La sicurezza sul lavoro è un obbligo che non tollera interruzioni temporali
Ospitiamo un contributo di Lisanna Billeri, Tecnico della Prevenzione Unità Funzionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro zona Valdinievole , AUSL Toscana Centro.
Fonte autorevole e merito dell’approfondimento al dott. Luigi Boccia, Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia.
Il principio della non interruzione temporale della sicurezza e irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro
Capita spesso di considerare il D.Lgs. 81/08 come l’unica fonte normativa vigente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ma, in realtà, pur attuando un notevole riordino della normativa specifica, lascia fuori dal proprio corpus iuris una quantità notevole di leggi ancora vigenti in materia e si inserisce in un ordinamento giuridico costellato di disposizioni contenute nei vari codici esistenti (penale, civile, di procedura penale e di procedura civile). A ciò si aggiungono le altre fonti giuridiche che per vari versi interessano la materia della salute e sicurezza sul lavoro, come la Costituzione e le leggi costituzionali, le norme comunitarie e la legislazione regionale.
Il D.Lgs. 81/2008 rappresenta solo una parte del nostro ordinamento prevenzionistico. Vero è, che questo decreto legislativo ha operato un radicale riordino della materia, raccogliendo in se le più importanti norme vigenti.
Da una logica dell’accettazione del rischio e della sua “monetizzazione”, ossia della corresponsione di indennità a fronte dell’esecuzione di lavorazioni fortemente pericolose per la salute dei lavoratori, siamo giunti alla L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (SSN), che annoverava fra i propri obiettivi la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro e la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro. La Legge n. 833/78 introduceva inoltre una novità, rappresentata dall’idea di considerare unitariamente la tutela dei luoghi di lavoro e quella dell’ambiente circostante.
Le funzioni di tutela della salute dei lavoratori, già di competenza dell’Ispettorato del Lavoro, venivano trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Negli anni ’80 un primo gruppo di direttive europee, che fa capo alla direttiva madre 80/1107/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, introduce norme in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici. Alcune di tali norme sono state recepite in Italia negli anni ’90 con il D.Lgs. 277/1991 e il D.Lgs. 77/1992.
Queste norme segneranno il passaggio dal principio della massima sicurezza ragionevolmente fattibile, che considera prevalenti i fattori di carattere economico inerenti i costi delle misure di sicurezza da realizzare, a quello della massima sicurezza tecnologicamente praticabile, che pone in primo piano la sicurezza dei lavoratori a prescindere dalle motivazioni economiche dell’imprenditore e dell’impresa.
Nel 1989 un secondo gruppo di direttive, comprendenti la direttiva quadro 89/391 e le sette direttive “figlie” ad essa collegata, enuncia specifiche norme per determinati settori o aspetti della sicurezza. Rispetto al primo gruppo di direttive, i cui obiettivi si fermavano al dovere di formazione-informazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, questo secondo gruppo introduce un livello di protezione più elevato attraverso la logica della partecipazione equilibrata.
Queste direttive furono recepite nel nostro Paese con cinque anni di ritardo, attraverso il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, profondamente modificato ed integrato, dopo solo due anni, dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242. Con questa legge viene notevolmente definita la responsabilità penale dei vari soggetti che sono coinvolti a vario titolo nell’attività dell’impresa.
Gli interventi legislativi di questi ultimi anni segnano il definitivo passaggio dal sistema di protezione oggettiva, che aveva caratterizzato la legislazione prevenzionistica degli anni ’50, al programma di protezione soggettiva, basato cioè sull’informazione, la formazione e l’addestramento dei lavoratori sull’uso delle macchine operatrici, delle attrezzature di lavoro, dei dispositivi di protezione, sui rischi specifici presenti nell’ambiente di lavoro, e, soprattutto, sulla preparazione e partecipazione di ogni soggetto dell’impresa al programma di prevenzione.
La stratificazione che, inevitabilmente, ha accompagnato questa lunga evoluzione normativa ha determinato l’esigenza di sistematizzazione e di consolidamento dei provvedimenti legislativi, che, sebbene già disposta dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, si e concretizzata, dopo vani precedenti tentativi, solo con la L. 3 agosto 2007, n. 123. Tale legge ha costituito il primo decisivo passo mosso in direzione di una concreta codificazione delle leggi vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Lo scopo principale della delega contenuta all’art. 1 era, infatti, l’emanazione di “uno o piu decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, e garantendo l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”.
Tali disposizioni, concernenti tra l’altro il coordinamento nei lavori in appalto e nei contratti d’opera mediante l’obbligo del documento unico di valutazione dei rischi (cd. DUVRI), l’attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la responsabilità amministrativa delle società per la violazione delle norme antinfortunistiche, sono state poi riprese dal D.Lgs. 81/2008.
Tra i principi e i criteri direttivi della delega contenuta nella L. 123/2007 (art. 1, comma 2) si prende in esame il principio della non interruzione temporale della sicurezza e dell’irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro secondo cui si è affermata la responsabilità penale del dirigente incaricato di assicurare contemporaneamente la prevenzione infortuni in due distinti luoghi di lavoro, il quale - pur avendo constatato l'impossibilità di adempiere adeguatamente al duplice incarico ricevuto -non si astiene dal porre in essere un'attività che gli impediva di garantire la sicurezza del lavoro.
“in caso di infortunio sul lavoro determinato dall‘omissione delle prescritte misure di sicurezza, è penalmente responsabile il dirigente incaricato di assicurare contemporaneamente la prevenzione degli infortuni in due distinti luoghi di lavoro, il quale, pur avendo constatato l’impossibilità di adempiere adeguatamente al duplice incarico ricevuto, non si sia astenuto da una attività che gli impediva di garantire la sicurezza del lavoro”.
“l’imprenditore per adempiere al dovere di sorveglianza, ha l’ obbligo di essere sempre presente sul posto di lavoro e di assistere allo svolgimento dell’attività dei suoi dipendenti, senza allontanarsi dal cantiere prima di avere impartito opportune disposizioni ovvero avere delegato alla vigilanza persona capace e qualificata” in quanto “era suo dovere non accollarsi contestualmente una molteplicità di incombenze incompatibili rispetto all’ obbligo di vigilare a che gli operai non trasgredissero norme antinfortunistiche e di comune prudenza.” [ Cass.pen.Sez IV sent n.9690 18 .9.91 Cass. Pen. Sez. IV sent. 2204 6.4.97 fonte dossier ambiente n.91].
Occorre notare che “la diligenza definita genetica che deve sovraintendere alla costituzione dell’organizzazione, non può estinguersi improvvisamente ma deve proseguire nel verificare la perdurante efficacia del sistema, non essendo sufficiente fornire un mezzo adeguato se non si
continua a verificarne l’efficacia e la tenuta” (Tribunale ordinario di Milano, Sez. IV pen., 13.10.99, Pres. Martino): questo concetto di verifica continua della perdurante efficacia del sistema della prevenzione, rappresenta elemento di raccordo tra le esigenze del sistema giuridico con quelle dei sistemi di gestione, in particolare quelli di sicurezza e salute dei lavoratori (es. Standard OHSAS 18001). E’ il principio fondamentale per il quale la sicurezza non tollera interruzioni temporali.
Con sentenza del 19 gennaio 2005, n. 1238 la Corte di Cassazione- Sezione quarta, ha affermato che “il controllo che il datore di lavoro deve esercitare al fine delle misure di sicurezza stabilite dall’ordinamento lavoristico, consiste nelle misure relative a informazione, formazione, attrezzature idonee, presidi di sicurezza, e comunque ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e di diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Anche se tale controllo non può essere sempre realizzato allo stesso datore di lavoro è richiesta comunque una gestione oculata dei luoghi di lavoro e la predisposizione di tutte le misure obbligatorie stabilite dalla legge.
Testualmente la Cassazione ha statuito che “quanto al dovere di presenza costante del datore di lavoro e soggetti equiparati sul luogo di lavoro, va ricordato il principio secondo il quale ‘ad impossibilia nemo tenetur’, concreta esplicazione del principio di ragionevolezza ed esigibilità della prestazione. Pertanto, tale obbligo va inteso nel senso che i soggetti tenuti debbono assicurare, più che la presenza fisica che non è in sé necessariamente idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori, la ‘gestione’ oculata dei luoghi di lavoro, mediante la predisposizione di tutte le misure imposte normativamente (informazione, formazione, attrezzature idonee e presidi di sicurezza), nonché di ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro”.
E’ dunque ribadito il dovere di controllo del datore di lavoro e dei soggetti a lui equiparati sulla sicurezza che implica una gestione attenta attraverso la predisposizione di tutte le misure imposte dalla norma: informazione, formazione ed informazione dei dipendenti sui rischi dell’attività effettivamente rivestita; l’utilizzo di attrezzature idonee e dispositivi di sicurezza nonché la messa in opera di ogni misura idonea secondo le ordinarie regole di prudenza e diligenza che garantiscano la sicurezza nei luoghi di lavoro.
In tema di responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio sul lavoro subìto da un suo dipendente, l’operatività del principio che l’iniziativa imprudente e negligente del lavoratore infortunato non esclude la responsabilità del datore di lavoro che non ha vigilato.
Non di meno il principio per cui la sicurezza non conosce interruzione temporale non è sminuito dalla pluralità di luoghi di lavoro.
E’ bene tenere presente il principio consolidato nella giurisprudenza secondo cui la sicurezza del lavoro è un obbligo permanente che non tollera interruzioni temporali. L’obbligo di vigilanza sull’attività dei lavoratori, finalizzata alla tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore attraverso le misure dettate dal principio della massima sicurezza tecnica-organizzativa e procedurale concretamente fattibile, costituisce un obbligo imprescindibile ed ineludibile che il datore di lavoro deve esercitare direttamente, o qualora l’azienda sia organizzata funzionalmente secondo una gerarchia di ruoli e di compiti, rappresentata da varie figure di dirigenti e preposti, anche indirettamente, verificando che i compiti attribuiti vengano effettivamente espletati e prevedendo che le funzioni aziendali siano congrue ed adeguate alla dimensione del rischio da prevenire.
Un particolare onere di vigilanza è esplicitamente previsto in caso di lavoratori inesperti, apprendisti, somministrati o in prova . “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è sempre tenuto personalmente a vigilare sull’attività di apprendisti o lavoratori inesperti che non possiedono cioè l’esperienza, l’attenzione, l’accortezza e la capacità di previsione”, diverse sentenze precisano questo concetto, secondo cui il datore di lavoro è sempre tenuto a vigilare sull’attività del lavoratore soprattutto se questo è inesperto. L’obbligo di vigilare permane anche se il lavoratore sia stato affidato ad altro operaio più esperto, delegato alla sua istruzione tecnica. Il datore di lavoro non può invocare a sua discolpa l’affidamento del lavoratore (apprendista, o inesperto o in prova) ad altra persona, in quanto il compito di controllo e di vigilanza sulle norme di prevenzione nei luoghi di lavoro spetta sempre e comunque al datore di lavoro o al dirigente ritualmente all’uopo investito.
Vigilare significa anche incaricare un numero adeguato di preposti: i principi in materia di responsabilità per culpa in vigilando del datore di lavoro, anche in relazione all’obbligo di organizzare adeguatamente la sorveglianza incaricando un numero sufficiente di preposti idonei per lo svolgimento di tale fondamentale compito prevenzionistico, sono stati evidenziati con particolare efficacia dalla giurisprudenza.
Controllo del datore di lavoro affinché il preposto vigili:
“in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di sicurezza l’imprenditore che, dopo l’avvenuta scelta della persona preposta al cantiere o incaricata dell’uso dei suddetti strumenti di lavoro non controlla o – se privo di cognizioni tecniche- non fa controllare la rispondenza dei mezzi usati ai dettami delle norme antinfortunistiche. In tal caso la presenza e l’eventuale colpa del preposto non eliminano la responsabilità dell’imprenditore potendosi ritenere che l’infortunio non sarebbe occorso se il datore di lavoro avesse controllato e fatto controllare le macchine e predisposto i mezzi idonei a dotarle dei requisiti di sicurezza mancanti, conferendo al preposto – come suo “alter ego” – non solo la generica delega a sorvegliare lo svolgimento del lavoro in cantiere ma anche dotandolo dei poteri di autonoma iniziativa- anche eventualmente di spesa o di modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo – per l’adeguamento e l’uso in condizioni di sicurezza dei mezzi forniti. [sent. 3602 marzo 2008].
La vigilanza presuppone che a monte siano state individuate tutte le misure idonee a prevenire i rischi lavoratori, ovvero sia stato adempiuto l’obbligo preliminare di valutare tutti i rischi e siano attuate tutte le misure che dovranno essere effettive: lo diventano solo qualora sia controllato a cura della gerarchia aziendale il rispetto delle stesse da parte dei lavoratori.
..”il controllo che datore di lavoro deve esercitare sull’operato dei dipendenti perché non si verifichino infortuni sul lavoro, essendo finalizzato a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, non può risolversi nella messa a disposizione di questi ultimi dei dispositivi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene ma deve costituire una delle particolari attività dell’imprenditore gravando su quest’ultimo l’onere di fare cultura sul rispetto delle norme antinfortunistiche, di svolgere continua assidua azione pedagogica, con il ricorso, se del caso, anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguino alle citate disposizioni” …[Cass. Pen. 6/10/2005]
..”in tema di infortuni sul lavoro, l’esistenza sul cantiere di un preposto – salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una particolare competenza – non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico soltanto il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri”..[ Cass. Pen. sent. N. 1142 del 27 gennaio 1999]
..”gli obblighi dell’imprenditore in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non si esauriscono nell’apprestamento delle attrezzature necessarie a detto scopo, ma si estendono alla costante vigilanza volta a prevenire e, in ogni caso, a far tempestivamente cessare eventuali manomissioni da parte dei dipendenti: ne consegue che l’accertata violazione di una norma antinfortunistica vale da sola a configurare la colpa del datore di lavoro [Cass. Sez. Lav. n. 7772 del 7/8/98].
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