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La normativa e la rimozione di tubazioni idriche in cemento amianto

La normativa e la rimozione di tubazioni idriche in cemento amianto
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischi da amianto

28/09/2020

Un documento sulla rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto riporta le norme che incidono sull’attuazione sugli interventi di rimozione. Il rischio amianto, le norme, la gestione delle informazioni e i luoghi di lavoro.

 

Roma, 28 Set – Con il documento “ Rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto. Istruzioni operative Inail per la tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita” l’Inail ha prodotto nel 2019 un documento che contiene delle utili istruzioni operative da adottare per la rimozione di tali tubazioni. Il documento, prodotto dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’Inail, è il risultato di uno studio della problematica, condotto a scala nazionale ed internazionale, e riporta anche una “raccolta organica di informazioni sulle norme di settore che a vario titolo incidono sull’attuazione di tali interventi di rimozione”.

 

Con la convinzione che la conoscenza della normativa sia preliminarmente importante ai fini di una maggior tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita, riprendiamo la presentazione del documento soffermandoci in particolare su:

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La rimozione delle tubazioni in cemento amianto: normativa

Riguardo al quadro normativo correlato alla rimozione delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto, il documento Inail ricorda che a seguito dell’emanazione della Legge n. 257 del 27 marzo 1992, “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, sono stati “stabiliti numerosi provvedimenti normativi ed applicativi volti, tra l’altro, a definire le modalità di censimento dei siti con presenza di amianto, di valutazione del rischio specifico, di gestione dei manufatti contenenti amianto, di attuazione degli interventi di bonifica, nonché di gestione e smaltimento dei Rifiuti contenenti amianto (Rca)”.

 

Tuttavia questa legge “pur stabilendo il divieto di estrazione - importazione - esportazione - commercializzazione - produzione di amianto, di prodotti di amianto, di prodotti contenenti amianto, non impone l’obbligo di dismissione di tale sostanza o dei materiali che la contengono”. Inoltre l’articolo 1, comma 2, “ha consentito l’utilizzo, tra gli altri, di tubi, canalizzazioni e contenitori per il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, ad uso civile e industriale per due anni dalla data di entrata in vigore della legge”. E in conseguenza di varie “proroghe ed ‘interpretazioni’ normative (Allegato 3 del decreto ministeriale 14 maggio 1996) l’utilizzo in deroga di tali manufatti è stato consentito fino all’emanazione del decreto ministeriale 14 dicembre 2004, che ne ha vietato definitivamente il nuovo impiego, fermo restando la possibilità dell’utilizzo di quanto già in opera”.

 

Un primo quadro a scala nazionale riguardo alla loro presenza sul territorio (legge 93/2001, decreto ministeriale 101/2003) ha portato ad una mappatura che, pur avendo individuato oltre ottantamila siti, “risulta in fase di progressivo aggiornamento per ciò che concerne il numero di siti contaminati di origine antropica e naturale, ed è tuttora incompleta per quanto riguarda le reti in cemento amianto”.

 

Si indica poi che con il decreto ministeriale 6 settembre 1994 “sono state definite le metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie”. Ma il decreto non ha preso in esame “situazioni specifiche, quali ad esempio rimozioni di materiali contenenti amianto in ambiente outdoor, diversi dalle coperture”.

 

È stato poi emanato il decreto ministeriale 14 maggio 1996 “nel quale vengono contemplati diversi casi di bonifica da amianto”.

Nell’Allegato 3, vengono riportati i “Criteri per la manutenzione e l’uso di tubazioni e cassoni in cemento amianto destinati al trasporto e/o al deposito di acqua potabile e non” e si “richiama la necessità di valutare il reale stato di conservazione dei manufatti in oggetto” per “decidere sulla opportunità della loro sostituzione. Riguardo tali sostituzioni di tubazioni, sia parziali che totali, l’allegato dispone che i criteri di valutazione e di bonifica da prendere in considerazione, siano quelli indicati al punto 2 del decreto ministeriale 6 settembre 1994, da adattare alle particolari tipologie dei manufatti presi in esame”.

Il decreto ministeriale 14 maggio 1996 richiama poi “l’attenzione delle competenti amministrazioni sulla esigenza di programmare in tempi rapidi la progressiva e sistematica eliminazione delle tubazioni in cemento amianto, via via che lo stato di manutenzione delle stesse e le circostanze legate ai vari interventi da effettuarsi diano l’occasione per la dismissione”.

 

Il documento ricorda che riguardo alla possibile dispersione di fibre di amianto nell’acqua, “che potrebbe generarsi a seguito della solubilizzazione della matrice cementizia, bisogna ricordare che questo processo è causato essenzialmente dalla natura dell’acqua condottata (in particolare dall’aggressività, che è funzione del ph, dell’alcalinità totale e della durezza calcica) o dalle caratteristiche del terreno di posa. Il rilascio di fibre all’interno delle tubazioni è influenzato, inoltre, da altri fattori quali la temperatura, l’ossigeno disciolto, il contenuto di solidi sospesi, la turbolenza e la velocità dell’acqua”.

 

Si indica che per le matrici liquide “l’unico riferimento attualmente vigente è costituito dal decreto legislativo 114/1995 relativo alle acque di scarico provenienti da impianti industriali e da operazioni di bonifica; il valore limite riportato è di 30 gr di materia totale in sospensione per metro cubo di effluente liquido scaricato, corrispondenti, secondo un fattore di conversione ivi indicato, a seicento milioni di fibre/litro” (tale limite “è riconosciuto dalla comunità scientifica come eccessivamente elevato”).

 

In merito poi alla possibile “contaminazione da fibre di amianto delle matrici aria e suolo, che potrebbe generarsi a seguito del deterioramento della matrice cementizia portata a giorno con le attività di rimozione, ci si trova a dover considerare diversi atti normativi”.

 

Le tubazioni in cemento amianto e i luoghi di lavoro

Chiaramente per quanto riguarda l’ambiente di lavoro si fa riferimento ai criteri ed agli adempimenti stabiliti dal Decreto Legislativo 81/2008 e s.m.i. che, ad esempio, “stabilisce la responsabilità del Datore di lavoro (Dl) riguardo la sicurezza e la salute nell’ambiente di lavoro”. E tra gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro, “un importante compito che spetta al Dl è la valutazione dei rischi inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori (obbligo indelegabile), attraverso la quale viene redatto successivamente il Documento per la valutazione dei rischi (Dvr)”.

Inoltre al fine di verificare nel tempo il mantenimento dei livelli di tutela previsti dalla valutazione dei rischi aziendale, “il Dl dovrà porre in essere le opportune azioni di verifica e controllo. Tra queste può essere utile prevedere, secondo le modalità e le frequenze individuate nel Dvr, monitoraggi personali sugli operatori esposti (si consiglia almeno il 10% degli interventi programmati nell’anno, pompe di prelievo a basso flusso, 2-3 l/min, preferibilmente 480 litri campionati o, comunque, per operazioni di breve durata, il volume massimo campionabile durante l’intero intervento in cantiere, filtri in esteri misti di cellulosa da 25 o 47 mm, analisi in Microscopia ottica in contrasto di fase - Mocf)”.

 

A questo proposito si ricorda che “il valore limite di esposizione per i lavoratori addetti ad attività di manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate, viene fissato in 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore (articolo 254, comma 1 decreto legislativo 81/2008 e s.m.i.). I datori di lavoro devono provvedere affinché nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione di amianto nell’aria superiore al valore limite”.

 

Per quanto riguarda poi la contaminazione dei suoli, il Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i., recante “Norme in materia ambientale”, “fissa il valore limite in 1000 mg/kg di amianto totale, mentre non indica il corrispondente valore limite per le acque, in attesa di ulteriori evidenze scientifiche. E in merito alla classificazione e gestione dei rifiuti si ricorda che il decreto 152/2006 “stabilisce l’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali in categoria 10, per le imprese che svolgono attività di bonifica da amianto, ed in categoria 5 o 2 bis per quelle che effettuano il trasporto dei rifiuti pericolosi, tra cui quelli di amianto generatisi da tali attività. Inoltre stabilisce che un rifiuto deve essere classificato come pericoloso, ai sensi della direttiva 2008/98/CE, qualora contenga ‘una sostanza riconosciuta come cancerogena (Categorie 1 o 2) in concentrazione 0,1%’. Poiché l’amianto è una sostanza di Categoria 1, tutti i rifiuti che ne contengono concentrazioni maggiori dello 0,1% devono essere classificati come pericolosi”.

 

Si ricorda poi che tutti i rifiuti speciali vengono classificati come pericolosi “quando rispondono ai criteri riportati all’Allegato I (caratteristiche di pericolo) alla parte IV del decreto legislativo 152/2006 come sostituito dal decreto legislativo 205/2010. Tutti i rifiuti speciali pericolosi e speciali non pericolosi, tra cui anche quelli contenenti amianto, sono quindi catalogati secondo la provenienza in un apposito elenco definito a livello comunitario (Elenco europeo dei rifiuti - Eer)”.

 

La gestione e la comunicazione delle informazioni

Il documento si sofferma poi sull’importanza della corretta gestione e comunicazione delle informazioni acquisite.

 

Si indica che il decreto legislativo 33/2016 prevede che il gestore di una “infrastruttura fisica” dedicata alla fornitura e trasporto di acqua - ad esclusione di quella destinata al consumo umano ai sensi dell’articolo 2, punto 1 della direttiva 98/83/CE – “contribuisca alla costituzione ed aggiornamento del Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (Sinfi). Detto gestore e dunque responsabile dell’invio, della validazione, della correttezza e dell’aggiornamento dei dati e delle informazioni relative alle proprie reti, secondo il modello dati sottosuolo richiamato nell’allegato A del decreto ministeriale 11 maggio 2016”.

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura delle tante altre indicazioni sulla normativa presenti nel documento Inail, segnalando che in relazione alla possibilità di “consentire ai gestori di infrastrutture fisiche ed agli operatori di rete di concedere l’accesso a tali infrastrutture fisiche in cemento amianto al fine dell’istallazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”, è prevista la facoltà che “il gestore di tali infrastrutture neghi l’accesso alle suddette qualora ‘l’inserimento di elementi di rete di comunicazione elettronica ad alta velocità sia oggettivamente suscettibile di determinare o incrementare il rischio per l’incolumità, la sicurezza e la sanità pubblica ...’. E in In considerazione dei rischi per i lavoratori e per gli ambienti di vita derivanti dall’utilizzo e manutenzione delle reti di comunicazione installate all’interno delle infrastrutture fisiche in cemento amianto, “si auspica che i gestori di rete idrica ed i Dl valutino con attenzione la sicurezza dei lavoratori per la concessione dell’accesso”.

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Inail, Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti ed insediamenti antropici, “ Rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto. Istruzioni operative Inail per la tutela dei lavoratori e degli ambienti di vita”, a cura di Federica Paglietti, Sergio Malinconico, Beatrice Conestabile della Staffa, Sergio Bellagamba, Paolo De Simone e con la partecipazione di Crescenzo Massaro, Daniele Taddei, Ivano Lonigro, per l’elaborazione del documento hanno collaborato anche Adriano Paolo Bacchetta, Riccardo Melloni, Marco Morone, Adriano Albonetti, Federico Bracciotti e Annalisa Lantermo, edizione 2019 (formato PDF, 8.19 MB).

 

 

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