Esperienze di formazione sul rischio aggressione
Il rischio aggressione è considerato un rischio emergente, tra i molteplici rischi in grado di interessare gli ambienti di lavoro.
Ad oggi il riferimento legislativo principale rispetto a questo tema resta il D. Lgs. 81/08, nella specificità dell’art. 28, il quale conferma che la valutazione deve riguardare “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”.
Se si entra nel merito della definizione di “ violenza sul luogo di lavoro”, è ben chiaro come sia ampia questa accezione perché comprende “qualsiasi episodio che implichi insulti, minacce, forme di aggressione fisica o psicologica praticate sul lavoro, da soggetti esterni o interni all’organizzazione, in grado di mettere in pericolo la sicurezza, la salute e il benessere psicofisico della persona”.
I lavori maggiormente esposti al rischio aggressione
Nonostante una componente di imprevedibilità sia endogena ad ogni atto di violenza, è possibile individuare settori e attività professionali, unitamente a tipologie di lavoratori, maggiormente esposti al rischio aggressione.
Nello specifico:
- Settori: servizi (in particolare sanità); trasporti; commercio, ristorazione; finanziario; istruzione; recupero del credito; esercizio dello sportello clienti
- Attività: gestione del denaro o beni di valore; distribuzione o gestione di farmaci dal notevole valore economico; assistenza pazienti aggressivi e/o interessati da problematiche mentali; frequenti rapporti con l’utenza (specie se trattasi di utenza sottoposta a stress per varie cause quali le lunghe attese); lavori di ispezione, controllo o esercizio di pubblica autorità
- Tipologia del lavoratore: lavoratori di sesso femminile, portatori di disabilità o che operano da soli o in contesti isolati; operatori non idoneamente formati dal punto di vista professionale.
Come prevenire il rischio aggressione sul lavoro
Le conseguenze per chi ha subito aggressione variano notevolmente, dalla demotivazione allo svilimento del lavoro svolto, dallo stress ai danni alla salute fisica o psicologica, fino ad arrivare a sintomi post traumatici come paure, fobie e disturbi del sonno. Tutto questo ha inevitabilmente ripercussioni sull’organizzazione, sia in termini di perdita della produttività sia in termini di assenteismo.
Appare, quindi, evidente come un’attenta valutazione del rischio e l’adozione di misure preventive (a livello strutturale e organizzativo) siano strumenti fondamentali per la prevenzione del rischio stesso.
Una corretta informazione e, soprattutto, l’adozione di percorsi formativi mirati a sensibilizzare e creare consapevolezza nei lavoratori maggiormente esposti al rischio sono misure di prevenzione altrettanto fondamentali.
Nella mia esperienza di formatore in ambito salute e sicurezza ho affrontato il tema del rischio aggressione in aule estremamente eterogenee, dove i partecipanti erano: addetti a call center; operatori di sportello; autisti; operatori ecologici; ausiliari del traffico; addetti ai servizi civici; addetti ai servizi cimiteriali; operatori S.U.A.P.; coordinatori di squadre di lavoro; letturisti; tecnici di pronto intervento; sportellisti bancari; addetti casse parcheggi; e non solo. In generale, sia si tratti di lavoratori provenienti dal settore pubblico oppure privato, il mio obiettivo è quello di fornire strumenti necessari per affrontare situazioni difficili, in particolare con l’utenza esterna, focalizzandomi soprattutto sulla capacità di gestire costruttivamente i conflitti; disinnescare l’aggressività attraverso una comunicazione efficace; sapere riconoscere i segnali di avvertimento che possono precedere una potenziale aggressione. In altri termini offrire spunti teorici e, a maggior ragione, pratici affinché lo stesso lavoratore divenga il mezzo più efficace di prevenzione del rischio.
Privilegiare un approccio pratico, dando ampio spazio al confronto in aula e alle esercitazioni, è per me estremamente importante dal momento che una formazione di tipo esperienziale non solo è maggiormente efficace, ma permette ai partecipanti di mettersi in gioco, acquisendo più consapevolezza del rischio stesso, degli aspetti comportamentali dell’aggressore e dei processi biologici e psicologici che si attivano nell’emergenza. E soprattutto responsabilizza i lavoratori sul proprio ruolo e sulla gestione della propria emotività, nella relazione con un soggetto aggressivo (e non solo).
La risposta dell’aula è positiva: dopo la diffidenza iniziale, riscontro sempre grande partecipazione, alto livello di interesse e sensibilità per tematiche percepite così vicine e “toccanti” e un’evidente necessità di “sfogo”.
In effetti i percorsi formativi devono essere progettati proprio con l’intento di:
- dare la possibilità ai partecipanti di confrontarsi;
- fornire ai lavoratori spunti utili nello svolgimento delle proprie mansioni quotidiane, non solo per comprendere la natura di certe dinamiche, ma per sapere disinnescare situazioni potenzialmente a rischio ed evitare escalation di aggressività;
- raccogliere segnalazioni / input da sottoporre all’organizzazione, per lo sviluppo di eventuali interventi di approfondimento
La formazione diventa per i partecipanti un’occasione di riflessione, all’interno di una cornice protetta, finalizzata alla condivisione di esperienze, di suggerimenti per i colleghi, di lavoro sul tessuto relazionale e umano, di condivisione e ristrutturazione del significato che è il primo (e più importante output) per la diffusione e l’assimilazione di una cultura della sicurezza.
Le attività pratiche, infatti, permettono di lavorare:
- su tecniche di disarmo dell’aggressività;
- su come bloccare l’invasività;
- sui principi della comunicazione e la capacità di negoziazione;
- attraverso brainstorming, sul ruolo e sulle competenze tecniche e non tecniche;
- su consigli utili all’organizzazione per attivare una corretta prevenzione (da parte degli stessi partecipanti)
Il lavoratore, infatti, è quasi sempre la prima e la più autorevole fonte di proposte utili alla prevenzione e alla gestione del rischio aggressione (e dei rischi sul luogo di lavoro, in generale).
Il punto cruciale è se l’organizzazione stessa sia in grado di dare voce alle proprie risorse, di prenderle in considerazione, di farsi carico delle segnalazioni e proposte al fine di attuare procedure di miglioramento.
Chi meglio del lavoratore che quotidianamente “vive” e, talvolta “subisce”, il contesto di lavoro può fornire spunti “intelligenti” su come approcciare determinate problematiche?
Eppure troppo spesso l’organizzazione è percepita come poco presente e poco consapevole dei disagi del lavoratore, il quale sempre più spesso dimostra un senso di accettazione della quotidiana esposizione al rischio aggressione, come implicito alla propria mansione.
Credo che mai come in questi casi, la formazione possa essere il mezzo per raggiungere uno scopo comune (sia per il lavoratore sia per l’azienda) e cioè la prevenzione del rischio e l’adozione di tecniche di protezione individuale e, di rimando, collettiva.
Massimo Servadio
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Psicologo del Lavoro e delle OrganizzazioniI contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
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Rispondi Autore: Ti-gia - likes: 0 | 24/07/2024 (15:08:21) |
Vorrei fare una domanda, dove trovo studi e/o statistiche sull'efficacia dei percorsi formativi sul lavoro in ottica di prevenzione di outcome aggressivi subiti? Sto facendo una ricerca sul web ma mi trovo in difficoltà nel reperire statistiche su questo |