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Prevenire il Rischio Aggressione con la formazione


 

Dal D. Lgs. 81/08, articolo 28: “La valutazione deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”. Questa citazione la conosciamo bene, parla chiaro e pone l’accento sull’obbligo, da parte del Datore di Lavoro, di valutare tutte le possibile tipologie di rischio. Il Rischio Aggressione è senza ombra di dubbio un rischio “particolare”: a differenza, per esempio, dello stress lavoro-correlato, rischio trasversale che può potenzialmente riguardare tutti i settori e tutte le aziende, a prescindere dalle dimensioni, esso va ad impattare “solamente” su alcune categorie specifiche di lavoratori. Quel “solamente” non deve però trarre in inganno…

 

 

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In un precedente articolo, sottolineavo come il 4% della popolazione lavorativamente attiva riferisca di aver subito violenza fisica da parte di persone esterne, non inserite quindi all’interno dell’organizzazione di appartenenza e come la percentuale aumenterebbe di molto se venissero prese in considerazione anche le aggressioni di tipo verbale (le più diffuse). Si pone quindi la necessità di prevenire anche queste forme più “lievi” di aggressione che, come sappiamo, alla lunga, possono comunque minare negativamente il benessere psicofisico del lavoratore esposto quotidianamente a minacce o insulti di vario genere.

 

A livello valutativo, se è vero che i singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, lo stesso non può dirsi delle situazioni in cui tali atti hanno maggiori probabilità di verificarsi: personale che manipola denaro; che distribuisce o gestisce farmaci dal notevole valore economico; che assiste pazienti potenzialmente aggressivi; che ha frequenti rapporti con l’utenza (front-office e personale di sportello); che svolge lavori di ispezione o addetti alla morosità.

 

Le aziende dovrebbero intervenire prima che si verifichi un'aggressione e gli interventi, per essere efficaci, dovrebbero comunque essere adatti alle circostanze particolari dell'organizzazione, non solo da un punto di vista tecnico/strutturale (es. eliminazione di oggetti contundenti, barriere fisiche, allarmi…) o organizzativo (es. procedure per la gestione del rischio), ma anche e soprattutto a livello formativo: è auspicabile che la formazione, con l’obiettivo di creare consapevolezza rispetto al fenomeno e di fornire conoscenze e competenze utili ad un corretto approccio al rischio e ad una sua prevenzione, sia differenziata e ri-tarata a seconda dei contesti, nonostante si possa individuare una formazione più trasversale sul tema.

Detto questo, a livello generale, quali dovrebbero essere gli aspetti da approfondire nell’ambito di una o più giornate di formazione su questo rischio “particolare”?

 

In primis sarebbe importante anche solo creare consapevolezza nei lavoratori rispetto a questo fenomeno sempre più emergente, nell’ottica che il fare chiarezza, in relazione a quelli che sono gli aspetti normativi e qualitativi della questione (tipologie di contesti e possibili motivazioni all’aggressività), possa già considerarsi a tutti gli effetti una forma di prevenzione primaria. Mi è capitato, in alcune aule di formazione, di rilevare una necessità da parte di lavoratori impiegati nella gestione di aree di parcheggio cittadino in un Comune del Nord Italia, di una maggiore chiarezza relativamente a una loro responsabilità (anche di intervento diretto) rispetto a eventuali danni o furti negli autoveicoli all’interno delle zone di sosta. Questi sono aspetti legali che chi ricopre quel ruolo, con le conoscenze e le competenze che lo vanno a comporre, dovrebbe conoscere per tutelarsi, ma finisce poi a brancolare nel buio perché anche la legge può non definire al meglio tali aspetti e non essere così precisa. Nel caso specifico, la giornata di formazione nella quale sono stato coinvolto come docente, prevedeva l’intervento anche di un Ispettore del corpo di Polizia Giudiziaria in grado di esplicitare meglio quel versante. E’ questo ciò che intendo quando, poco sopra, ho posto l’accento sull’esigenza di una diversificazione degli argomenti formativi a seconda dei contesti di erogazione.

 

In termini invece generali può essere utile, inoltre, un approfondimento su quelli che sono i processi biologici e psicologici dell’essere umano di fronte a un potenziale pericolo o emergenza quale può essere un’aggressione fisica. Rispetto alle aggressioni verbali è importante invece riuscire a gestire le proprie emozioni (e a volte la propria aggressività…) rispetto all’evento. Mi è capitato di ascoltare i racconti di personale di front-office che riportavano difficoltà nel doversi rapportare con un’utenza, sia al telefono sia di vis à vis, anche particolarmente alterata. La richiesta in questi casi era la seguente. “C’è qualche tecnica per relazionarsi con un utente aggressivo?”. La mia risposta è sempre cauta: non ci sono “trucchi”, o suggerimenti che possano valere a 360°, molto dipende da chi ci si trova di fronte e dal contesto in cui la risorsa si trova ad operare. A livello comunicativo, in ogni caso, ci sono dei piccoli accorgimenti che possono risultare utili. Per esempio, il “far sfogare” l’emotività dell’utente per poi porre le basi per un confronto civile, o per una negoziazione, o il far percepire l’effettiva comprensione empatica del problema che viene portato. Non è per nulla semplice tutto ciò, in quanto la partita si gioca molto spesso su un equilibrio sottile tra il ricoprire il ruolo che l’Azienda assegna alla persona e la persona stessa, come individualità, con il suo carattere, la sua personalità. Diventa un lavoro su sé stessi, una riflessione sul proprio modo di porsi in relazione, sulla gestione del proprio vissuto emotivo durante il rapporto con l’utente/cliente. Siamo “responsabili” della nostra comunicazione e delle nostre modalità e molto spesso, lo confermano anche i partecipanti alle aule, basta questo per gestire efficacemente la relazione con chi si ha di fronte. In altri casi, invece, trovando dall’altra parte “un muro” non è sbagliato pensare, dopo aver fatto tutto il possibile, di trovare soluzioni alternative o estreme, ad esempio chiedere il supporto delle Forze dell’Ordine, come mi raccontavano alcuni verificatori di titoli di viaggio di mezzi pubblici urbani. Qui però deve essere l’Azienda a chiarire fin dove l’operatore, dopo essersi speso per gestire eventuali situazioni spinose, può spingersi e dove invece diventa a rischio la sua incolumità o salute psicofisica.

 

Quello che emerge, rispetto alla richiesta in aula di suggerimenti, è che gli operatori, di qualsiasi contesto, sono quasi sempre in grado di fare una sorta di “identikit” delle tipologie di utenti con i quali possono trovarsi in relazione e spesso di citare qualche accorgimento comunicativo, per ciascuna tipologia, che li ha aiutati a gestire efficacemente la relazione. Da qui, dai loro racconti, bisognerebbe partire per creare apprendimento in aula.

 

Risulta quindi, nell’ambito formativo, approfondire il processo comunicativo, le tipologie di comunicazione, specialmente quella assertiva, cruciale nell’espletamento del proprio ruolo. Per quanto concerne la gestione delle emozioni (e a volte dello stress connesso), invece, quest’ultima è tematica molto personale, ma alcuni cenni sulla gestione dell’ansia e sulle tecniche di rilassamento correlate potrebbe essere di grande utilità per le persone coinvolte nel programma formativo.

 

Infine, oltre a trattare, a livello di informativo quelle che possono essere le possibili reazioni post-aggressione, è importante approfondire anche la tematica prevenzione e i possibili interventi che possono essere attuati in questo senso. L’assunto di base, confermato dalle aule che ho avuto il piacere di frequentare, è che quasi sempre il lavoratore è il primo a fornire suggerimenti e proposte utili alla prevenzione e gestione dei rischi (posto che l’Azienda sia in grado di dare voce alle risorse, di prenderle in considerazione e di farsi carico delle proposte…): chi meglio della persona che vive quotidianamente il contesto lavorativo può sapere come approcciare alcune problematiche. Chiudo con un esempio: nel caso dei verificatori titoli di viaggio, il suggerimento accolto e poi implementato è stato quello di operare in coppia durante i controlli di routine, preferibilmente uomo-donna. L’esperienza insegnava che in questa modalità fosse più facile gestire la più ampia casistica possibile di problematiche con successo ed efficacemente, senza ripercussioni di sorta, sia che fossero toni di voce “elevati” o  addirittura situazioni al limite dell’aggressione fisica.

 

Massimo Servadio

Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni




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