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Sicurezza negli appalti: l’applicazione dell’art. 26 del D.Lgs. n. 81/08

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Edilizia

15/02/2010

Cassazione: chiariti i rapporti fra committente datore di lavoro e appaltatori nei cosiddetti appalti interni in relazione agli obblighi di coordinamento e di cooperazione imposti dalle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro. A cura di G.Porreca.

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Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 28197 del 9 luglio 2009 - Pres. Rizzo – Est. Licari – P.M. Geraci - Ric. V. G. e C. C.  

Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it)


L’ordinamento giuridico attribuisce all’appaltatore una autonoma sfera organizzativa e pieni poteri decisionali con la conseguenza che egli, al pari di qualsiasi altro datore di lavoro, diventa destinatario principale del dovere di provvedere alla tutela della salute e della integrità fisica dei propri operatori. La cooperazione del committente non può intendersi come obbligo da parte di questi di intervenire in supplenza dell’appaltatore tutte le volte in cui costui omette di adottare le misure previste a tutela soltanto dei suoi lavoratori poiché tale cooperazione, se così si intendesse, si risolverebbe in una inammissibile ingerenza  del committente nell’attività propria dell’appaltatore al punto tale da stravolgere completamente la figura dell’appalto.


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L’obbligo di cooperazione del committente con l’appaltatore, inoltre, è limitato alla attuazione delle misure prevenzionali rivolte ad eliminare i pericoli che, per effetto della esecuzione delle opere appaltate, vanno ad incidere sia sui dipendenti del committente che su quelli dell’appaltatore. Ne consegue che, qualora l’attività dell’appaltatore possa svolgersi in una zona o settore separata senza che i rischi si possano estendere fino a coinvolgere i dipendenti del committente, quest’ultimo non ha nessun motivo di intervenire sull’appaltatore per esigere il rispetto della normativa surrogandosi allo stesso quando non vi provveda.

Sono questi gli importantissimi insegnamenti che derivano dalla lettura di questa sentenza della Sez IV della Corte di Cassazione penale, insegnamenti indiscutibilmente utili per stabilire i termini della applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, così come modificato dal D. Lgs. n. 106/2009, e relativo agli obblighi inerenti i contratti di appalto, d’opera e di somministrazione ai fini dell’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro . 

Il caso
Il caso di cui alla sentenza in esame si riferisce ad un infortunio mortale occorso ad un socio lavoratore di una cooperativa durante alcuni lavori, condotti in appalto, di manutenzione e di pulizia di un capannone di proprietà della società committente. Il lavoratore, mentre era intento sul tetto del capannone a pulire la parte esterna di una canna fumaria operando al di fuori della passerella di camminamento e senza l'imbracatura e la relativa fune di trattenuta, precipitava dall'alto al suolo nel momento in cui metteva i piedi su di un instabile pannello in vetroresina. Per tale infortunio il Tribunale aveva individuata la responsabilità nella figura del presidente della cooperativa  per aver omesso, in violazione degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, di fornire al lavoratore le informazioni necessarie circa i rischi specifici del lavoro e per aver omesso di esigere che lo stesso osservasse le norme di sicurezza, Il Tribunale, con la medesima sentenza, assolveva invece il committente dei lavori dati in appalto ritenendo che lo stesso, avendo adempiuto al dovere di informare l’infortunato dei rischi specifici nell'ambiente di lavoro, avesse esaurito i suoi compiti e non ritenendo che fosse estesa anche al committente la vigilanza sul rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche relative ai rischi specifici e propri dell'attività dell'impresa appaltatrice, così come  imposto dall’art. 7 del D. lgs. n. 626 del 1994 (ora art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008) per cui aveva concluso che la responsabilità per l’accaduto fosse da considerarsi esclusivamente a carico della ditta appaltatrice medesima.
L’iter giudiziario
La Corte di Appello confermava integralmente la sentenza del Tribunale ma contro la stessa ricorrevano per cassazione sia il datore della ditta appaltatrice che la parte civile. Il datore di lavoro a sua discolpa poneva in evidenza che l’infortunio era da legare ad una autonoma ed imprevedibile iniziativa del socio lavoratore, il quale, per eseguire la pulizia della canna fumaria posta sul tetto del capannone,  non si sarebbe servito dei camminamenti di cui era dotato l'impalcato di protezione ivi esistente ma avrebbe inopinatamente optato, disattendendo così le informazioni sui rischi avute dal datore di lavoro, per la soluzione di operare sul tetto libero nei movimenti e senza imbracatura nonché al di fuori dell'impalcatura.   La parte civile, da parte sua, si lamentava che la Corte di Appello avesse minimizzato i compiti del committente riducendoli solo a quello di informare l’appaltatore dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro mentre, per volontà del legislatore, il predetto committente avrebbe dovuto anche vigilare sulla concreta attuazione delle misure di sicurezza da parte dell'impresa appaltatrice, conformemente a quanto disposto dall’art. 7 del D. Lgs. n. 626/1994 il quale assegna al committente stesso, oltre al compito della informazione, quello di promuovere la cooperazione e il coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione.

La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’esaminare i ricorsi, ha innanzitutto ribadito, per quanto riguarda il comportamento del lavoratore, quanto già affermato in precedenti sentenze dalla stessa Corte e cioè che  “La normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa”. “Sussistendo questa ipotesi” ha proseguito la Corte suprema “è affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento” e quindi ha affermato ancora che “alla stregua di tale principio, la doglianza difensiva non ha ragion d'essere, non potendosi l'eventuale imprudenza, profilabile nella condotta della vittima, considerarsi imprevedibile e tale da interrompere il rapporto di causalità con l'evento infortunistico, essendo questo nella specie riconducibile, anche e comunque, all'omissione, da parte dell'imputato, della condotta doverosa di impedire, per mezzo di informazione specifica e di controllo attento sull'uso delle cautele idonee ad evitare il rischio di cadute dall'alto, che il lavoratore, peraltro privo di esperienza, eseguisse sul tetto del capannone il lavoro di pulizia in condizione di pericolo, senza imbracatura e fune di trattenuta”.
Per quanto riguarda i poteri-doveri del committente dei lavori dati in appalto e da eseguirsi all’interno dell’azienda la Corte di Cassazione, nel prendere in esame se essi comprendano, oltre al dovere di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici, anche quello di cooperare con l'appaltatore nell'apprestamento delle misure di sicurezza a favore di tutti i lavoratori, a qualunque impresa essi appartengano, ha colto l’occasione per precisare quali sono i limiti fra il committente e l’appaltatore ai fini della applicazione dell’attuale art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, così come modificato dal D. Lgs. n. 106/2009. “L’ordinamento giuridico”, ha affermato la Sez. IV, “attribuisce all'appaltatore un'autonoma sfera organizzativa e pieni poteri decisionali, con la conseguenza che egli, al pari di qualsiasi altro datore di lavoro, diventa destinatario principale del dovere di provvedere alla tutela della salute e dell'integrità fisica dei propri dipendenti. Ebbene, la norma del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 - dopo avere previsto per il committente (nel comma 1, lettera a)) ‘l'obbligo preliminare di verifica della idoneità tecnico - professionale dell'impresa appaltatrice a cui affidare l'incarico’, dal che potrebbe scaturire la culpa in eligendo - richiama (nel comma 1, lettera b)) il dovere di fornire all'appaltatore e ai lavoratori autonomi, chiamati ad operare all'interno dell'azienda, dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate per combatterli".

La Corte di Cassazione ha quindi posto in rilievo che gli aspetti più innovativi dell’art. 7 del D. Lgs. n. 626/1994 e s.m.i. sono quelli contenuti nel comma 2, dove si prevede che i datori di lavoro (cioè sia i committenti che gli appaltatori) cooperino all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e coordinino gli interventi prevenzionali, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva. “Mentre coordinare” prosegue la Corte, “significa "collegare razionalmente le varie fasi dell'attività in corso, in modo da evitare disaccordi, sovrapposizioni, intralci che possono accrescere notevolmente i pericoli per tutti coloro che operano nel medesimo ambiente; cooperare è qualcosa di più, perchè vuoi dire contribuire attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie".

E’ importante quello che è stato affermato successivamente dalla suprema Corte e cioè che la cooperazione però “non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare le misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, poiché la cooperazione, se così si intendesse, si risolverebbe in un'inammissibile ingerenza del committente nell'attività propria dell'appaltatore al punto di stravolgere completamente la figura dell'appalto”. “Il rapporto tra committente e appaltatore” conclude la Sez. IV “va regolato, allora, tenendo conto di quanto precisa il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7, comma 2, lettera a), laddove dice che ‘i datori di lavoro cooperano all'attuazione delle misura di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto’, formula che va intesa nel senso che l'obbligo della cooperazione tra committente ed appaltatore è limitato all'attuazione delle misure prevenzionali rivolte ad eliminare i pericoli che, per effetto dell'esecuzione delle opere appaltate, vanno ad incidere sia sui dipendenti dell'appaltante sia su quelli dell'appaltatore”.

Ne consegue che” prosegue quindi la Sez. IV “qualora per la natura e le caratteristiche dell'attività commissionata, questa si possa svolgere in una zona o in un settore separato, senza che i rischi si estendano fino a coinvolgere i dipendenti del committente, quest'ultimo non ha alcun motivo di intervenire sull'appaltatore per esigere da lui il rispetto della normativa di sicurezza, surrogandosi allo stesso, qualora non vi provveda, o revocando l'incarico e interrompendo il rapporto. La cooperazione, in altri termini, deve ritenersi doverosa per eliminare o ridurre la fascia, spesso molto ampia, dei rischi comuni ai lavoratori delle due parti, mentre, per il resto, ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità”.

Con riferimento, infine, al particolare caso posto alla sua attenzione la Corte di Cassazione ha concluso sostenendo che “applicando questi principi al caso di specie, non v'è alcun dubbio che, in un ambiente, come quello descritto nelle due sentenze di merito, il lavoro di pulizia del tetto del capannone avrebbe potuto porre in pericolo - come in effetti è tragicamente avvenuto - l'integrità fisica solo dei lavoratori dell'appaltatore, derivandone per logica che non si imponeva, come correttamente è stato affermato nella sentenza impugnata, la cooperazione tra il committente e l'appaltatore, a quest'ultimo incombendo il dovere di provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosi la relativa responsabilità in caso di colpevole trasgressione, etiologicamente collegata all'evento infortunistico che ne sia derivato”.



Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 28197 del 9 luglio 2009 -  Pres. Rizzo – Est. Licari – P.M. Geraci - Ric. V. G. e C. C.  - Chiariti dalla Corte di Cassazione i rapporti fra committente datore di lavoro e appaltatori nei cosiddetti appalti interni in relazione agli obblighi di coordinamento e di cooperazione imposti dalle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.







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