Sicurezza sul lavoro: modificare il corpus normativo è sempre efficace?
Come già avvenuto più volte in passato, appena c’è un cambio di Governo, si riparte con il solito copione che vede l’esecutivo proporre radicali modifiche all’acromegalico corpus normorroico del nostro Paese al fine di un presunto miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro. Nella scorsa gestione governativa sono state effettuate alcune modifiche al D. Lgs. n. 81/2008, anch’esse presentate come in grado di dare una spinta fondamentale al miglioramento della situazione (L. n. 215/2021).
La spinta è stata così efficace che, ancora oggi, stiamo a discutere se il preposto debba essere individuato o nominato o entrambi, se un datore di lavoro che lavora in una macelleria, spalla a spalla, con i suoi lavoratori debba essere nominato preposto, se un lavoratore debba essere preposto di sé stesso ed altre amenità del genere.
Tutto ciò è palesemente indicativo di quanto siano state chiare, risolutive ed efficaci queste modifiche.
Comunque, credo che ormai la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori pensi che l’Italia, per quanto riguarda le regole in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (e non solo), sia un Paese piuttosto particolare.
Personalmente posso dire di aver fatto l’abitudine a vedere, fin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso con i cantieri di Italia ’90, quando accade qualcosa di molto grave, partire la corsa alla proposta definitiva per la risoluzione del problema. Per questo motivo sono ormai straconvinto che il nostro sistema prevenzionale è un sistema da manutenzione a guasto.
In Italia, negli ultimi 35 anni si è legiferato solo sotto due tipologie di spinte:
- quelle che arrivavano dalla UE sotto forma di regolamenti, direttive europee da recepire, ecc.;
- quelle emozionali-emergenziali, all’accadere di gravi eventi.
Il meglio di sé il legislatore lo ha sempre dato e continua a darlo quando si tratta di legiferare sotto spinte emozionali – emergenziali.
Quando si verificano fatti gravi, questi attirano l’attenzione dei mass media e, di conseguenza quella della pubblica opinione.
Questa situazione diventa, per i politici che, in genere, sanno poco o nulla di sicurezza sul lavoro ma sono, invece, molto attenti a cosa pensa la pubblica opinione, un’opportunità, ai fini del mantenimento o incremento del consenso popolare.
Ecco, quindi, che dopo questi tragici eventi si assiste alla solita sequela di dichiarazioni del tipo:
- <<Questi tragici fatti non devono più avvenire!>>
- <<Gli infortuni sul lavoro sono una piega che va estirpata!>>
- << Siamo un Paese leader in Europa e quindi non è accettabile che in Italia avvengano episodi del genere!>>
- <<Ci vogliono nuove leggi più efficaci!>>
- << Bisogna assumere più ispettori per fare maggiori controlli!>>
- <<Bisogna introdurre il reato di omicidio sul lavoro>>
e, dulcis in fundo
- << Ci vuole una Procura Nazionale del Lavoro!>>.
La tendenza è sempre la stessa e cioè quella che parla alla pancia della pubblica opinione.
Ai primi di luglio si è verificato un incendio in una RSA di Milano provocando la morte di sei anziani ed il ricovero in ospedale di molti altri.
I proclami hanno seguito il solito copione senza attendere gli esiti dell’indagine.
Adesso non resta che aspettarci la proposta dell’ennesimo provvedimento legislativo per questo tipo di strutture al fine di dimostrare l’attenzione della politica a questi eventi.
Riguardo l’ultimo intervento e cioè la Legge n. 85/2023 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2023 con cui si convertiva in legge il Decreto lavoro, l’articolo d’interesse è l’art. 14 che modifica una serie di articoli del D. Lgs. n. 81/2008.
Le modifiche riguardano i seguenti articoli:
- articolo 18 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente;
- articolo 21 - Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi;
- articolo 25 – Obblighi del medico competente;
- articolo 37 – Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti;
- articolo 71 – Uso delle attrezzature di lavoro – Obblighi del datore di lavoro;
- articolo 72 - Uso delle attrezzature di lavoro – Obblighi dei noleggiatori e dei concendenti in uso;
- art. 73 - Uso delle attrezzature di lavoro – Informazione, formazione e addestramento.
- Articolo 98 - Requisiti professionali del coordinatore per la progettazione, del coordinatore per l’esecuzione dei lavori
Francamente trovo inutile commentare queste modifiche, compreso il cortocircuito creato con l’intervento sull’art. 18 comma 1, lett. a) e cioè l’obbligo di nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria non solo nei casi previsti dal D. Lgs. n. 81/2008 ma anche qualora richiesto dalla valutazione dei rischi.
L’hanno già fatto molto bene altri commentatori.
Quello che vorrei fare ancora una volta è una fotografia dell’attuale situazione e presentare una serie di proposte d’intervento che, prendendo atto dell’esistente, individui strade alternative da quelle che da decenni vengono presentate come risolutive.
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Partiamo da lontano.
L’Italia, come membro UE, deve recepire le direttive sociali con appositi provvedimenti. La realtà dei fatti ci porta a constatare che quando gli esperti a cui si è affidato il nostro legislatore ci hanno messo le mani, il più delle volte sono riusciti a stravolgere gli obiettivi ed i contenuti della direttiva al punto tale da far aprire procedure d’infrazione. Si pensi al RSPP del D. Lgs. n. 626/1994, alla nomina dei CSP/CSE del D. Lgs. n. 494/1996 e via dicendo.
Quando il nostro legislatore si è dato da fare in autonomia ha partorito norme nebulose, inapplicabili nella realtà e, di conseguenza, oggetto di interpretazioni ondivaghe anche da parte della magistratura giudicante.
Siamo un Paese dove hanno proliferato e, purtroppo, proliferano ancora, i profeti dell’integralismo repressivo, i pasdaran della sicurezza, i taliban della salute e cioè quelli che vengono considerati, dai meno attrezzati, i paladini di un bene costituzionalmente tutelato mentre altro non sono che soggetti che hanno speculato per anni sul fenomeno per proprio professionale tornaconto. Del resto, se si vuol vendere qualcosa, dopo il sesso, è la paura che più incentiva un acquisto.
Siamo un Paese con una classe politica incapace di comprendere che la formazione alla sicurezza, l’aumento dei controlli e delle sanzioni sono assolutamente inefficaci se non accompagnati da altre iniziative che incidano sui modelli decisionali e comportamentali delle imprese, grandi o piccole che siano. Politici, e non solo, che continuano a parlare di Obiettivo Zero Infortuni confondendo così una Visione (Zero Infortuni) con un Obiettivo (riduzione del 30% degli infortuni totali nel prossimo triennio).
Per quanto riguarda noi addetti ai lavori da anni si sta assistendo alla moltiplicazione degli esperti e ricercatori da scrivania, imbucati in qualunque gruppo di lavoro, commissione, ecc. spesso sotto l’egida della propria istituzione pubblica, che si ergono a dispensatori del sapere specifico ma con esperienza sul campo praticamente nulla.
Per quanto riguarda le indagini in seguito ad infortuni sul lavoro, ormai chi indaga tende a inviare informazioni di garanzia a strascico, coinvolgendo anche soggetti che, con un minimo di analisi, sarebbero risultati palesemente estranei ai fatti. Le conseguenze di questo approccio sono facilmente intuibili.
Altro fenomeno è l’autopromozione martellante di soggetti sui social e l’autopubblicazione di propri scritti utilizzando le possibilità offerte dal web, spacciandosi come grandi dispensatori del sapere specifico. La loro presenza sul web è così frequente che viene spontaneo domandarsi se questi passano più tempo sul web o nelle aziende a contatto con i problemi concreti.
Quale oggi sia il trend degli infortuni sul lavoro non lo sappiamo visto che i dati resi noti non sono statisticamente significativi in quanto presentati in valore assoluto e non pesati sul numero di addetti o sulle ore retribuite come previsto, oltre che dal buon senso, anche dalla UNI 7249.
Proliferano i cartai, con effetto devastante sulla Foresta Amazzonica a causa della conseguente deforestazione, grandi produttori di pezzi di carta sotto la spinta della perenne ricerca di evidenze formali ai fini dell’adempimento degli obblighi.
Iniziative e metodologie presentate come la soluzione finale al problema salute e sicurezza sul lavoro ma che, in realtà, sono proposte ampiamente datate e ben ri-confezionate.
Diffusione epidemica di iniziative di marketing emozionale della sicurezza, tramite spettacoli teatrali, adunate varie, ecc. ma con impatto zero sulla sicurezza degli operatori sul campo.
Possibilità, praticamente per chiunque, di ergersi a Formatore per la sicurezza grazie anche alle maglie extralarge del D. I. 6/3/2013.
Mancanza di criteri uniformi per la valutazione dell’efficacia della formazione visto che, nella migliore delle ipotesi, ci si limita alla valutazione del gradimento e dell’apprendimento ma raramente si procede con la valutazione del trasferimento al lavoro e delle ricadute sull’organizzazione.
Nascita di associazioni professionali come funghi dopo la pioggia a settembre, con il loro principale business che è quello dei corsi di formazione.
Approccio da forno a microonde, prediligendo iniziative formative già confezionate e pronte all’uso.
Nascita di una miriade di corsifici e visitifici in grado di sfornare attestati formativi e giudizi d’idoneità un tanto al chilo.
Progressivo scadimento della qualità della Formazione erogata.
Addetti ai lavori divenuti il target principale dei corsifici essendosi ridotto il mercato della Formazione dei lavoratori.
Difficoltà di tracciamento della formazione e dell’addestramento erogati vista l’assenza di una qualche forma di registrazione (che fine ha fatto il Libretto Formativo del Cittadino?).
Vista questa fotografia dell’attuale situazione, si può facilmente constatare che, in realtà è mancata e manca tutt’ora una vera ed efficace strategia per la riduzione del fenomeno che tenga conto del contesto organizzativo e delle tante variabili in gioco.
Andando a guardare i dati ISTAT sul tessuto imprenditoriale del nostro Paese, oggi il 95,1% delle imprese ha meno di dieci dipendenti con il 43,7% della forza lavoro.
Pertanto, non si può che constatare che la stragrande maggioranza delle imprese del nostro Paese non sono neanche lontanamente in grado di darsi una struttura organizzativa per adempiere ad una serie di obblighi che il legislatore, invece, dà per scontati.
A questo punto, preso atto della situazione esistente quali potrebbero essere le proposte per innescare un effettivo cambiamento dell’approccio finora seguito ai fini del miglioramento della SSL (Salute e Sicurezza sul Lavoro)?
Innanzi tutto, dovrebbe cominciare la UE a legiferare tramite i Regolamenti al posto delle Direttive Sociali in modo da evitare che il legislatore nazionale ci metta le mani (specialmente qui in Italia, visti i tanti precedenti). Comprendo che ciò possa essere inteso come una eresia ma qualunque miglioramento è impossibile senza un cambiamento e chi non vuol cambiare idea non può cambiare nulla.
In termini di approccio al problema, si dovrà passare da un sistema solo repressivo ad uno incentivante che premi significativamente il miglioramento (l’oscillazione bonus-malus del premio Inail non basta).
Il nostro sistema regolatorio va profondamente modificato in modo da renderlo più semplice, meno acromegalico, normorroico e, soprattutto, adattato alle organizzazioni aziendali in funzione delle loro particolarità (dimensioni, settore, fattori di rischio, ecc.), ricorrendo maggiormente alla normazione tecnica come regolatrice ed utilizzando l’apporto di tecnici che abbiano maturato esperienza consumando le suole delle scarpe nelle aziende a diretto contatto con i problemi e, quindi, in grado di proporre soluzioni efficaci e sperimentate e non nei corridoi di qualche ministero o di una rappresentanza sindacale delle Parti Sociali o di un’aula universitaria o di una Procura.
Vanno avviate campagne di comunicazione specifica:
- per la Pubblica Opinione, al fine di favorire la presa di coscienza che un’azienda che non tutela, sotto tutte le forme previste dal nostro ordinamento, il proprio personale è priva di etica e, quindi, degna di riprovazione e orientarsi, così, verso altri fornitori di prodotti/servizi;
- per le Piccole Imprese puntando sull’impegno etico che l’imprenditore assume per tutelare l’integrità psicofisica delle sue persone e sulla possibilità d’incidere su tutti quegli aspetti che influenzano negativamente il funzionamento dell’impresa (perdita di competitività, assenteismo, conflittualità, turnover, ecc.) non compensabili per la piccola impresa.
Introdurre efficaci sistemi per l’accesso e permanenza sul mercato vincolandoli al preventivo soddisfacimento dei requisiti minimi in tema di sicurezza e tutela della salute. Riguardo questo aspetto c’è da domandarsi che fine abbiano fatto il Decreto per la Qualificazione o la Patente a punti per le imprese (vedasi, ad esempio, l’articolo “ Una proposta per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi”) .
Altro aspetto su cui intervenire è quello relativo all’introduzione di un sistema di sgravi fiscali e contributivi significativi per investimenti relativi ad interventi miglioramento continuo del livello di sicurezza, articolati secondo piani triennali di sviluppo.
Ci si può dimenticare della Pubblica Amministrazione? Ovviamente no e, quindi, regolarizzare le palesi situazioni di rischio presenti in un qualunque ministero, ospedale, ufficio, scuola, ecc., altrimenti quale coerenza e credibilità può avere lo Stato (nonché Regioni, Province, Comuni) visto che è il primo a non rispettare le regole.
Al riguardo, a proposito di coerenza da parte del legislatore, certamente non va in questa direzione la recente modifica apportata dalla L. n. 85/2023 all’art. 18 comma 3 del D. Lgs. n. 81/2008 dove si ribadisce che gli obblighi previsti dal decreto a carico delle amministrazioni tenute alla fornitura e alla manutenzione degli edifici scolastici statali si intendono assolti con l'effettuazione della valutazione congiunta dei rischi strutturali degli edifici, alla quale sia seguita la programmazione degli interventi necessari nel limite delle risorse disponibili.
Per quanto riguarda la formazione e l’addestramento deve essere profondamente rivisto l’approccio degli Accordi SR aprendosi anche all’utilizzo dei nuovi strumenti che la tecnologia rende disponibili (realtà aumentata, realtà virtuale, ecc.).
Come si ripete da più di tre decenni, la SSL dovrebbe divenire materia di studio negli Istituti superiori e nelle facoltà universitarie definendo, però, dei contenuti tarati in funzione della tipologia di percorso di studi avviato. Questo perché far fare ad un docente in un istituto tecnico lezioni su Diritto della sicurezza sul lavoro è assolutamente inutile visto l’indirizzo del percorso di studi.
Passare ad una aggiudicazione degli appalti pubblici con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sarebbe molto utile al fine di premiare quelle imprese che investono nella SSL. Abbiamo visto, però, che il nuovo Codice degli Appalti, va in direzione opposta.
Passando alle proposte tacciabili di eresia, la prima cosa da fare, come già altre volte proposto su Puntosicuro da chi scrive, visto che con 4,3 mln di imprese non sarà sufficiente neanche decuplicare i controllori, non resta che depenalizzare i reati di puro pericolo ed esternalizzare ad Organismi d’Ispezione l’attività di controllo preventivo aumentando, significativamente, le sanzioni economiche. Se l’abbiamo fatto con le verifiche periodiche su impianti ed attrezzature di lavoro, non si vede il problema a farlo anche in questo caso. Ovviamente per i reati d’evento, gli enti di vigilanza continuerebbero ad occuparsi delle indagini giudiziarie relative agli infortuni ed alle malattie professionali.
In merito agli organismi di vigilanza, andrebbero rafforzati gli organici del personale dei Dip. di Prevenzione delle ASL dirottando le ventilate assunzioni di personale tecnico dell’INL alle Regioni. Ciò perché va ricordato che, dal dicembre 1997, l’INL si occupa solo di edilizia e poco altro. Le competenze tecniche che c’erano fino ad allora permettevano ai funzionari di allora di effettuare la vigilanza anche nel settore industriale. Oggi, questi soggetti sono andati in pensione. Chi oggi opera ha maturato competenze essenzialmente nel settore delle costruzioni e poco altro. Come si fa a pensare che questi funzionari possano andare a fare vigilanza e verificare la correttezza di un processo di topping o di cracking in una raffineria o di un processo di zinco-verniciatura in una azienda metalmeccanica? Figuriamoci i nuovi assunti visto che sono stati presi soggetti con lauree non proprio adeguate a svolgere una vigilanza tecnica. Tutto ciò senza dimenticare che ci vorrà parecchio tempo prima che questi diventino operativi dopo aver seguito, si spera, un adeguato percorso formativo con docenti aventi competenze approfondite dei vari processi industriali. Poi se tutto si risolverà prendendo qualcuno che si occupava di contenzioso, dandogli una checklist e mandandolo in giro per le aziende, allora ……
Infine, altra eresia, sarebbe ora di separare il procedimento civile da quello penale, e, quindi, dalle lungaggini connesse agli accertamenti del giudice penale per individuare la colpa di uno o più soggetti, introducendo una sanzione che derivi dall’accertata ed automatica responsabilità oggettiva per le imprese per l’evento dannoso verificatosi. Questa ultima proposta farà inalberare quelli che si possono definire profeti dell’integralismo repressivo ma vale la pena ricordare che questi sono quelli che da decenni ci propongono la solita minestrina riscaldata di “più controlli e più sanzioni” con i risultati che abbiamo tutti davanti agli occhi. Forse sarebbe il caso di pensare che quando certi personaggi propongono, da decenni, sempre le stesse soluzioni al problema sicurezza sul lavoro, è evidente che abbiano perso l’abitudine e la possibilità di esercitare la propria intelligenza.
In conclusione, un cambiamento reale lo potremo avere abbandonando l’idea del solo incremento del controllo e dell’inasprimento delle sanzioni penali e creare, invece, un sistema che dimostri che l’investimento per la SSL oltre ad essere eticamente riconosciuto ed apprezzato dalla pubblica opinione, produce un ritorno economico tangibile in quanto:
- permette all’impresa l’accesso e la permanenza sul mercato dove esiste un sistema di controllo preventivo efficiente ed efficace;
- costituisce un vantaggio competitivo rispetto ad altre aziende dello stesso settore;
- permette la riduzione dei costi indiretti (assenteismo, turnover ecc.);
- aumenta l’efficienza dei processi lavorativi;
- fa accedere ad agevolazioni fiscali e contributive;
- migliora l’immagine aziendale;
- riduce la conflittualità interna ed esterna.
Non ho la presunzione di dire che il livello di SSL migliorerà se faremo questi cambiamenti; quello che posso dire è che, visti i risultati ottenuti fino ad oggi, dobbiamo cambiare approccio alla SSL per migliorare.
Del resto, come diceva quel genio di Einstein con un suo aforismo ampiamente noto:
<< Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose>>.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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Rispondi Autore: Sergio Vianello - likes: 0 | 24/07/2023 (07:33:31) |
Sono pienamente d'accordo con te Carmelo. Secondo me comunque l'aspetto più importate che viene completamente trascurato è la qualificaIone delle imprese. Nell'edilizia chiunque può cambiare la propria attività da carrozziere o barista a edile senza dover dar conto a nessuno, basta aprire una partita IVA con oggetto sociale ponti, grandi strutture, autostrade, ospedali ecc. Secondo me, almeno in edilizia, questo è il problema. |
Rispondi Autore: Sara G - likes: 0 | 24/07/2023 (07:37:19) |
La mia esperienza è di certo inferiore dato che sono nel settore solo da 10 anni, ma non posso che confermare e sentirmi un po’ meno sciocca a constatare che non sono da sola a pensare queste cose. Tuttavia, considerando che non mi sembra ci sia questa presa di coscienza da parte di chi potrebbe realmente cambiare il sistema, l’unica soluzione ad oggi è nuotare controcorrente cercando di portare questo approccio nelle imprese con la presenza e l’esempio, anche se la Norma non aiuta. |
Rispondi Autore: Fabio Rosito - likes: 0 | 24/07/2023 (07:55:29) |
Carmelo, in merito alla normazione di emergenza... a fronte di incendi alle facciate di edifici è stato presentato un Disegno di Legge, sì, hai capito bene, un Disegno di Legge e non un Decreto Ministeriale, intitolato: "Misure di sicurezza antincendio per le facciate degli edifici di civile abitazione". Se il Parlamento e il Senato si mettono a discutere di regole di prevenzione incendi, possiamo chiudere tutto e trasferirci all'estero. A parte questo, penso che ci sia un problema talmente radicato di rapporto malato tra mondo produttivo, normativa, controlli che faccio veramente fatica a vedere una via di uscita anche perchè nessuno adotterà mai misure meno repressive con il rischio di essere tacciato di incentivare gli infortuni sul lavoro. Questo perchè, un altro problema del nostro Paese, spesso le norme nascono come post sui social: vogliono dare un'immagine che poi non rappresenta la realtà. Tanto, se una norma è sbagliata, semplicemente la gente non la rispetterà e io non spingerò controlli su quel punto. Se, da domani, ci mettessimo a rispettare pedestremente tutte le norme, ci sarebbe un vero e proprio blocco generalizzato obbligando il Governo a intervenire. |
Rispondi Autore: Aldo Perron - likes: 0 | 24/07/2023 (07:57:05) |
questo articolo deve essere trasmesso agli eletti in parlamento, Camera e Senato, evidenziando la preferenza di voto a chi concorda con quanto scritto nell'articolo |
Rispondi Autore: Filippo B. - likes: 0 | 24/07/2023 (07:57:13) |
Ottima disamina Carmelo. Come sempre! |
Rispondi Autore: Angelo Marzaroli - likes: 0 | 24/07/2023 (08:00:25) |
Ing. Catanoso complimenti. Dal "loggione dei pensionati" continuerò a seguirla con rinnovata stima e interesse. Grazie. |
Rispondi Autore: Flavio Paschetta - likes: 0 | 24/07/2023 (09:16:15) |
Tutto condivisibile. Aggiungerei però anche qualche auspicato passo in avanti da parte di noi tecnici. Fino a quando sarà la norma tecnica a prevalere sulla valutazione del rischio tenderemo a limitarci alla cornice, rifiutandoci di dipingere il quadro. Se invece, utilizzando la norma tecnica come riferimento non vincolante, facciamo della valutazione del rischio il perno dell'attività prevenzionale magari le cose possono migliorare e il tecnico può dirsi un vero progettista e non un semplice garante dell'applicazione delle norme. Certo, aumentano anche le responsabilità per i tecnici. Ma allo stato attuale, dove si agisce non in funzione del cambiamento e della sicurezza che si produce ma delle responsabilità che ne derivano, i risultati sono disatrosi. Quindi perché non provarci? |
Rispondi Autore: Thomas T - likes: 0 | 24/07/2023 (10:56:43) |
Analisi magistrale ! Ogni volta che si toccano alcuni de punti i sviluppati nell'articolo spero sempre (fantasticamente) che questi abbiano "audience" su chi promuove cambiamenti anacronistici e filo-repressivi. |
Autore: carmelo catanoso | 24/07/2023 (11:56:35) |
Thomas T., non ci conto proprio che abbiano audience presso chi è nella stanza dei bottoni . Questi si affidano sempre a gente che ha lo stesso approccio da decenni. Decenni che propongono le stesse soluzioni. Quando si propongono sempre le stesse "soluzioni" da decenni è evidente che si tratta di soggetti che hanno perso l'abitudine di esercitare la propria intelligenza. Quindi, non conto che loro cambino idea nella stanza dei bottoni ma mi aspetto che lo facciano altri che stavano a sentire gli "esperti" a cui questi si affidano. |
Rispondi Autore: Fabrizio Capelli - likes: 0 | 25/07/2023 (09:27:01) |
...lavoro in ATS da quasi 40 anni e a settembre vado in pensione. Sono anni che sostengo che la prevenzione è formata su tre livelli, primaria, secondaria, terziaria. La terziaria è quando l’infortunio è successo, e si fa qsa per far si che non succeda più nella speranza che non sia stato mortale o permanete La secondaria è la repressione, dovresti assumere un esercito di persone prevenire con la paura, ma sappiamo come funziona, basta vedere i regimi totalitari. La primaria, rendere consapevole ognuno della propria e altrui sicurezza. L’esempio più prossimo è la ns salute. Se ognuno di noi non si preoccupa della propria salute, (prevenzione primaria) possoamo fare tutti gli esami possibili (prevenzione secondaria) ma quando risulta il sangue nelle feci può essere tardi, se poi devo essere operato con relativa cura (prevenzione terziaria) posso avere un esito anche mortale o permanete. La legge 833/78 della riforma sanitaria era partita con questo obiettivo, che si è perso nel tempo. Nel 1985 quando iniziai questo lavoro il fattore prevenzione primario era assoluto, c’erano tecnici medici ingegneri, il cui obiettivo era la prevenzione primaria. Poi il tutto si è perso nel tempo. Per ultimo, ma non per importanza anzi…. non ho nulla contro i “nuovi assunti tecnici della prevenzione” ma in tre anni spaziano dalla veterinaria, all’igiene alimenti, all’antinfortunistica………ma oltre al sistema legislativo, di tecnico cosa conoscono? Feci già presente la situazione in regione 15 anni fa…………… Nelle attuali condizioni lavorative sono molto contento di andare in pensione. Buon giornata a tutti Fabrizio Capelli |
Rispondi Autore: Carlo Timillero - likes: 0 | 28/07/2023 (12:25:32) |
Condivido totalmente l'analisi. Su piano pratico/metodologico credo sia necessario valorizzare, finalmente, in maniera sostanziale il processo di valutazione di rischi portandolo al centro delle dinamiche prevenzionistiche. Ma questo significa anche avere, soprattutto per le piccole e medie imprese, consulenti adeguatamente preparati...... |