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DPR 177/2011: basta poco per fare confusione

 

Che il DPR 177/2011 sia una fonte inesauribile di problemi e di innumerevoli interpretazioni è, purtroppo, un dato di fatto. Più e più volte ho scritto su questo tema nel corso degli anni. Torno sull’argomento per commentare l’ennesima interpretazione che ho trovato sul web in merito ai requisiti che dovrebbe avere il Rappresentante del Datore di lavoro committente. In particolare, c’è chi afferma – a mio parere facendo un grossolano errore - che questi debba essere un dipendente del Datore di lavoro committente (con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato) oppure dipendente del Datore di lavoro committente con altre tipologie contrattuali o qualcuno che opera in regime di appalto (con un contratto che dev’essere certificato ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276). E al fine di giustificare le conclusioni cui è giunto, l’autore fa riferimento ad alcuni documenti disponibili in rete (distorcendone evidentemente il contenuto). Ciò premesso, che la figura del Rappresentante del Datore di lavoro committente (nel seguito indicato solo come Rappresentante) sia una di quelle su cui si è meno discusso finora, nonostante ancora priva di una chiara definizione specifica di ruolo, è fuori discussione.

 

Sin dalla pubblicazione del testo del Decreto, questo nuovo “ruolo” previsto dal Legislatore ha, infatti, subito innescato un dibattito su quali potessero essere i suoi compiti, le sue responsabilità e quali attività potesse effettivamente svolgere nell’ambito delle operazioni, specie riguardo alle altre figure già previste nel nostro ordinamento: Datore di lavoro, Dirigente, Preposto, RSPP, CSP, CSE, ecc.. Inoltre, il dibattito ha ripreso vigore dopo la pubblicazione dell’interpello 23/2014, nell’ambito del quale sono state precisate le sue prerogative e, da un certo punto di vista, è stata introdotta ed esplicitata una nuova lettura dei suoi compiti, con l’attribuzione di un suo specifico ruolo di garanzia che va ben oltre quanto originariamente previsto all’art. 3 C2 del DPR 177/2011 che, in caso di appalto di attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, prevede che il Datore di lavoro committente debba individuare un proprio Rappresentante che sia in possesso di specifici requisiti (possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che abbia comunque svolto le attività di informazione, formazione e addestramento di cui all'articolo 2, comma 1, lettere c) ed f), a conoscenza dei rischi presenti nei luoghi in cui si svolgono le attività lavorative) e che vigili, in funzione d’indirizzo e coordinamento, sulle attività svolte dai dipendenti dell’appaltatore o dai lavoratori autonomi, e per limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente.

 

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Prescindendo dall’evidente errore nel testo del Decreto (infatti, si fa riferimento alle “attività di informazione formazione e addestramento” con riferimento alle lettere “c” e “f” dell’articolo 2, mentre invece avrebbero dovuto più correttamente essere indicate le lettere “d” e “f”, poiché la lettera “c” si riferisce ad altro che nulla c’entra con le attività ipotizzate), non vi è nessun riferimento al fatto che questo soggetto debba essere un dipendente o che sia da prevedersi una qualsivoglia forma di certificazione del contratto tra le parti. Stante alla prassi ricorrente, il Datore di lavoro committente può individuare chiunque, tra coloro in possesso dei requisiti richiesti, come suo Rappresentante. Per questo, estemporanee restrizioni basate sull’errata interpretazione personale di alcuni documenti (a loro volta non riconducibili a specifiche fonti giuridiche), sono prive di ogni fondamento ma, e questo è il punto, alimentano ulteriormente la confusione su un tema così delicato. 

 

Tutto ciò premesso, alla fine rimane una domanda: Cosa si può/deve fare davanti a questa miriade di interpretazioni che provengono dai più svariati soggetti? Ricordiamo che la scusabilità dell'ignoranza della legge penale, può essere invocata dall'operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall'altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere d’informazione (Cass. Pen. n. 35694/2011). Questo anche perché l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale non si configura quando l'agente svolge un’attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente. (Cass. Pen. n. 22205/2008).

 

Inoltre, l’orientamento della Suprema corte indica che se per il comune cittadino la buona fede è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, altrettanto non può dirsi per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, infatti, occorre che da un comportamento positivo degli organi amministrativi (oppure da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale), l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (in questi termini si esprimevano già le Sez. Unite della Cassazione, n. 8154/1994).

 

Infine, la prova della sussistenza della buona fede deve, inoltre, essere fornita dall'imputato, il quale ha anche l'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per rispettare la norma violata (Cass. Pen. n. 9165/15). Ma a chi ci si può rivolgere? Difficile dirsi. In mancanza, per quanto a mia conoscenza, di pronunce giurisdizionali e puntuali chiarimenti Ministeriali, ogni singola parte del DPR 177/2011 è ormai diventata oggetto di libera interpretazione da parte di chicchessia. Con tutto quello che ne consegue, ovviamente.

 

Conclusioni

Il passare del tempo, non fa che accentuare la confusione in relazione all’applicazione di quanto previsto nel DPR 177/2011 e, quindi appare più che mai necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento, al fine di dirimere i molti problemi interpretativi e applicativi del Decreto, sia ricondurre la discussione su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma di riferimento da sviluppare sulla base di linee guida, norme e/o standard e Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale. In claris non fit interpretatio, ovvero quando una legge è chiara non c’è alcun bisogno di interpretarla. E su questo tema, visti i molteplici problemi causati dal DPR 177/2011, avremmo certamente bisogno di una immediata azione legislativa che porti alla definizione di un nuovo allegato al D.Lgs. 81/08 interamente dedicato alle attività nei Confined Spaces.

 

 

Adriano Paolo Bacchetta




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Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
12/09/2019 (07:33:33)
Premesso che il DPR n. 177/2011 è la palese dimostrazione di come si possa scrivere una norma in modo cinofallico affidandone il compito a soggetti che uno "spazio confinato" lo hanno visto solo in foto, riguardo i contenuti citati dall'amico Bacchetta, oltre a trovarmi completamente d'accordo con lui, mi confermano che, quanto detto Umberto Eco sulle possibilità oggi offerte dal web anche agli incompetenti, trovano conferma anche per la sicurezza sul lavoro.
Rispondi Autore: silvio ventroni - likes: 0
12/09/2019 (11:05:44)
Ing, Bacchetta …
ringraziamo per le sue sollecite precisazioni ,
che ancora una volta sopperiscono a delle criticità interpretative del DPR/177- 2011..
E come lei anticipa speriamo che intervenga a breve nuovo allegato con specifiche chiare e comprensibili ...


Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
12/09/2019 (16:21:23)
Intanto, oggi, ci sono stati 4 morti in una vasca liquami ad Arena Po (PV).
Rispondi Autore: Paolo Giuntini - likes: 0
12/09/2019 (23:08:02)
La revisione o il superamento del DPR 177 ai fini di un definitivo chiarimento come auspicato dall'ing. Bacchetta è senz'altro da condividere. Se però gli enti preposti non fanno o non possono fare opera di prevenzione presso le imprese a rischio, continueranno a ripetersi episodi come quello odierno per superficialità, incompetenza, ignoranza, negligenza, incuria, ecc. Un commosso pensiero per le vittime e solidarietà alle famiglie, Buon lavoro agli avvocati.

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