISO/WD 23451), “di supporto allo standard di valutazione del rischio”.
Lo schema a blocchi chiarisce che “la vigente normativa tecnica sulla valutazione degli ambienti caldi consente di procedere applicando sia il metodo WBGT, descritto nella norma UNI EN ISO 7243:2017 sia il metodo PHS, descritto nella norma UNI EN ISO 7933:2005” (Ergonomia dell’ambiente termico - Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile).
Metodo WBGT e metodo PHS
Riguardo ai metodi si indica poi che il metodo WBGT è “indubbiamente più semplice ed ha alle spalle molti decenni di applicazione (d’Ambrosio et al. 2014)”.
Tuttavia il metodo PHS (Predicted Heat Strain) risulta “largamente preferibile per i seguenti motivi:
- richiede la misura delle stesse quantità già richieste per l’applicazione del metodo PMV per la quantificazione del comfort termico e quindi non impone strumentazione aggiuntiva; il metodo WBGT richiede al contrario l’uso aggiuntivo del termometro a bulbo bagnato a ventilazione naturale.
- può essere applicato ad una ampia casistica di situazioni sperimentali, sia in termini di vestiario indossato, dimostrandosi assai più flessibile del metodo WBGT.
- segue l’evoluzione nel tempo delle quantità di interesse fisiologico ai fini della identificazione dello stress termico.
- può essere applicato a situazioni ambientali variabili nel tempo, sempre che esse non siano caratterizzate da transienti troppo rapidi.
- produce una quantificazione del rischio termico molto più accurata, che si basa su di un’analisi precisa dell’equilibrio energetico dell’organismo del soggetto esposto e della risposta di questo a situazioni di stress termico. Al contrario il metodo WBGT può unicamente identificare, nel caso di non superamento del limite, situazioni che sicuramente non implicano stress termico. Se l’opportuno limite di accettabilità viene superato, il metodo WBGT richiede che venga eseguita un’analisi più accurata mediante un diverso metodo (ovvero il PHS). Non si vede per quale motivo non si possa utilizzare il metodo PHS fin dall’inizio del processo di valutazione”.
Per tutti questi motivi per la valutazione dello stress termico in ambienti caldi nel documento Inail si fa riferimento unicamente al metodo PHS.
Concludiamo l’articolo rimandando alla lettura integrale del documento Inail che si sofferma ampiamente sui principi, sulle misure e sull’applicazione del metodo PHS.
RTM
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Inail, Direzione regionale Campania, “ La valutazione del microclima. L’esposizione al caldo e al freddo. Quando è un fattore di discomfort. Quando è un fattore di rischio per la salute”, a cura di Michele del Gaudio (Inail, Unità Operativa Territoriale di Avellino), Daniela Freda e Raffaele Sabatino (DIT, Inail), Paolo Lenzuni (Inail, Unità Operativa Territoriale di Firenze) e Pietro Nataletti (DIMEILA, Inail), edizione 2018 (formato PDF, 3.09 MB).
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