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Lavoro e nuove tecnologie: quali sono i rischi delle tecnologie immersive?

Lavoro e nuove tecnologie: quali sono i rischi delle tecnologie immersive?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Digitalizzazione

04/04/2025

Un saggio si sofferma sulla destrutturazione spazio-temporale del lavoro: quali sono i rischi delle tecnologie immersive? Focus sul processo di dematerializzazione e remotizzazione ad opera del progresso tecnologico e sul metaverso.


Urbino, 4 Apr – Con lo sviluppo dei nuovi modelli di impresa connessi alla nozione di Industria 4.0 e alla cosiddetta quarta rivoluzione industriale, con l’ evoluzione tecnologica e digitale – come ricordato anche dalla campagna europea “ Lavoro sano e sicuro nell’era digitale” – sta mutando la nozione di lavoro in relazione al contenuto, alle modalità di svolgimento alle coordinate spazio-temporali dell’attività.

Ed infatti tra i tanti effetti di questo nuovo mondo del lavoro è possibile osservare “come il graduale processo di dematerializzazione e remotizzazione ad opera del progresso tecnologico sottoponga l’attività lavorativa a una ‘destrutturazione’, contribuendo così alla rottura della fissità delle coordinate spaziali e temporali tipiche del fordismo”. E simili trasformazioni costituiscono un chiaro caso di disruptive innovation, ovvero fenomeni dirompenti derivanti dall’evoluzione della tecnologia e capaci di determinare radicali cambiamenti sistemici”.

 

A raccontarlo, soffermandosi su alcuni aspetti specifici del vasto tema delle conseguenze degli attuali sviluppi tecnologici applicati al mondo del lavoro, è un breve saggio dal titolo “La destrutturazione spazio-temporale del lavoro: quali rischi dalle tecnologie immersive?” pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.

Il saggio, scritto da Carlo Valenti (assegnista di ricerca in Diritto del lavoro, Università degli Studi di Siena – Dipartimento di Studi Aziendali e Giuridici), costituisce una rielaborazione aggiornata di una relazione presentata al Convegno su “Lavoro mobile e piattaforme digitali tra nuovi rischi e nuove tutele” che si è svolto il 2 febbraio 2024 presso la Fondazione Marco Biagi.

 

Il contributo – come indicato nell’abstract - si sofferma, dunque, sull’evoluzione della dimensione spazio-temporale della prestazione lavorativa in seguito ai processi di digitalizzazione. Affronta anche il tema della valutazione dei rischi psicofisici e psicosociali associati alla destrutturazione del lavoro tradizionalmente concepito. E approfondisce le possibili implicazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza “che lo spostamento dell’attività lavorativa nella realtà virtuale, come quella del metaverso, potrebbe comportare, soprattutto con riguardo alle esigenze di protezione dei meta-lavoratori e agli oneri in capo alla parte datoriale”.

 

Nel presentare brevemente il saggio, l’articolo affronta i seguenti temi:



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Le modalità lavorative destrutturate e le ricadute sui lavoratori

L’autore indica, nella prima parte del saggio, che la proliferazione di modalità lavorative sempre più “destrutturate” e flessibili ha “contribuito a rendere più fluido il confine di luoghi e tempi di lavoro, causando ‘ripercussioni sulle modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa’ e, di conseguenza, arrivando persino a spostarne la collocazione anche oltre i tipici limiti geografici”. E tale trasformazione, malgrado sia associata “alla prospettiva di una migliore efficienza, produttività e competitività per le imprese, non è esente da considerevoli ricadute sulla sfera della persona dei lavoratori, i quali, proprio in forza del mutamento della dimensione spazio-temporale dell’attività lavorativa, si trovano a doversi confrontare con ‘terreni ignoti’”.

 

Senza dimenticare che questi cambiamenti in relazione ai luoghi, ai tempi e agli strumenti di lavoro non solo incidono sul contenuto delle mansioni e sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, “ma anche sui rischi e i pericoli associati ai nuovi ambienti e mezzi di lavoro”. Senza poi trascurare “le implicazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che possono derivare dall’ iper-digitalizzazione, fenomeno associato a nuovi rischi emergenti e, in senso più ampio, foriero di una complessa sfida per l’attuale quadro regolatorio”.

 

E, dunque, con l’impiego delle nuove tecnologie, dei sistemi robotici, dell’ intelligenza artificiale, di “sistemi decisionali semi-automatizzati e automatizzati di natura algoritmica”, la figura del lavoratore è “ad oggi esposta a un significativo numero di rischi sotto il profilo psicofisico e psicosociale”. In questo senso cambiamo anche gli oneri concernenti la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori per la parte datoriale: ora ci si ritrova, oltre a “dover svolgere più accurate valutazioni preventive in merito alle criticità connesse all’impiego di nuove tecnologie”, a “fronteggiare vecchi e nuovi rischi emergenti dallo svolgimento della prestazione lavorativa in contesti sempre meno fisici”.

 

La destrutturazione del lavoro, il metaverso e il nuovo modello prevenzionale

Rimandando alla lettura integrale del saggio, che si sofferma su vari aspetti, veniamo ad alcune considerazioni conclusive dell’autore.

 

Si ribadisce che la destrutturazione del lavoro, incentivata, come indicato in apertura di articoli, dai processi di dematerializzazione e remotizzazione, “costituisce un fenomeno multiforme e riguardante molteplici aspetti dell’ambito lavorativo, nonché foriero di una crescente complessità sul piano regolatorio”.

E questo è indubbiamente riscontrabile nel “ metaverso”, che è in grado di “porsi a metà tra ambiente e strumento lavorativo”, e nelle “relative implicazioni che la prospettiva del lavoro nella realtà virtuale genera per il diritto del lavoro; quest’ultimo, del resto, si potrebbe trovare in un futuro non troppo lontano a dover affrontare una serie di questioni legate alla tutela dei lavoratori e dei relativi diritti nella realtà virtuale”.

 

L’autore invita a riflettere, ad esempio, su come l’ambiente interamente dematerializzato “potrebbe condizionare l’esercizio dei diritti dei meta-lavoratori, ma allo stesso tempo costituire un interessante esempio di soluzione ascrivibile al campo degli accomodamenti ragionevoli, potendo un simile ambiente ‘abilitare prestazioni lavorative altrimenti ostacolate dalla disabilità/inidoneità della persona fisica, permettere simulazioni preventive e test (cd. virtual commissioning), che possono evitare lesioni alla salute nel mondo reale, così come eliminare l’esposizione a determinati rischi attraverso il mero contatto con le copie virtuali’” (M. Peruzzi, “Almeno tu nel metaverso”). E “altrettante complessità sotto il profilo delle potenzialità e delle criticità associate delle nuove tecnologie sono riscontrabili per i sistemi algoritmici e l’applicazione dell’ intelligenza artificiale alle varie dimensioni del lavoro, non essendo queste una prerogativa esclusiva della realtà virtuale”.

 

In questo senso si sottolinea, “a prescindere dal grado di pervasività e complessità della tecnologia impiegata dal datore di lavoro”, l’importanza del principio di “human in control”: non deve essere trascurata “la conservazione di un controllo da parte dell’uomo sulle macchine, che in forza dell’automatizzazione dei processi e delle decisioni potrebbe gradualmente venir meno”.

 

Questo principio – presente anche nell’ Accordo quadro europeo sulla digitalizzazione del 22 giugno 2020 – deve “impedire che, che la vita professionale dei lavoratori venga assoggettata a scelte completamente automatizzate e sulle quali il datore di lavoro non può intervenire”.

E dunque, “in assenza di una scarsa progettazione dell’organizzazione del lavoro in realtà come quella del metaverso, si teme uno scenario in cui, oltre alle ricadute sulla salute e sicurezza dei lavoratori evidenziate, una simile innovazione tecnologica vada a causare ‘il rischio di ambiguità e carenza di informazioni sul ruolo, sulle responsabilità, sui compiti da eseguire’” (M. Peruzzi, Nuove tecnologie e salute dei lavoratori).

 

Insomma, il diritto del lavoro – di fronte a “processi decisionali, strumenti e luoghi di lavoro interamente dematerializzati (o virtuali)” - deve “sviluppare degli adeguati strumenti regolatori che possano garantire una tutela del lavoratore non solo con riferimento all’ambiente interno ed esterno all’impresa, ma anche oltre la connotazione fisica”. Ed è ragionevole ritenere – continua l’autore - che “in ogni caso il datore di lavoro si troverà tenuto a tutelare l’integrità psicofisica e psicosociale del lavoratore a prescindere dal fatto che l’ambiente sia configuri come fisico, digitalizzato o virtuale”.

 

In definitiva – in un contesto “sempre più digitalizzato e imprevedibile come quello prospettato dalla destrutturazione spazio-temporale del lavoro” - sarà fondamentale “mantenere l’attenzione sulla maggiore pervasività dei rischi, soprattutto per quanto riguarda quelli psicosociali”. E le misure per la tutela del lavoratore “dovranno considerare le specifiche caratteristiche associate a un ambiente di lavoro dematerializzato, tenendo in particolare a mente la specialità di essa nello svolgimento della prestazione lavorativa”.

In questo senso andrà ad “acquisire una forte rilevanza la mappatura dei rischi emergenti connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa nei nuovi ambienti di lavoro, soprattutto in ambiti ad oggi ancora inesplorati come quello della dimensione virtuale”. E una simile attività di valutazione sarà necessaria “anche ai fini della formazione obbligatoria dei meta-lavoratori, essendo, oltre a un obbligo del datore di lavoro definirne contenuti e modalità ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 81/2008, anche una delle soluzioni principali per fronteggiare rischi presenti nell’ambiente dematerializzato”.

 

Dunque, con l’auspicio anche di un “ruolo centrale” per le parti sociali e di un approccio “partecipato” (quadro strategico in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2021-2027 della Commissione europea), sarà necessario sviluppare “un nuovo modello prevenzionale per il lavoro senza luogo fisso”. Infatti in un sistema produttivo “in cui le coordinate spazio-temporali del lavoro hanno ormai perduto la propria fissità e la fisicità non costituisce un concreto limite allo svolgimento di molteplici prestazioni lavorative”, è doveroso “adottare una lettura estensiva delle misure di protezione dei lavoratori, scorporando così il diritto alla salute e sicurezza da uno specifico luogo di lavoro in favore di una connotazione maggiormente legata alla persona del lavoratore”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale del saggio, che riporta anche, nel dettaglio, tutte le fonti utilizzate, e ricordiamo, in conclusione, alcuni temi specifici trattati:

  • i rischi per la figura del lavoratore a fronte della dilatazione dei poteri datoriali
  • la time porosity nel lavoro senza vincoli spazio-temporali
  • il tecnostress lavoro-correlato, ibridazione di luoghi e strumenti digitalizzati
  • i rischi emergenti dal lavoro nel metaverso e le esigenze di tutela nella realtà virtuale
  • i rischi ergonomici, biologici e fisici per il meta-lavoratore
  • le ricadute psicosociali, tecno-patologie e invasione della privacy nella realtà virtuale

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “La destrutturazione spazio-temporale del lavoro: quali rischi dalle tecnologie immersive?”, a cura di Carlo Valenti (assegnista di ricerca in Diritto del lavoro, Università degli Studi di Siena – Dipartimento di Studi Aziendali e Giuridici), Diritto della Sicurezza sul Lavoro (DSL) n. 2/2024.

 



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