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Lavoro a distanza: una sfida per l'azienda e il management
Per un’azienda, come per un singolo manager, la scelta di programmare la persistenza di un lavoro a distanza(secondo le forme oggi possibili: lavoro a distanza, telelavoro, smart working e ibrido) suggerisce la necessità di approfondire alcune riflessioni relative al rapporto che ogni persona costruisce con l’ambiente al fine di trovare soluzioni o strategie di intervento che vadano nella direzione del benessere del dipendente.
Il cambio di un luogo di lavoro rappresenta un momento difficile, capace di mettere alla prova non solo le capacità di adattamento ma lo stesso equilibrio personale: si lascia un luogo certo e conosciuto per andare verso uno ignoto. Non importa se questo luogo è la propria casa: rimarrà “ignoto” nella misura in cui quell'ambiente ha caratteristiche differenti e solitamente viene vissuto come un contesto del tutto diverso da quello lavorativo.
Il cambio di un luogo di lavoro rappresenta un momento difficile, capace di mettere alla prova non solo le capacità di adattamento ma lo stesso equilibrio personale: si lascia un luogo certo e conosciuto per andare verso uno ignoto. Non importa se questo luogo è la propria casa: rimarrà “ignoto” nella misura in cui quell'ambiente ha caratteristiche differenti e solitamente viene vissuto come un contesto del tutto diverso da quello lavorativo.
L’uomo e l’ambiente
Percepire, rappresentare e valutare gli spazi abitati e lavorativi significa attivare i processi psicologici di natura cognitiva e affettiva che portano le persone ad attribuire un significato agli elementi dell’ambiente fisico circostante
In passato si era portati a pensare che l’ambiente spaziale, secondo la sua forma, organizzazione e qualità estetica, influenzasse direttamente le reazioni comportamentali di una persona. Questo nei casi estremi rimane vero. Si è anche capito però che non si tratta di un adattamento passivo all’ambiente, ma esso si concretizza in un’interazione continua tra individuoambiente, dove soprattutto il ruolo attivo, costruttivo, intenzionale, progettuale, orientato da scopi e significati, della singola persona all’interno di questa relazione è l’elemento principale. I luoghi sono contenuti di esperienza elaborati in senso individuale e soggettivo e insieme sono realtà costruite socialmente nel corso della comunicazionescambio che continuamente abbiamo con gli altri.
In passato si era portati a pensare che l’ambiente spaziale, secondo la sua forma, organizzazione e qualità estetica, influenzasse direttamente le reazioni comportamentali di una persona. Questo nei casi estremi rimane vero. Si è anche capito però che non si tratta di un adattamento passivo all’ambiente, ma esso si concretizza in un’interazione continua tra individuoambiente, dove soprattutto il ruolo attivo, costruttivo, intenzionale, progettuale, orientato da scopi e significati, della singola persona all’interno di questa relazione è l’elemento principale. I luoghi sono contenuti di esperienza elaborati in senso individuale e soggettivo e insieme sono realtà costruite socialmente nel corso della comunicazionescambio che continuamente abbiamo con gli altri.
L’Ambiente e l’identità personale
Questo riflettere sullo spazio e sul suo legame con il benessere psichico acquista un rilievo particolare se prendiamo in considerazione il fatto che, nel percorso di costruzione dell’identità, il personale sentimento che ognuno ha di sé, di essere “uno”, possa essere concepito come una miscela di tre immagini tutte di pari importanza. Tali fondamentali immagini sono quelle legate ai bisogni di essere una persona durevole (che sente di avere una continuità nel tempo), di essere una persona intera (con una propria continuità nello spazio), e, infine, di essere una persona significativa, portatrice di un senso (con il senso di una continuità nella causalità).
Si tratta, però, di sentimenti molto sfumati, difficili da percepire allo stato puro, ma non per questo meno vitali. Questo sentimento dell’Io ben rappresenta la sensazione costantemente presente della personalità di ogni individuo. In questo processo di identificazione, l’Io costruisce dei confini, delle frontiere che esercitano una sorta di filtro, sia agli stimoli esterni sia a quelli provenienti dall’interno, da quel misterioso e sconosciuto mondo sotterraneo che si usa chiamare inconscio (Zuliani, 1994).
Ecco che ritorna il tema dello spazio, sia come entità fisica sia come sentimento percepito. Possiamo quindi affermare che ciò che appartiene a ogni singolo individuo, che lui può considerare come acquisito, è passato all’interno delle frontiere del suo Io. Tali frontiere, un po’ come i confini degli Stati, abbisognano di norme che regolano l’afflusso di questi elementi all’interno dell’Io, senza troppi rischi di indebite infiltrazioni o sconfinamenti. La rigidità o la relativa elasticità di queste frontiere, l’ampiezza dello spazio tra una frontiera e l’altra (una sorta di terra di nessuno che è al contempo sotto il dominio di due diverse persone) sono tra gli elementi decisivi che contribuiscono a determinare alcune delle più significative relazioni che l’individuo arriva ad instaurare con gli altri. Più egli sente debole il proprio Io, più si riterrà minacciato e più sarà indotto a mobilitare forze sempre più ingenti per la difesa dei confini, più sarà spinto ad irrigidire le regole di accesso di elementi nuovi all’interno dell’Io.
Facendo riferimento ai lavori di Anzieu (1987) e Bick (1974) sulle funzioni della pelle, possiamo pensare al luogo di lavoro come una sorta di superficie intermedia tra il mondo interno e quello esterno della persona; come un’interfaccia che lega assieme immagini altrimenti spezzate, con una funzione analoga a quella della pelle che contiene, raccoglie, accomoda le parti interne della persona, dà ad esse una forma riconoscibile, le difende dalle intrusioni dell’esterno.
Si tratta, però, di sentimenti molto sfumati, difficili da percepire allo stato puro, ma non per questo meno vitali. Questo sentimento dell’Io ben rappresenta la sensazione costantemente presente della personalità di ogni individuo. In questo processo di identificazione, l’Io costruisce dei confini, delle frontiere che esercitano una sorta di filtro, sia agli stimoli esterni sia a quelli provenienti dall’interno, da quel misterioso e sconosciuto mondo sotterraneo che si usa chiamare inconscio (Zuliani, 1994).
Ecco che ritorna il tema dello spazio, sia come entità fisica sia come sentimento percepito. Possiamo quindi affermare che ciò che appartiene a ogni singolo individuo, che lui può considerare come acquisito, è passato all’interno delle frontiere del suo Io. Tali frontiere, un po’ come i confini degli Stati, abbisognano di norme che regolano l’afflusso di questi elementi all’interno dell’Io, senza troppi rischi di indebite infiltrazioni o sconfinamenti. La rigidità o la relativa elasticità di queste frontiere, l’ampiezza dello spazio tra una frontiera e l’altra (una sorta di terra di nessuno che è al contempo sotto il dominio di due diverse persone) sono tra gli elementi decisivi che contribuiscono a determinare alcune delle più significative relazioni che l’individuo arriva ad instaurare con gli altri. Più egli sente debole il proprio Io, più si riterrà minacciato e più sarà indotto a mobilitare forze sempre più ingenti per la difesa dei confini, più sarà spinto ad irrigidire le regole di accesso di elementi nuovi all’interno dell’Io.
Facendo riferimento ai lavori di Anzieu (1987) e Bick (1974) sulle funzioni della pelle, possiamo pensare al luogo di lavoro come una sorta di superficie intermedia tra il mondo interno e quello esterno della persona; come un’interfaccia che lega assieme immagini altrimenti spezzate, con una funzione analoga a quella della pelle che contiene, raccoglie, accomoda le parti interne della persona, dà ad esse una forma riconoscibile, le difende dalle intrusioni dell’esterno.
La leggibilità dell’ambiente
Nella vita, come nel rapporto con l’ambiente circostante, l’aspetto fondamentale che caratterizza questa ricerca di interazione è legato al tentativo di raggiungere una sua leggibilità. Si può affermare che la leggibilità è estremamente importante per ogni persona perché, se essa è buona, è in grado di attivare il desiderio di conoscere, di addentrarsi nell’ambiente che lo circonda, suscitando delle valutazioni positive. Quando invece la persona percepirà una leggibilità scarsa nell’ambiente, se non addirittura contraddittoria, egli si sentirà sfidato nelle sue capacità cognitive, si sentirà affaticato ed entrerà in uno stato d’animo di rifiuto per tutto ciò che lo circonda.
La direzione adottata dalla persona nella conoscenza dell’ambiente sarà caratterizzata da un processo che, partendo dall’identificazione di alcuni capisaldi di riferimento, che siano in grado di scandire gli aspetti essenziali dell’ambiente, arriverà ad estendere la propria conoscenza fino alla definizione di vere e proprie mappe mentali, contenenti tutti i dettagli utili.
Mappe però sempre imprecise se paragonate a una planimetria. Volendo proporre un’immagine potremmo avvicinare la precisione di una mappa mentale a quella di una carta medioevale rispetto ad una moderna.
La mappa cognitiva è la rappresentazione interna che ognuno si fa, con il tempo, di un ambiente e dalla funzione di dare un senso alla complessità delle informazioni ambientali e di facilitare i comportamenti al suo interno. Ad esempio, le strade che si devono percorrere per raggiungere una determinata meta, gli elementi percettivi più rilevanti che ci si aspetta di trovare sul percorso e gli ostacoli che si pensa di dover superare.
Quanto detto mette in luce la duplice azione della persona verso la comprensione dell’ambiente, ma anche quella dei segnali che da esso provengono.
Ecco perché diviene particolarmente importante comprendere e valutare la capacità comunicativa che hanno gli oggetti e l’ambiente verso la persona. Si tratta di una capacità sulla quale si può lavorare proprio perché possiamo intendere questa comunicatività come la presenza di elementi spaziali a essere identificabile e percepibile da tutti. I segnali che provengono dall’ambiente, nei loro termini più generali, possono essere distinti, come suggerisce Lauria, in due grandi categorie.
Essi sono intenzionali quando prodotti allo scopo di fornire specifiche informazioni riguardanti, ad esempio, l’organizzazione dell’ambiente, la presenza di pericoli, l’uso di attrezzature. Possono essere definiti non intenzionali quando sono prodotti dalla stessa conformazione degli elementi ambientali, da emergenze naturali, dalle attività svolte, dal funzionamento di attrezzature, dagli agenti atmosferici. In questo caso, anche se il fine dell’oggetto o dell’ambiente non è direttamente diretto alla comunicazione, il suo effetto sulla persona rimarrà estremamente significativo. Questi segnali, indipendentemente dal tipo e dalle modalità sensoriali con cui sono rilevati e dalla loro intenzionalità, sono ugualmente utili per dare spessore di concretezza all’agire e per spiegare qualità, caratteristiche e valori dei luoghi: in una parola, essi determinano la comunicatività dell’ambiente.
Ogni qual volta, a causa di problemi o difetti nell’emissione, nella ricezione o nell’interpretazione di un segnale ambientale, la persona non si trova nella condizione di interagire correttamente con l’ambiente insorgono incertezze ed ambiguità, affaticamento ed errori che determinano condizioni di conflitto percettivo.
Un utile esempio lo ritroviamo nei significati spaziali trasmessi dalle strutture ospedaliere (Zuliani, 2002). Gli ospedali non dovrebbero essere semplicemente delle strutture nelle quali subire procedure ed interventi meccanici, ma, principalmente, dei luoghi da sperimentare e dei quali sentirsi parte.
Più comunemente, invece, la struttura ospedaliera trasmette messaggi negativi e la causa è da ricercarsi principalmente nella complessità delle esigenze legate alla funzione specifica del curare la malattia, al dimensionamento previsto per le attrezzature, ma in modo prevalente dalla visione dell’ospedale come macchina tecnologica, legata solamente all’aspetto fisico della salute.
Ecco allora una cultura architettonica che rinforza questa idea attraverso l’utilizzo di colori neutri, muri bianchi, materiali freddi, spazi indifferenziati e anonimi. Quanto detto per l’ospedale vale anche per l’ambiente di lavoro, qualunque esso sia, la cui struttura e organizzazione sono chiamate a trasmettere senso di appartenenza e integrazione tra tutte le parti dell’Io chiamate in causa in ogni singola persona: sia principale per l’obiettivo benessere.
Antonio Zuliani
La direzione adottata dalla persona nella conoscenza dell’ambiente sarà caratterizzata da un processo che, partendo dall’identificazione di alcuni capisaldi di riferimento, che siano in grado di scandire gli aspetti essenziali dell’ambiente, arriverà ad estendere la propria conoscenza fino alla definizione di vere e proprie mappe mentali, contenenti tutti i dettagli utili.
Mappe però sempre imprecise se paragonate a una planimetria. Volendo proporre un’immagine potremmo avvicinare la precisione di una mappa mentale a quella di una carta medioevale rispetto ad una moderna.
La mappa cognitiva è la rappresentazione interna che ognuno si fa, con il tempo, di un ambiente e dalla funzione di dare un senso alla complessità delle informazioni ambientali e di facilitare i comportamenti al suo interno. Ad esempio, le strade che si devono percorrere per raggiungere una determinata meta, gli elementi percettivi più rilevanti che ci si aspetta di trovare sul percorso e gli ostacoli che si pensa di dover superare.
Quanto detto mette in luce la duplice azione della persona verso la comprensione dell’ambiente, ma anche quella dei segnali che da esso provengono.
Ecco perché diviene particolarmente importante comprendere e valutare la capacità comunicativa che hanno gli oggetti e l’ambiente verso la persona. Si tratta di una capacità sulla quale si può lavorare proprio perché possiamo intendere questa comunicatività come la presenza di elementi spaziali a essere identificabile e percepibile da tutti. I segnali che provengono dall’ambiente, nei loro termini più generali, possono essere distinti, come suggerisce Lauria, in due grandi categorie.
Essi sono intenzionali quando prodotti allo scopo di fornire specifiche informazioni riguardanti, ad esempio, l’organizzazione dell’ambiente, la presenza di pericoli, l’uso di attrezzature. Possono essere definiti non intenzionali quando sono prodotti dalla stessa conformazione degli elementi ambientali, da emergenze naturali, dalle attività svolte, dal funzionamento di attrezzature, dagli agenti atmosferici. In questo caso, anche se il fine dell’oggetto o dell’ambiente non è direttamente diretto alla comunicazione, il suo effetto sulla persona rimarrà estremamente significativo. Questi segnali, indipendentemente dal tipo e dalle modalità sensoriali con cui sono rilevati e dalla loro intenzionalità, sono ugualmente utili per dare spessore di concretezza all’agire e per spiegare qualità, caratteristiche e valori dei luoghi: in una parola, essi determinano la comunicatività dell’ambiente.
Ogni qual volta, a causa di problemi o difetti nell’emissione, nella ricezione o nell’interpretazione di un segnale ambientale, la persona non si trova nella condizione di interagire correttamente con l’ambiente insorgono incertezze ed ambiguità, affaticamento ed errori che determinano condizioni di conflitto percettivo.
Un utile esempio lo ritroviamo nei significati spaziali trasmessi dalle strutture ospedaliere (Zuliani, 2002). Gli ospedali non dovrebbero essere semplicemente delle strutture nelle quali subire procedure ed interventi meccanici, ma, principalmente, dei luoghi da sperimentare e dei quali sentirsi parte.
Più comunemente, invece, la struttura ospedaliera trasmette messaggi negativi e la causa è da ricercarsi principalmente nella complessità delle esigenze legate alla funzione specifica del curare la malattia, al dimensionamento previsto per le attrezzature, ma in modo prevalente dalla visione dell’ospedale come macchina tecnologica, legata solamente all’aspetto fisico della salute.
Ecco allora una cultura architettonica che rinforza questa idea attraverso l’utilizzo di colori neutri, muri bianchi, materiali freddi, spazi indifferenziati e anonimi. Quanto detto per l’ospedale vale anche per l’ambiente di lavoro, qualunque esso sia, la cui struttura e organizzazione sono chiamate a trasmettere senso di appartenenza e integrazione tra tutte le parti dell’Io chiamate in causa in ogni singola persona: sia principale per l’obiettivo benessere.
Antonio Zuliani
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