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Percepire i rischi e controllarli autonomamente: si può insegnare?

Cosa succede se un lavoratore formato si trova davanti a una situazione di rischio nuova? Una metodologia per insegnare a utilizzare anche autonomamente lo strumento della valutazione dei rischi. Di Alessandro Mazzeranghi.

Viareggio, 19 Mar - Vorremmo partire da diverse osservazioni concrete che ci fanno “puntare il dito” su un problema diffuso, di fatto noto, ma spesso non affrontato.
 
Tante volte  dopo un infortunio si sente qualche osservazione come questa: “certo se fosse stato un minimo attento non si sarebbe fatto nulla”, oppure: “il rischio era evidente e per giunta non aveva motivo di appoggiarsi in quel punto” …
Insomma vediamo ricondurre molti eventi infortunistici all’errore umano, alla distrazione, a fattori che comunque coinvolgono i  comportamenti delle  persone, e molto spesso dell’infortunato stesso. Ovviamente ci sono altre cause, ma il comportamento viene interpretato come con causa determinante.
 
Sino a un certo momento si poteva pensare che questo modo di ragionare fosse spinto dalla volontà di togliere importanza ad altri aspetti, oggi non possiamo nascondere il fatto che dopo gli indiscutibili progressi in materia di prevenzione degli infortuni e delle  malattie professionali messi in campo negli ultimi venti anni, molti degli eventi dannosi che ancora accadono sono dipendenti anche dacomportamenti davvero poco sicuri, evidentemente poco sicuri.

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I contorni del problema
Facciamo un passo indietro: chi scrive è quasi scandalizzato dal recente Accordo Stato – Regioni sulla formazione dei lavoratori. Nel senso che le aziende, molte aziende, sono andate ben oltre; va benissimo, l’accordo, per fare ordine nel pregresso, ma non c’è nulla di veramente nuovo. Eppure, nonostante tutta questa formazione fatta e ripetuta, i comportamenti pericolosi ci sono ancora. Abbiamo sbagliato?
Verrebbe da rispondere SI. Si, qualcosa evidentemente ci è sfuggito.
 
L’impegno degli ultimi oltre venti anni volto al miglioramento delle prestazioni dei lavoratori in materia di tutela della sicurezza e sella salute è stato per gran parte orientato ad:
- informare, insegnando quali sono i rischi presenti in azienda,
- insegnare, formando sulle modalità idonee a prevenire o controllare i rischi.
Come se tutto ciò fosse in grado di garantire:
- che tutti i rischi presenti in azienda possano essere presi in esame, inclusi quelli che si possono presentare in situazioni anomale o di emergenza,
- che i destinatari della informazione e della formazione siano disponibili a fare propri acriticamente le informazioni e i concetti trasmessi,
- che poi resti memoria assoluta e completa nel tempo, di quanto effettivamente acquisito in sede di informazione e di formazione.
 
Credo che le tre proposizioni sopra elencate ci trovino tutti ampiamente scettici!
Quindi la informazione e la formazione raggiungono obiettivi di maggiore conoscenza sicuramente incompleti e non duraturi nel tempo. E può anche accadere che da parte di alcuni lavoratori ci sia unvero e proprio rigetto, o se preferite una chiusura rispetto a quanto esposto in queste occasioni.
Insomma, a fronte di indiscutibili successi degli sforzi di informazione, formazione e addestramento messi in atto dalle aziende, dobbiamo riscontrare una loro non piena copertura del  tema sicurezza e salute sul lavoro, dipendente da fattori di varia origine. E possiamo, al tempo stesso, fare una considerazione che poi è una controindicazione dell’approccio seguito; se mi viene presentato l’insieme informazione + formazione come una istruzione esaustiva su quali sono rischi e relative misure di controllo in un determinato contesto aziendale, io mi fido e ritengo che non ci siano altri rischi oltre a quelli detti, e che io non debba adottare comportamenti sicuri in più rispetto a quelli che i sono stati insegnati.
 
E allora, se un lavoratore “ben” informato e formato si trova davanti a una situazione di rischio nuova per lui e non prevista dalla azienda, cosa può succedere?
Lealternative sono alcune:
- il lavoratore non riconosce il pericolo e/o la fonte di rischio come tali e si comporta come se non fosse esposto; solo la fortuna lo potrà proteggere da infortuni o malattie professionali;
- il lavoratore riconosce il problema ma lo sottovaluta e non prende contromisure;
- il lavoratore riconosce il problema, lo valuta correttamente e adotta contromisure adeguate, ma non comunica nulla ai colleghi per cui il problema si potrebbe ripetere di fronte ad altri lavoratori meno skilled;
- ….
 
Noi, invece, dopo tanta informazione e formazione ci saremmo aspettati qualcosa di diverso (chiamiamolo “percorso virtuoso”):
- Riconoscimento del pericolo e del rischio,
- Stima e valutazione del rischio
- Scelta di contromisure di controllo corrette o sospensione della attività,
- Comunicazione alla struttura per trasformare un trattamento (di una non conformità) nella risoluzione sistemica della stessa.
 
Se le statistiche degli infortuni e dei mancati infortuni ci dicono che è frequente che il percorso virtuoso venga abbandonato ad un certo punto andando a causare situazioni concretamente pericolose, è evidente che tutto il nostro insegnamento ha intaccato solo una certa categoria di problemi, quella dei problemi ripetitivi.
 
Cosa ne concludiamo? Che i lavoratori sono tutti “scemi”? assolutamente no! Anche  soggetti manifestamente molto intelligenti e capaci di pensiero altamente originale, cadono negli stessi errori.
 
Chi scrive crede che la questione sia da ricondursi a due fattori:
- comprensione del macro problema a livello intellettuale che deve diventare anche livello istintivo, quella che si dice forma mentis;
- concentrazione sul tema come parte integrante della propria attività intellettuale durante il lavoro.
 
Un inciso opportuno: la questione degli errori involontari non riguarda solo la sicurezza, è in agguato in qualunque aspetto della nostra attività lavorativa. Qui ci concentriamo sul tema sicurezza per il costo umano, sociale e aziendale che hanno gli infortuni e le malattie professionali! E per il fatto che è inammissibile che una attività che deve essere positiva per definizione, come il lavoro, possa portare a tali conseguenze, capaci di interrompere o rovinare la vita di un essere umano. Il lavoro ha come finalità ultima il bene degli esseri umani, se il risultato del lavoro è opposto il senso stesso del lavoro si perde!
 
Che fare?
Bella domanda, vero? La risposta sembra semplice:
-insegnare alle persone a ragionare, ovvero a percorrere autonomamente il flusso della valutazione dei rischi;
-convincere le persone ad utilizzare lo strumento della valutazione dei rischi come strumento utile alla protezione completa e continua della propria incolumità fisica.
 
Un amico diceva: per cambiare il modo di ragionare di un ampio gruppo di persone (il personale di una azienda) sono necessari almeno cinque anni. Nel frattempo puoi ottenere dei risultati parziali, importantissimi ma che non sono del tutto entrati nella mentalità delle persone. Intendendo, lui, col termine mentalità, il modo istintivo di percepire la realtà che ci circonda.
 
È evidente che per introdurre un cambiamento del genere, che deve penetrare a fondo in ogni singola persona, l’insegnamento teorico non è lo strumento. Serve solo per mettere delle piccole basi comuni, ma la costruzione della competenza e della capacità di cui stiamo parlando è qualcosa di molto più complesso.
 
A questo punto riteniamo che al di là dei classici modi di formare gli adulti (lezioni frontali unite a svariate forme di esercitazione) non resti che affrontare la tematica sul campo, davanti a casi concreti, per eseguire vere esercitazioni concrete.
 
Una moderata esperienza su questo che comunque rappresenta un argomento la cui rilevanza è emersa con prepotenza negli ultimi tre – quattro anni, ci spingerebbe a suggerire un percorso di questo genere:
 
1)docenza in aulaLA VALUTAZIONE DEI RISCHI
- cosa è
- a cosa serve
- come si effettua
- perché è importante che tutti sappiano valutare i rischi
 
2)esercitazione in aulaESERCIZI DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
- sviluppo di casi semplici, dalla identificazione dei pericoli alla valutazione dei rischi, su esempi fotografici di situazioni reali
- presentazione, discussione di gruppo, correzione finale
 
3)sopralluogo on the JOBRICONOSCIMENTO DEI PERICOLI
- definizione del “campo di gioco”
- sopralluogo libero da parte dei discenti
 
4)esercitazione in aulaVALUTAZIONE DEI RISCHI
- valutazione dei rischi (inclusa la scelta di misure di controllo)
- presentazione, discussione di gruppo, correzione finale
 
Naturalmente le fasi 3 e 4 si possono ripetere e per diverse tipologie di rischio, e per diverse tipologie di reparto, ma anche in generale per consolidare le abilità acquisite. È consigliabile che tali ripetizioni siano distribuite nel tempo in modo da consentire un apprendimento progressivo nel tempo.
 
Conclusioni: funzionerebbe?
Beh, l’esperienza dimostra che facendo questo percorso si scopre che alle prime occasioni sul campo le persone dimostrano di essere assai fuori target. Ma col tempo le cose migliorano, ci vuole pazienza, tanta. Ma il risultato si può raggiungere.
Allora, in mancanza di meglio … proviamo così. L’obiettivo è molto ambizioso e andrebbe a risolvere una serie di problemi pratici di competenza e capacità delle persone esposte ai rischi, specie a quelli che derivano da situazioni non ripetitive.
 
Sarebbe davvero interessante aprire un dibattito su questo tema. Certo ci sono molti più preparati di noi su questi temi, ma crediamo che la concreta esperienza sul campo sia utile per stimolare l’idea di soluzioni innovative.
Infine una piccola nota: non importa proprio nulla che i discenti vadano via felici ed entusiasti da questa attività di formazione e addestramento, è importante che cambino il loro modo di vedere il lavoro, la sicurezza e la salute.
 
 
Alessandro Mazzeranghi
 
 
 
Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
 
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Rispondi Autore: Rolando Dubini - likes: 0
19/03/2013 (01:21:45)
Tempo fa una vera giurista come la Dott.ssa Guardavilla ci ricordava un apreziosa sentenza della Cassazione: “i dirigenti […] devono predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell’impresa e stabilite dalle norme, devono controllare le modalità del processo di lavorazione ed attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa, necessarie per tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che si svolgono in condizioni non previste e non prevedibili dal legislatore e dalle quali possono derivare nuove situazioni di pericolosità che devono trovare immediato rimedio.
I dirigenti devono altresì, avvalendosi delle conoscenze tecniche per le quali ricoprono l’incarico, vigilare, per quanto possibile, sulla regolarità antinfortunistica delle lavorazioni, dare istruzioni – di ordine tecnico e di normale prudenza – affinché tali lavorazioni possano svolgersi nel migliore dei modi; in ogni caso, quando non sia possibile assistere direttamente a tutti i lavori, devono organizzare la produzione con una ulteriore distribuzione di compiti tra i dipendenti in misura tale da impedire la violazione della normativa.” Corte di cassazione – Sezione IV Penale – Sentenza n. 5013 del 10 febbraio 2011. Il problema vero è la vigilanza, gli audit a campione e a sorpresa, questo rende la cultura della sicurezza effettiva. E' come alla scuola di teatro, dopo il corso si deve provare a recitare e il docente e gli altri partecipanti visionano l'azione dell'aspirante attore, che in questo modo si rende conto dei propri errori. Sono la verifica della formazione durante il lavoro rende la stessa efficace, altrimenti resta solo una nozione che non attecchisce. Nessun espediente formativo può rendere un partecipante ad una scuola di teatro un buon attore se non c'è un controllo durante l'azione teatrale di quel che ha appreso. Lo stesso vale quando si parla di sicurezza. E lo insegna la Cassazione.
Rispondi Autore: Franco Verrengia - likes: 0
19/03/2013 (08:56:47)
Buongiorno a Tutti,
già da tempo nella nostra azienda abbiamo iniziato un percorso finalizzato all'attenzione dei comportamenti non sicuri delle persone, in questo progetto sono coinvolti tutti i dipendenti a tutti i livelli, e ad oggi stiamo avendo risultati che una volta potevamo solo sognarci. Per cui ritengo che il coinvolgimento delle persone all'interno dell'azienda da sicuramente risultati eccellenti, chiaramente alla base deve esserci da parte dell'azienda, un commitment fortissimo, cosa che fortunatamente abbiamo ricevuto. Attualmente adottiamo vari strumenti, tra cui la piramide di Heinrich, il metodo Stop, applicazione normativa OHSAS 18001 etc.
Rispondi Autore: cippa lippa - likes: 0
19/03/2013 (09:33:05)
...non penso servano tante chiacchiere e paroloni: briefing, brain storming, target, ecc. basterebbe solo dirottare parte di assurde gabelle fiscali, alla formazione ed all'adeguamento delle attrezzature, dimezzando il numero dei consulenti esterni...
Rispondi Autore: Vito Pietro Signorello - likes: 0
19/03/2013 (09:56:07)
Leggendo l'articolo pensavo a come avevo già in mente di fare un corso di formazione e informazione per i lavoratori. Mi sono reso conto che finalmente non ero l'unico a pensare che la sola formazione teorica, in aula, serve a molto poco se non è poi confermata e applicata, facendola vedere direttamente sul posto di lavoro.
Sono in pieno disaccordo con l'Accordo Stato Regioni sulla formazione in quanto, seppur affidando la formazione a persone sempre più "qualificate" (ci sarebbe da discutere anche su questo) allontana sempre più la stessa dal posto di lavoro relegandola sempre più in aule e lasciando a datori di lavoro, sempre meno interessati alla sicurezza (in Italia è bene ricordarsi che la spesa per la sicurezza è un obbligo e non una scelta nella maggioranza dei casi), il compito dell'addestramento che, nella quasi totalità dei casi, non viene mai svolto.
Sono dell'idea che un RSPP dovrebbe essere un tecnico dell'azienda che vive ogni giorno le problematiche aziendali e che coinvolga ogni giorno i lavoratori in uno stile di lavoro sempre più attento alle problematiche che le varie mansioni possono presentare, affrontandole insieme ai lavoratori e portandoli, pian piano, a una piena consapevolezza di come si effettua una valutazione dei rischi e a un atteggiamento sempre più sicuro nell'affrontare le problematiche.
Aggiungo infine che, la formazione sulla sicurezza non può prescindere da una formazione attenta e scrupolosa sulla tecnologia, sul Know How, che consenta di capire al lavoratore ogni risvolto e ogni eventualità che possa accadere durante la sua mansione in quanto, se conosco molto bene il mio lavoro, le macchine che utilizzo, il fine che voglio raggiungere, posso anche, e sempre meglio, capire le eventualità che possono accadere.
Rispondi Autore: Mirco Girardin - likes: 0
19/03/2013 (10:13:04)
Ho trovato molto interessante la proposta di percorso formativo; finalmente una buona idea per migliorare la sicurezza in azienda.
Spesso leggiamo di "massimi sistemi" che spiegano la sicurezza in azienda senza però dare delle concrete soluzioni ai problemi quotidiani. Questa proposta va nella direzione giusta. Complimenti.
Rispondi Autore: cippa lippa - likes: 0
19/03/2013 (11:53:57)
...know-how mi mancava, comunque penso che le uniche persone "non teoriche" ideali alla formazione, possano essere solo coloro che vantano buona esperienza temporale in azienda ed il personale di vigilanza. tutti gli altri sono professionisti i quali a loro volta hanno frequentato corsi che riversano su altri...
Rispondi Autore: attilio pagano - likes: 0
19/03/2013 (16:33:11)
l'ottimo intervento di Mazzeranghi segnala la necessitá di ripensare la formazione e il rapporto tra comportamento e sicurezza. Troppo spesso si prende il problema di lato (esortazioni a "stare attenti", come fanno improvvisati 'psicologi del lavoro') o dalla coda (il comportamento sbagliato da correggere o quello giusto da rinforzare, come fanno i fautori della BBS). Dovremmo, invece, prendere il problema 'dalla testa'. Dice Alessandro che si deve "insegnare alle persone a ragionare". Io credo si possa fare anche di più. Si può insegnare alle persone a controllare come esse ragionano, in particolare nel ragionamento sui rischi. Un aspetto critico, a esempio, è lo spontaneo utilizzo delle euristiche di disponibilità e rappresentatività con cui sopperiamo alla generale insufficienza delle informazioni teoricamente necessarie per una accurata (ma molto più impegnativa) considerazione dei fattori in gioco. Rendere le persone consapevoli di queste euristiche, con tecniche formative riferite ai temi della sicurezza, contribuisce significativamente alla loro consapevolezza situazionale e, di conseguenza, sviluppa la capacità di fronteggiare situazioni di rischio non meccanicamente riconducibili a quelle apprese con i corsi di formazione.
Rispondi Autore: claudio nardini - likes: 0
20/03/2013 (12:42:29)
Mahh... lasciando perdere l'accordo stato regioni che ritengo assurdo in molti aspetti, io non credo che questo percorso possa servire più di tanto, certo può essere utile; i corsi che facciamo nella nostra azienda spieghiamo direi in modo abbastanza esaustivo como si effettua una valutazione dei rischi e come si procede per individuare i rimedi. Credevo che questo facesse parte della formazione ma evidentemente non tutti lo fanno. Questo secondo me risulta certamente utile ma non decisivo, i lavoratori sanno individuare i rischi molto bene, anche quelli nuovi o non previsti, aziende che fanno prodotti in continua evoluzione come la nostra che comportano continui mutamenti anche sugli impianti e sulle attrezzature sono sempre soggette a rischi nuovi o imprevisti. I lavoratori li individuano molto bene e molte volte sono loro stessi che indicano dove sta il problema in quanto soltanto loro che lavorano sul posto, sulla macchina o sull'impianto riescono ad individuare nel processo eventuali pericoli occulti. Sto parlando di impianti e attrezzature, ma questo lo si può riportare anche su altri aspetti legati alla salute e sicurezza. Questo accadeva anche prima che cominciassimo a insegnare la VDR. Ma purtroppo il comportamento errato di lavoratori distratti o insofferenti non si può eliminare. Diciamo le cose come stanno, ci sono lavoratori che cercano di fare al meglio il loro mestiere e altri che tirano a sera e a fine mese. Questi ultimi a mio avviso si posso parzialmente recuperare ma anche dopo 5 anni la penseranno sempre alla stessa maniera. Si appoggeranno dove non devono, non staranno attenti e saranno sempre insofferenti anche se si saranno comunque migliorati. Il DDL ha sul groppone una mole di responsabilità assolutamente abnorme, con sanzioni pecuniarie e penali anche molto pesanti, questo deterrente lo mette in condizioni di essere praticamente costretto a fare e a prevedere anche l'impossibile e l'imprevedibile. E il lavoratore? il lavoratore distratto, insofferente poco corretto e attento cosa rischia delle sue azioni in termini di responsabilità civile e penale? QUASI NULLA!!! certo, rischia di farsi male e a volte anche la vita purtroppo, ma secondo la mia opinione possiamo fare tutta la formazione/informazione di questo mondo ma fino a quando il lavoratore non sarà veramente chiamato a rispondere del proprio comportamento in sede giudiziale, il suo livello di attenzione sarà sempre lo stesso.
Rispondi Autore: Mauro Tripiciano - likes: 0
20/03/2013 (15:05:50)
Ottimo argomento, che condivido in pieno. Andando sul pratico segnalo l'adiacenza con il ben noto concetto del Last Minute Risk Assessment, su cui si trova un sacco nel web. Nella ns consulenza proponiamo la Behavior Based Safety ed abbiamo integrato il LMRA nel processo BBS: il LMRA é un approccio fondamentale per individuare i rischi aggiuntivi che possono insorgere anche per una operazione standard , dovuti a interferenze, ambiente esterno, variazioni delle condizioni ecc. Inoltre il LMRA aiuta a mantenere un buon livello di attenzione, riducendo quindi gli errori da distrazione o noia. Il metodo di formazione e addestramento è quello ottimamente descritto da Claudio Nardini nell'articolo, ma poi è fondamentale che il supervisore collabori ponendo domande APERTE, tipo "che rischi hai individuato facendo il LMRA e cosa hai fatto?"
Rispondi Autore: alessandro mazzeranghi - likes: 0
20/03/2013 (17:10:39)
sono contento che il mio piccolo intervento abbia suscitato commenti. Ovviamente non siamo tutti daccordo ma direi che molti sono gli spunti interessanti. Fra i qual vorrei capire meglio quelli accennati da attilio pagano, che afferendo a discipline non tecniche, riesco a comprendere solo in parte; mentre dietro ci vedo potenzialità che vanno ben oltre quello che da tecnico posso immaginare.
Comunque grazie a tutti, e si, solo chi ha vita aziendale alle spalle può affrontare le tematiche di cui ho parlato!
Rispondi Autore: Piero Ferrari - likes: 0
30/03/2013 (13:01:25)
Ottimo apporto, come altri, fa ragionare..Condivido di responsabilizzare maggiormente i lavoratori ...(grossa carenza attuale e "solo italiana" a danno del DdL anche quando si impegna realmente) e di attivare più "vigilanza" come dice R.Dubini; indispensabile formare per questa attività anche i preposti e motivare i dirigenti "assenti da tali interessi in SSL". Agli italiani si riesce solo con questi deterrenti a convincerli; poi, ben vengano tutti i metodi proposti, in azienda e con un'ottima formazione, basta che funzionino nel caso specifico. O si dovrà ripartire dalla valutazione del rischio. Sarei d'accordo di limitare il numero dei consulenti e dei formatori utilizzando "criteri" più seri di quelli attuali (e "già previsti" che entreranno in vigore) ma siamo ancora in Italia... manca la cultura del merito "dalla testa" di chi ci governa; si sviluppa così solo la mediocrità "populista" e tutti i buoni apporti e propositi decadono, non essendo ascoltati da chi decide.
A chi poi non si firma consiglierei un maggior coraggio, o di astenersi dal generalizzare senza offrir valore aggiunto.

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